“Sono aperta a tutto, ma tu non vuoi crescere”, canta Brittany Howard in What Now, title track del secondo disco solista. È un hard funk su una relazione che si sta sfasciando e nel giro di qualche minuto fa a pezzi il “tu” citato nel testo. Essere aperta a tutto è il principio guida di Howard fin dal 2010, quando è esplosa col suo gruppo, gli Alabama Shakes.
Howard padroneggia l’arte di far musica guardando avanti e allo stesso tempo onorando in modo appassionato la tradizione. Con gli Shakes è passata rapidamente dal rock estatico e sudista del debutto del 2012 Boys & Girls alla psichedelia di Sound & Color del 2015. Quello stesso anno, ha fatto pure un disco divertente con i Thunderbitch: sembravano i New York Dolls ciucchi di birra a Floribama. Accantonato il progetto degli Shakes, Howard ha debuttato da solista con Jaime, attaccandosi ancora più saldamente alle radici rock-soul della sua musica e ai suoi fondamenti spirituali, personali e politici, e facendolo però in modo del tutto nuovo. Nel 2021 è uscito Jaime (Reimagined) coi contributi di Childish Gambino, Earthgang e Bon Iver, altri ricercatori sonori che in qualche modo le somigliano.
What Now mostra un’altra faccia di Brittany Howard. Tutto quel che ha fatto in passato impallidisce al confronto. Earth Sign si apre come una pastorale avant-jazz che cresce e s’irrobustisce fino al climax solare. I Don’t è una struggente fantasticheria Philly soul. Ascoltando Prove It to You ci si immagina Prince in sala d’incisione dopo essere tornato da un tour in Inghilterra alla fine degli anni ’80 con un carico di vinili acid house. Samson è una ballata poco appariscente che prende una direzione fusion grazie anche alla tromba di Rod McGaha e fa venire in mente le meditazioni più morbide di Miles Davis, quello di metà anni ’70. In fondo all’album arriva Every Color in Blue con una chitarra liquida tipo In Rainbows dei Radiohead abbinata alla voce stentorea di Howard, che qui ha qualcosa di Nina Simone. Questa unione degli opposti risulta sorprendentemente naturale.
Howard, che ha registrato il disco a Nashville col produttore Shawn Everett, riesce ad esprimersi al top in ogni contesto. È una cantante soul empatica e autorevole, ma pure una chitarrista inventiva. Il fatto che tono dell’album sia tanto mutevole non fa che potenziare testi che indagano gli interstizi delle relazioni e lo fanno con un pizzico d’ironia che rafforza e/o problematizza il desiderio. “Quanto tempo dovrebbe passare prima di dirti che ti amo?”, canta Howard nel boom-bap Patience riuscendo in tutto il disco a creare qualcosa di nuovo dalle solite parole d’amore, così come nelle musiche scorrazza negli spazi lasciati liberi dalle ambientazioni musicali vintage. “Hai il potere di annullare tutto ciò che voglio”, canta in Power to Undo, uno dei pezzi alla Prince più forti dell’album. Sembrano parole già sentite, finché non presti attenzione allo strazio che sottendono.
E poi c’è Red Flags, che è allo stesso tempo euforica e contorta, proprio come i sentimenti che Howard evoca cantando che “i momenti migliori che abbia mai avuto, è lì che sono iniziati i momenti peggiori”. È roba tosta. Ed è quel che rende What Now un’esperienza unica: ti ricorda quanti mondi esistono tra gli estremi del piacere e del dolore.
Da Rolling Stone US.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM