voto
6.5
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“Inertia” è l’ultimo album di Super Pink Moon, il progetto solista fondato nel 2019 da Ihor Pryshliak, voce e chitarra elettrica dei Somali Yacht Club che ha già all’attivo due album di cui uno, “Iron Rain”, pubblicato all’inizio di quest’anno. L’opera di “Inertia” emerge come la più intensa dell’artista, amalgamando l’estetica eterea dello shoegaze con la robustezza sonora del post-metal. Tuttavia, il risultato si rivela interessante ed empatico solo in alcuni tratti.
Con sede a Leopoli, la musica di Pryshliak cerca di offrire uno specchio emotivo degli abitanti ucraini durante il periodo di guerra e bombardamenti incessanti: dall’ascolto di questo album emerge un forte senso di malinconia, evocato dalle influenze shoegaze del riverbero della chitarra elettrica e dalla voce eterea e fragile dell’autore. Si avverte un chiaro desiderio di rinascita e di riportare le cose a prima che il conflitto cambiasse la vita del popolo ucraino, ma, se pure il concetto centrale dell’album è chiaro e significativo, la sua realizzazione è in più parti fredda e poco coesa, nonostante non manchino idee e sezioni di indubbia qualità.
L’opera inizia nel migliore dei modi con “Eventually”, punto culminante dell’album, con un equilibrato mix tra sonorità stoner e post-rock, a metà strada tra gli Elder e i The Ocean. Il ritmo lento ma sincopato, unito al riverbero della chitarra elettrica e alla dissonanza della voce, crea infatti un’atmosfera ariosa e solare, velata da una tristezza sottostante che accompagnerà l’intero lavoro.
Il ritmo si intensifica in “Slaveking”, una delle tracce più particolari dell’album: ritmicamente serrata e graffiante grazie alla voce qui energica di Ihor, soffre però dell’inserimento tra pezzi molto più ambient come “Before” e “After”, risultando alquanto fuori posto.
“Stampede” riporta l’atmosfera a canoni più psichedelici e ambient, mescolando influenze che vanno dallo stoner rock fino ai Radiohead, con sonorità arabeggianti nel cantato che richiamano “Pyramid Song”, creando un effetto etereo e malinconico, mentre “FearKnight” riprende queste sonorità ma aumenta l’intensità del suono, creando un interessante contrasto.
“The Apex”, “Before”, “After” e “Descending”, infine, proseguono nel solco di un post-rock etereo e malinconico, ma senza portare nuove idee al disco, risultando ridondanti. Il vero peccato è che alcune idee interessanti dell’album sono relegate alla fine dei pezzi. Ad esempio, nell’ultimo minuto di “The Apex”, la batteria e la voce diventano più intensi e carichi, o alla fine di “FearKnight” con l’inserimento di sintetizzatori e un cambio ritmico che richiamano gli Zu; questo passaggio in particolare avrebbe meritato maggiore rilevanza, specialmente perché, così come è, crea un effetto anticlimatico essendo posto alla conclusione dell’album.
Alla fine dell’ascolto, resta l’impressione che emozioni e sensazioni intense, come quelle vissute dagli ucraini in questi mesi, avrebbero potuto essere tradotte in modo più profondo. La rarefatta atmosfera creata si dissolve rapidamente, lasciando poco nella memoria dell’ascoltatore.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM