In matematica, la lettera Y rappresenta un’incognita, la variabile generalmente dipendente di una funzione. “Y” è anche il titolo dell’album di debutto di Roberto Andrés Lantadilla aka Kiwi666 e dei tanti possibili significati che la venticinquesima lettera dell’alfabeto latino moderno è in grado di rappresentare, quello pocanzi citato mi sembra il più affine per sintetizzare il lavoro realizzato dall’istrionico cantautore italo-cileno.
In seguito ad alcuni esperimenti faidate documentati dall’Ep “Wrong Nature” del 2021, dove atmosfere psichedeliche dal retrogusto imperfetto facevano da sfondo ad una serie di favole sulla natura sbagliata, in cui il disagio esistenziale del cantante si traduceva in una serie di immagini lisergiche e personaggi outsider, e successivamente al singolo intitolato “Hawaii”, rilasciato nel corso del 2022, Kiwi666 inizia a lavorare al suo primo album, che come prerogativa principale avrebbe avuto quella di proporre dei testi elaborati interamente in italiano.
Realizzati con la fondamentale collaborazione artistica di Alessandro Fiori, i nove brani che compongono l’opera d’esordio di Roberto rappresentano fedelmente la sua indole, costituita da una personalissima fusione di strutture che uniscono al lo-fi tipico degli anni ’90, la visionaria psichedelia di Syd Barrett, gli stranianti rintocchi synth-pop dei Talking Heads e i consolidati schemi del più enigmatico cantautorato italiano.
Un menu di tutto rispetto, insomma, che tenta una visibile ricerca di conversione verso ambiti pop, non concretizzata – volontariamente – proprio per conservare intatta quella vena indie che, in definitiva, resta l’aspetto più intrigante e stravagante dell’intero progetto.
Da grande appassionato di strumenti vintage, spesso scovati nei sempre fruttiferi mercatini delle pulci, Roberto ha contraddistinto il proprio marchio stilistico prevedendo un folto coacervo di suoni sovrapposti, che alimentano insistentemente la fiamma dell’indecifrabilità: oltre alle linee chitarristiche, Kiwi666 è impegnato a suonare strumenti non certo convenzionali, come la kalimba e l’antico organo Elka Panther (sì, proprio quello usato dai Doors e dagli Zombies) ma non mancano plurali percussioni, mellotron, harmonium e violini, questi ultimi disegnati proprio da Alessandro Fiori, da sempre un maestro nel colorare di variegate misture ogni tipo di proposta sonora.
Anche l’interpretazione vocale di Kiwi666 è lontana dall’essere perfetta e senza sbavature, ma anche questa situazione si rivela congeniale per il raggiungimento dell’obiettivo.
L’opener “Mantra” è una ballad lisergica un po’ retrò, mentre il disincantato tropicalismo kitsch à-la Beck è il leit motiv che caratterizza il singolo “Tristi tropici”. Tra il folk-punk dal retrogusto politico di “Bartleby” e ballate in ideale stile Neil Young (“Randy”), c’è spazio per fraseggi che ammiccano addirittura con il progressive-rock (“Perdere”), grazie ad archi ed elementi psichedelici sciorinati in abbondanza. L’onnipresente Fiori ha testualmente definito “Falene” il sorbettino dell’intero disco, il suo pezzo preferito, dove l’Elka Panther di Kiwi666 viaggia tra surf e twist con grande disinvoltura.
La mutevolezza dell’album, proprio quella accennata in apertura, è continuamente suffragata dai fatti. Il vessillo di questo status è rappresentato da “Terra bruciata”, l’episodio probabilmente più interessante presente in scaletta, che si apre con campionamenti hip-hop, per poi svilupparsi su modelli alt-rock, sporadici echi grunge e una chiusura piuttosto elegante forgiata da sintetizzatori e mellotron: un autentico viaggio multidisciplinare.
Se “Falene” è la traccia preferita da Alessandro Fiori, “Sabbia” è invece la più amata dal protagonista: una canzone che tratta di un amore sofferto in un territorio immaginario posto tra Paolo Conte e Gino Paoli.
Il disco si conclude con “Diavoli in America”, un capitolo ad ampio raggio, dai toni agevoli che si catapultano in un’estremità noise che rimanda ai Godspeed You! Black Emperor, un racconto familiare, in cui i traumi si celano nei piccoli dettagli della vita quotidiana.
L’esordio full length di Kiwi666 è un lavoro decisamente sorprendente, zeppo di intuizioni e di idee. Il catalogo è vasto ed è sintomo di ottima cultura compositiva e musicale. Qualche sbavatura qua e là è quasi fisiologica in un contesto simile. Teniamo in evidenza il nome di Roberto Andrés Lantadilla, perché un eventuale livello successivo di “Y”, ancor più maturo e coeso, potrebbe rivelarsi un disco prodigioso.
23/02/2024
Antonio Santini for SANREMO.FM