Non c’è stato niente in grado di ripetere quanto successo a Prati Bagnati del Monte Analogo. Non in Italia. Quella fiaba sonora immersiva fatta di magnetiche onde elettroniche incantate, cucite su un lungo e morbido tappeto ambient orchestrato da Francesco Messina al sintetizzatore e Michele Fedrigotti al pianoforte, fu la dolce (quanto repentina) chiusura di un capitolo di avanguardia proiettata al futuro, che il nostro paese non è mai più stato in grado di proseguire. Era l’epoca del Battiato sperimentale di Fetus, Clic e Sulle Corde di Aries, della figura istrionica e creativa di Gianni Sassi, dietro lo stile comunicativo del maestro catanese e dietro Cramps Records, l’etichetta che pubblicò l’album di Messina e Lovisoni nel 1979. Hula Om e Amon Ra, il lato B a firma proprio Raul Lovisoni, chiudevano un racconto onirico di poco più di quaranta minuti, rimasto però immortale ai segni del tempo.
Centrale, in questa storia, l’ispirazione per gli scritti del francese René Daumal, autore in particolare de Il Monte Analogo (edito postumo nel 1952 ed a cui l’opera, come da titolo, si ispirava), del suo pensiero surrealista e della metafora sulla scoperta dell’essere, su cui il romanzo faceva leva tra retaggi di filosofie orientali e rimandi a Gurdjieff. Una spedizione di un gruppo di alpinisti partita a bordo di un’imbarcazione chiamata l’Impossibile, la ricerca della vetta di un monte sull’isola-continente del Monte Analogo, l’interruzione del viaggio: Daumal morì colto da un malore ed il suo romanzo, così come la ricerca della verità per i suoi protagonisti, rimase senza un finale.
Nonostante una recente riedizione datata 2020, con integrazioni che sembrano poter indicare la conclusione della storia, il fascino de Il Monte Analogo rimase proprio quello della sua incompiutezza, un territorio che Prati Bagnati sembrò per osmosi ripercorrere nella parentesi sperimentale per l’elettronica italiana di fine anni Settanta. A distanza di 44 anni, l’opera di Francesco Messina — che all’avventura fantastica di Daumal dava tributo — farà da apertura all’edizione di quest’anno di Linecheck, la principale conferenza musicale italiana con panel, sessioni di networking, performance e showcase, in scena a Milano (e con tappa conclusiva a Bologna) dal 21 al 25 Novembre.
Accompagnato dallo stesso Michele Fedrigotti che suonava il piano durante le registrazioni originali e dalla violoncellista Chiara Trentin, Messina eseguirà l’opera per una prima storica all’Auditorium San Fedele di Milano. Qualcosa che il musicista, che nel frattempo si è dedicato all’insegnamento in università, oltre che a portare avanti la sua carriera da graphic designer e da produttore della compagna Alice, ha spesso descritto come «una grande lezione di vita». Ma che ricordi ha, di quanto stava succedendo in quella storica e incompiuta epifania elettronica italiana? «Di una piacevole, pura e meravigliosa incoscienza. Non c’era nulla che mi guidava se non il desiderio di fare musica come… “rudimentale meditazione”, mi verrebbe da dire», racconta, quando lo raggiungiamo per capire cosa aspettarci dal concerto.
«L’idea di accettare questa sfida nasce dal fatto che può essere un’occasione per ricollegarmi con la stessa libertà e stato d’animo di quando uscì il disco», prosegue. «Poi, se c’è una lezione che il destino mi ha riservato, è che le cose che nascono in maniera meno calcolata, forse anche meno “matura”, possono davvero durare nel tempo, quando ci metti te stesso. In quest’ottica il ruolo di Franco [Battiato] fu fondamentale: finii ad allontanarmi dal mio mestiere per fare musica, più come esigenza per sopravvivere che per passione. Inteso in senso positivo, naturalmente».
Reduce dai suoi anni intrisi di sperimentazione, c’era infatti Franco Battiato a curare la produzione di una serie di incursioni minimali e di mistica elettronica per la Cramps Records dell’amico e collaboratore Gianni Sassi: «La sua presenza fu determinante. Perché aveva una caratteristica unica che ho riconosciuto davvero in poche persone: sapeva tirare fuori il meglio dagli altri. E questo nonostante all’epoca non fosse ancora un artista consolidato — come poi divenne di lì a qualche anno —, ma un uomo alla ricerca del suo percorso di cambiamento con tutte le debolezze e le necessità del caso. Franco ha sempre promosso l’idea di libertà. Nel linguaggio artistico, nell’espressione e nella composizione. Per Prati credo che il rischio di avere tutta quella libertà, paradossalmente, potesse portare a qualcosa di mediocre. Cosa che poi fortunatamente non è accaduta», aggiunge.
Il rapporto platonico con Daumal emerge subito, come una fotografia di quegli anni e di quei trascorsi: «In lui ho sentito una fortissima assonanza con quello che stavamo studiando, sotto la guida di Henri Thomasson, che era stato allievo diretto di Gurdjieff. Soprattutto nelle pratiche di meditazione per capire se stessi e gli altri, attraverso una visione meno egotica. La connessione con Il Monte Analogo era strettamente legata all’espressione di quel percorso spirituale, del quale non credo esista una vera fine. Un po’ come succede con la storia del romanzo».
Ristampato dall’etichetta milanese Dier Schachtel nel 2013, con Franco Battiato ancora nel ruolo di produttore, poi dalla californiana Superior Viaduct, nel 2018, Prati Bagnati del Monte Analogo è col tempo diventato un cult gelosamente proposto da artisti del calibro di Caribou e Four Tet, segnando un’epoca ancora prima di saperlo: «Qualche tempo fa venni contattato per una serie di articoli uscita su Le Monde dedicata proprio a René Daumal e alle diverse personalità ispirate ed appassionate ai suoi scritti, tra cui l’ex presidente della repubblica francese François Mitterrand e perfino Patti Smith, nel lavoro con il collettivo sound art sperimentale Soundwalk Collective, Peradam. Rimasi stupito nel constatare la quantità di arte che ha stimolato e al tempo stesso dal fatto che in ordine temporale Prati Bagnati ha fatto in un certo senso da apripista, arrivando cronologicamente prima di ciascuna di quelle approfondite nella serie».
Cosa è servito, allora, perché l’opera potesse avere un palcoscenico tutto suo ed un pubblico a poterla finalmente ascoltare ad un concerto? «È tutta colpa di Germano Centorbi (riferendosi al direttore artistico di Linecheck, ndr)», dice scherzando. «E del destino, che mi ha fatto scegliere di prendere un anno sabbatico dall’insegnamento, come a suggerirmi una volta per tutte di farlo accadere (Francesco Messina è docente di Design della Comunicazione all’università Iuav di Venezia, ndr)», afferma. «La realtà è che ho sempre pensato che la partitura del brano, per quanto possa sembrare frutto di improvvisazione, sia molto difficile da replicare dal vivo: è scritta in maniera molto precisa. La seconda ragione è strettamente legata al tempo: Prati vede la luce nel 1979, viene portata a Gianni Sassi da Franco, insieme a Motore Immobile di Giusto Pio, ed entrambi gli album uscirono su Cramps Records l’anno successivo. Stiamo parlando di un’epoca in cui la musica aveva una dilatazione completamente diversa da oggi, in cui siamo super “compressi”».
«Ti faccio un esempio pratico: non molti anni fa, per un’esibizione de L’Egitto prima delle sabbie, Franco tagliò di qualche battuta la composizione, per farla durare un po’ meno. Per Antonio Ballista e Carlo Guaitoli, suoi pianisti di lunga data, risultò scandaloso: doveva assolutamente rimanere fedele all’originale. Il brano proveniva da un’epoca in cui le persone erano abituate a tempi musicali molto diversi, quindi il suo ragionamento fu rispettare il contesto e riadattare la musica. Difficile in questo momento storico immaginare che la gente abbia la pazienza di ascoltare uno come La Monte Young, per intenderci». E continua: «Erano le mie stesse perplessità per Prati, prima di convincermi a riportarlo dal vivo. Io ho resistito alla tentazione di riscriverlo, e piuttosto ho aggiunto delle cose nuove, con Michele Fedrigotti che sarà nuovamente al pianoforte e Chiara Trentin al violoncello».
Per Francesco Messina sarà anche la prima assoluta, per quanto non lo sarà, almeno ufficiosamente del tutto, per l’opera: «Una primissima dal vivo fu eseguita da Roberto Cacciapaglia, al Teatro di Porta Romana a Milano. Credo fosse il 1980, all’interno di una serata organizzata da Franco con amici musicisti, poco prima dell’esplosione de La Voce del Padrone. Partecipavo anch’io con un piccolo set insieme ad una proiezione, ma non mi sentivo di suonare il disco. Roberto fu gentilissimo a proporsi, eseguendo una parte della composizione. Ricordo ci fosse anche sua moglie, seduta sul palco, sotto la luna».
Tornando alla questione del culto, si fa fatica a citare dischi provenienti da un movimento sperimentale così puro che abbiano avuto un seguito incontrastato a distanza di tanto tempo, e anche — e soprattutto — di assoluto prestigio. In questo senso, le recenti ristampe di Prati Bagnati del Monte Analogo hanno certamente aiutato, ma il destino, secondo Francesco Messina, ha ancora una volta giocato un ruolo centrale nel racconto: «Sono stato felicissimo delle ristampe, ma non ho mai veramente badato molto a quanto accadesse attorno. D’un tratto mi arrivavano voci di grande interesse, tra cui Steven Wilson, leader dei Porcupine Tree, che lo inserì in una personale lista di ascolti qualche anno fa. Il fatto che lo citasse lui mi ha messo “in campana”, diciamo così. Tra l’altro, parliamo di una band a cui ad un certo punto si sono uniti Richard Barbieri e Gavin Harrison, che contattai per suonare in alcuni dischi di Alice a fine anni Ottanta, come Il Sole Nella Pioggia e Mezzogiorno sulle Alpi. Tutto sembra tornare, in questa storia, ma figurati se mi sarei immaginato un’evoluzione del genere».
Mistica e fortunata fatalità, anche nel caso della copertina, diventata per i suoi peculiari toni e disegni celebre quanto la musica che contiene lo stesso disco, ma che non è (stranamente) opera di Francesco Messina, nonostante la sua completa immersione nell’arte grafica già da quegli anni (con la curatela per diverse famosissime cover degli album di Franco Battiato). Bensì, dello stesso Gianni Sassi: «Secondo me Gianni non aveva colto esattamente il riferimento a Daumal e tutto quello che c’era dietro Prati», afferma scherzosamente. «Però aveva colto molto bene l’atmosfera, con quel suo gusto quasi art déco, quell’atmosfera così particolare. Nell’immagine in copertina c’è un clima che rende perfettamente il rapporto suono-immagine, quindi direi che sì, alla fine la sua idea ha davvero funzionato».
E infine, su Marta Salogni, che aprirà la sera del concerto milanese con il suo album: «Conoscevo il lavoro che sta facendo e la stimo molto, condividere la serata con lei non può che farmi piacere. Quando ho saputo dell’opportunità sono andato a recuperare Music for Open Spaces, il disco realizzato col compagno Tom Relleen che è uscito quest’anno. Mi sono riconosciuto molto, soprattutto nel brano d’apertura (Desert Glass, ndr)».
Tanto vissuto e tanta nostalgia, ma la prima assoluta del suo cult senza tempo fa sorgere spontanea la curiosità sull’idea di futuro, per Francesco Messina: «Qualcosa ho fatto e sto facendo, e mi sembra stia venendo fuori anche interessante. Ma come dicevo prima, conterà molto la capacità di adattarmi ad una diversa dilatazione del tempo nella musica, rispetto all’epoca. In questo senso, credo che il concerto di Milano sarà un grande banco di prova per capirlo». Cosa servirà, allora, per veder magari nascere un nuovo, possibile Prati Bagnati del Monte Analogo in epoca moderna? «Parafrasando un pensiero che esprimeva lo stesso Daumal, dentro di noi c’è sempre una parte che sa benissimo cosa fare e che risposta darsi. Ed è curioso realizzare quanto questo nella vita di ognuno accada sempre in maniera molto casuale, più che razionale».