Sarafine, Il Solito Dandy, Stunt Pilots e Maria Tomba si giocheranno giovedì la vittoria al talent di Sky. Li abbiamo incontrati prima della finalissima. Nessuno di loro si aspettava di arrivare dov’è arrivato. Tutti prima o poi si sono trovati a un bivio: o la musica o un vuoto difficile da colmare
Siete pronti per la copertina di Rolling Stone? «Cos’è, tipo un plaid?», esordisce Maria scatenando le risate dei presenti e dimostrando che, sul serio, chi accede ai Live di X Factor viene tenuto all’oscuro di tutto quello che accade fuori e da ogni contatto con l’esterno. Il clima è più che disteso quando i ragazzi, reduci da una semifinale con tripla eliminazione e a un passo dalla finalissima, vengono catapultati allo studio Compass 4 di Milano, dove sono previsti l’intervista e lo shooting per la cover che abbiamo dedicato loro per conoscere in profondità i quattro concorrenti che giovedì 7 dicembre si giocheranno la vittoria del talent.
Fra il trucco, i cambi d’abito e i passaggi da un set all’altro, siamo entrati nelle vite e nelle aspirazioni artistiche di Maria Tomba, Il Solito Dandy, Sarafine e Stunt Pilots capendo che, in fondo, nessuno di loro si aspettava di arrivare dov’è arrivato e che tutti, con le rispettive differenze, hanno affrontato in passato un momento spartiacque che li messi di fronte a una scelta: o la musica o un vuoto difficile da colmare.
La prima che aggancio è Sara Sorrenti, in arte Sarafine. Non tanto perché è la nuova favorita (chiedete ad Angelica se le ha portato fortuna esserlo dalle Audition), quanto perché nata negli anni ’80 e quindi, a differenza degli altri, troviamo subito alcuni punti comuni tra appartenenti alla generazione-mai-una-gioia. Come il bagliore delle serate in disco con alla consolle dj Franchino, che al tempo ho ascoltato dal vivo e lei invece ha scoperto nella sua seconda chance dopo la malattia, ancora con la voglia di fare musica e raccontare le proprie “favole” su basi trance-techno.
«Vedo gli altri e mi sembrano con le idee più chiare rispetto a noi alla loro età», spiega. «Io faccio parte di una generazione un po’ sfigata, che ha fatto da ponte, ma che oggi è in mezzo a tutto». Ci siamo sacrificati per loro, scherzo, guardando i suoi compagni di avventura, e lei sembra d’accordo: «Dici? Può essere. Infatti loro, oltre alla produzione, pensano alla gestione dei social, dell’immagine, del merchandise, e sembrano avere le idee più chiare. Io invece sono ancora alla ricerca del mio stile, o almeno ho più dubbi».
Sarà a causa del suo percorso, non a X Factor ma precedente. Originaria di Vibo Valentia, in Calabria, dopo essersi laureata in Economia Aziendale ha faticato nella sua terra a trovare un lavoro che non facesse rima con sfruttamento. «Mi ricordo ancora le 12 ore al giorno da impiegata in un centro commerciale e per una paga minima. A quelle condizioni non potevo restare». Così decide, come molti altri ragazzi del sud, di partire. Prima con destinazione Lussemburgo, «dove però la gente era molto fredda e schematica». Non rimarrà a lungo, per poi spostarsi in Belgio dove ha trovato una realtà più effervescente, ma nella quale è comunque stato difficile inserirsi: «L’impatto è sempre tremendo, ho avuto problemi a relazionarmi con le persone a Bruxelles. Non a caso ho smesso di suonare per sei anni. Poi tutte quelle frustrazioni, a un certo punto, le ho trasferite in musica».
Nell’ottobre scorso decide di licenziarsi dall’azienda nella quale si occupava di tasse e contabilità e prova a incidere il primo EP: «Ho affiancato come vocalist per qualche tempo un cantante marocchino-belga che ho seguito in tour e poi ho tenuto qualche concerto nei locali di Bruxelles, cercando di arrivare a fare un disco, ma senza darmi una scadenza. A un certo punto è arrivato X Factor». Sembra questo il momento sliding doors: non darsi alternative. «Ero diventata molto introspettiva, stavo tanto da sola, quindi ho alimentato delle turbe che ho espresso con l’arte».
Autodidatta, a parte le lezioni di pianoforte che ha preso per un anno da bambina e un corso online durante la pandemia per migliorare nella produzione, ora vorrebbe tornare a studiare: «Sento di avere delle carenze, suono chitarra e piano, ma vorrei approfondire altri strumenti». Nonostante le insicurezze, forse sempre legate alla generazione-mai-una-gioia, con la loop station ha dimostrato di saper compiere delle magie. Persino Max Pezzali è rimasto colpito dalla sua rivisitazione di Hanno ucciso l’uomo ragno al quinto Live: «Mi ha fatto piacere, gli proporrò la versione clubbing dei suoi brani». Ora è uscita con l’inedito Malati di gioia, dove esorcizza i ricordi giovanili e sforna un manifesto di chi ha vissuto a cavallo di un tempo dove c’erano ancora speranze e un altro dove sono scomparse quasi del tutto, e non ha alcuna aspettativa per la finale: «Sarà una festa per tutti e vogliamo godercela come tale».
Nel frattempo, mentre sto per sedermi su una poltroncina, mi accorgo che sotto una catasta di giubbotti sta dormendo Zo Vivaldi, all’anagrafe Lorenzo Caio Sarti, cantante e chitarrista degli Stunt Pilots. «Lui è così, potrebbe dormire ovunque», mi spiega Emanuele Farina, il batterista, che aggiunge sardonico: «Uè Giamma’, comunque oggi è domenica…».
Loro sono un power trio di 24-25enni, unica band rimasta in gara, composta anche dal bassista Moonet (Simone Colombaretti) che sta riposando su un divano poco distante. In attesa che i compari si sveglino, non mi resta che fare due chiacchiere con Farina, con il quale è facilissimo entrare in confidenza. «Noi siamo questa roba qua e così vogliamo rimanere», ci tiene subito a precisare. Caratterizzati da sonorità funk-rock, senza disdegnare venature pop, sono un po’ la sorpresa di questa finale. Tecnicamente dotati, non sembravano però in grado di durare a lungo in un format televisivo. Ma il batterista ha il dono della sintesi: «Qualcuno ci avrà pur votato, no?». Non ci sono dubbi e probabilmente è proprio questa la loro forza: credere in un progetto condiviso e avere un approccio alla musica spinto prima di tutto dalla passione per il suonare insieme. «Quando usciamo devi venire al Biko di Milano, noi siamo sempre là a fare jam session con altri musicisti».
È a questo punto che si ridesta Zo, chiamato al trucco. Di fronte allo specchio gli chiedo cosa ne pensa che la sua faccia finisca sulla cover di Rolling Stone: «Ho sempre sognato questo set da rockstar». Delle polemiche innescate da Morgan non sa molto, se non quello che ha sentito durante la trasmissione mentre Fedez rispondeva dei presunti clientelismi, ma ci tiene comunque a sottolineare che «collaboravo con Canova da quando avevo 18 anni, dopo un po’ è finita perché lui ha preso un’altra strada rispetto all’attività che facevamo insieme. Per il resto non ho mai trattato direttamente con Fedez».
Chiarita la questione, mi racconta il suo lungo peregrinare in giro per il mondo. È cresciuto tra Milano, Shangai, Los Angeles e Cervia, prima al seguito del padre che viaggiava per lavoro e poi a caccia della sua strada nella musica. Parla un po’ di cinese («sono stato là tre anni, ma voglio approfondire la lingua») ed è finito nella città degli angeli per caso: «Ho conosciuto un ragazzo e con lui dovevo andare a Londra, solo che a un certo punto mi ha spinto a seguirlo a Los Angeles e ci ho passato qualche tempo inserendomi in vari ambienti di musicisti e produttori».
La svolta è arrivata con il terzo componente, che intanto ha ripreso conoscenza dal pisolino. Di poche parole ma dai grandi sorrisi, sembra lui a tenere insieme le altre due istrioniche personalità in una band che appare veramente coesa. «Noi siamo tre frontman», mi risponde sicuro quando gli domando se, per una evoluzione futura, una delle tre figure potrebbe spiccare rispetto alle altre. Zo e Farina concordano sul fatto che «da quando durante la pandemia ci siamo uniti non abbiamo più pensato ad altro se non al progetto Stunt Pilots». Moonet ribadisce: «Non vogliamo cambiare stile». Ci sono riusciti a X Factor, perché non potrebbero farcela anche al di fuori? Prima di salutarci, Zo mi dà una notizia: «Sai che ho visto negli occhi Dargen?». La questione attira un capannello di persone, curiose di sapere cosa si nasconda sotto gli occhiali: «Ha degli occhi azzurrissimi, mi hanno stupito».
Ancora scosso dalla rivelazione, visto che è arrivata l’ora di pranzo mi sposto nei pressi del set dove a pochi passi Maria Tomba in outfit pinkissimo si rotola all’interno di un occhio di bue mentre scorre una musica urban. Ma soprattutto c’è il buffet. È lì che mi imbatto nel più enigmatico dei concorrenti: Il Solito Dandy. L’alone di mistero che avvolge Fabrizio Longobardi, questo il suo vero nome, è rappresentato dall’equilibrio che riesce a mantenere tra influenze del passato e una attitude decisamente contemporanea. Insomma, ci è o ci fa? In maglietta bianca e jeans, quindi spogliato delle sue solite mise vintage, possiamo dirvi che ci è, eccome.
«Quando vado al lavoro, con vestiti “normali”, le mie colleghe mi dicono: perché ti vesti come pagliaccio?». Lui se ne frega, fa bene, e gli unici pagliacci che ritiene lo abbiano ispirato sono quelli dell’opera di Ruggero Leoncavallo che il nonno gli faceva ascoltare da piccolo quando dipingeva. «Per me è stata una figura importantissima, visto che ho perso mio padre quando ero alle medie».
Nato a Torino nel ’93, si trasferisce a Roma all’incirca a 25 anni perché «sentivo che in quella città c’era il mood giusto per esprimere la mia musica». Attratto evidentemente dai riverberi del Folkstudio rimasti nell’aria, Fabrizio sembra ricalcare le orme di artisti che hanno sfornato pietre miliari della discografia italiana. Antonello Venditti e Francesco De Gregori sono la stella polare, ma lui è sul sentiero (per ora) battuto da cantautori come Gianni Togni o Rino Gaetano. Nel suo pantheon, poi, non manca Amedeo Minghi, che di lì a poco canterà a squarciagola durante un cambio d’abito (Vattene amore abbracciato a Farina degli Stunt Pilots e Sarafine) e che l’ha salvato all’ultimo ballottaggio con 1950: «Mi ha detto Morgan che il maestro ha apprezzato, sono davvero felicissimo». Quando uscirà, potrebbe proporgli una collaborazione: «Nooo, sarebbe eccezionale!».
L’entusiasmo del Solito Dandy è contagioso, così come è spiazzante la serietà con la quale affronta le questioni private. «La passione per la musica la devo a mia madre Laura». Non solo, perché ci tiene a spiegare più nel dettaglio il rapporto speciale con la donna che viene sempre inquadrata con gli occhi lucidi a ogni sua esibizione durante i Live: «Lei è la vera rocker. Mi portò al concerto degli Who la sera prima dell’esame di terza media. Fu una botta fortissima». Ne seguì un periodo punk (testimoniato dalle foto su Instagram), prima della svolta cantautorale. «Mia mamma suonava, poi la perdita di mio padre e il lavoro non le hanno permesso di esprimersi in musica. Infatti sono convinto che, quando mi guarda cantare, sia un riscatto prima di tutto per lei».
Mentre parla, Fabrizio è estremamente preciso a legare ogni pensiero importante a una immagine. Una caratteristica che gli deriva dai suoi studi, visto che è laureato in Lettere moderne con indirizzo Storia del cinema. «Persino le mie movenze sul palco, che in molti mi fanno notare, credo derivino da questo amore per i film. Non le studio, mi vengono naturali. Qualcosa di inconscio ci sarà». Nello stesso modo, a ogni canzone reinterpretata lega un’immagine ben precisa. Com’è stato con l’amico che rispetto a lui ha preso una strada diversa, dopo la nascita di un figlio e dovendosi concentrare su entrate sicure, o il bullo della scuola che ha condiviso sui social un suo video a X Factor. E dopo aver ammesso di non aver mai seguito prima il talent, a riprova della sua genuinità, mi spiffera dove trova quegli abiti così particolari: «Il mio stilista sono io e il negozio dove vado a rifornirmi è il mercato di Porta Portese. Vedi questa giacca? L’ho presa a un euro».
Quando penso che ormai manca soltanto una concorrente da conoscere meglio, si materializza dal nulla proprio Maria Tomba e mi porge una barretta di cioccolato che aveva in tasca: «La vuoi per addolcirti?». La 21enne di San Bonifacio, nel veronese, è un’altra di quelle personalità che avrebbero bisogno di analisi più accurate. Ci sarà tempo, perché la voce e la forma mentis per lavorare nel mondo della musica non le mancano. Intanto, mi spiega di avere non solo dei riferimenti musicali, ma anche dei modelli di business: «Ammiro Dua Lipa, Lady Gaga e Taylor Swift, ma non solo per le canzoni. Le osservo con attenzione nell’insieme, per come gestiscono tutti gli altri aspetti del loro lavoro: da quello visuale alla comunicazione, fino ai prodotti legati al loro nome». E meno male che Maria sembrava la più ingenua dei quattro… Non è per niente così. L’aria è quella della svampita, ma sotto sotto (neanche troppo) ha le idee chiarissime sul proprio percorso fuori da X Factor. Persino i pigiamini, con i quali spesso è andata in scena, non sono solo un vezzo: «Ne ho tantissimi, mi sono sempre piaciuti. Mi sono messa a disegnarli e ho già una mia linea che voglio lanciare dove su ogni pigiama è riportato il testo di una mia canzone».
Anche nelle coreografie che abbiamo visto ai Live c’è il suo zampino: «A livello scenografico ho partecipato molto. Come quando ho cantato Sono un ribelle mamma, ho voluto che certi aspetti rispecchiassero ciò che sentivo interpretando quel brano». E le cuscinate a Fedez cosa rappresentavano? «Boh, forse mi sono sentita davvero ribelle e gli ho dato le mazzate. Lui era contento…».
Entrata al talent in quota freak, si è presto rivelata una interprete in grado di cambiare veste, passando dall’ultra pop ai pezzi più intimisti. Lo ha dimostrato, per esempio, con la rivisitazione di Always che nascondeva una storia nella storia: «Quando me l’hanno proposta è stata una illuminazione divina. Me l’aveva fatta conoscere mio padre e imparare la mia insegnante di canto». Con quel brano «ho tirato fuori il mio lato più sensibile». Perché se l’esperienza di X Factor l’ha aiutata a crescere dal punto di vista musicale, come per tutti, per lei è convinta che sia stato utile soprattutto a livello umano: «Mi ha permesso di esprimere un aspetto emotivo che tenevo nascosto, che avevo timore a mostrare in pubblico».
Lo ha fatto, scoppiando in lacrime, proprio sul pezzo di Bon Jovi e scoprendo una ferita che è difficile da rimarginare: la morte del padre quando lei aveva 16 anni. La sensibilità di Maria, da allora, non si è espressa solo in musica. È la poesia, come forma d’arte, nella quale ha riversato il suo dolore: «Ho letto e scritto tanto prima di arrivare alla musica. Mi riconosco in poetesse come Alda Merini, anche nella sua storia personale. E di quando disse che, se fosse stata un uomo, non sarebbe finita in manicomio». La incalzo: sei anche femminista? Sgrana gli occhi: «Sono per la parità». Quella che cercherà con Andrea Settembre, finito il programma, per il quale è certa di provare dei sentimenti: «Sono innamorata, per lui ho pianto tantissimo. Io sono più esplicita e lui meno, ma quando ci siamo salutati dopo la sua eliminazione ci siamo promessi di rivederci».
Magari per un feat, le butto lì come battuta, ma lei mi fulmina spiegando di avere già un progetto pronto, anche dal punto di vista del marketing: «Abbiamo pensato di fare un pezzo insieme, vuoi sapere come si intitolerà? Maria Tomba è morta a Settembre».
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Foto: Senio Zapruder
Art Director: Alex Calcatelli per Leftloft
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion Editor: Francesca Piovano
Photo Management Agency: Kind of Management – Sebastiano Leddi
Photo Coordinator: Doranna Notarnicola
Talents Fashion Stylist: Federica Reali
RS Stylist Assistant: Micaela Tana
Photo Assistants: David Costa + Simone