Due novembre 1984. Nel giorno che in Italia è dedicato al ricordo dei morti, in terra d’Albione si ha la reviviscenza ufficiale di una band che da qualche tempo non dà più notizie di sé, tanto da aver fatto temere a qualcuno di esser anche lei passata a miglior vita, o quantomeno di non essere più in perfetta salute. Una reviviscenza in sordina, però, della quale i più vengono a conoscenza solo in un secondo momento, visto che, in tempo reale, in pochi sanno che quel venerdì torna a radunarsi il nucleo dei Dire Straits, sparito dai radar da un annetto e mezzo circa, cioè dalla fine del tour promozionale dell’ultimo lavoro in studio, “Love Over Gold”, pubblicato a settembre 1982.
Quel tour peraltro ha fruttato una testimonianza, l’ottimo live “Alchemy”, uscito anche per sopperire commercialmente al lungo (per gli standard dell’epoca) periodo di allontanamento dalle scene del gruppo, un periodo durante il quale l’attenzione per i propri progetti solisti da parte del leader e fondatore Mark Knopfler aveva fatto temere la fine della sigla musicale da egli coniata. Per questo, il suo ricostituirsi in pieno autunno 1984 è tutt’altro che scontato e, tenendo fede allo stile del fondatore, avviene senza clamori, anche perché il gruppo sceglie un posto non proprio dietro l’angolo per tornare al lavoro insieme: il Mar dei Caraibi. Il ritrovo si tiene infatti a Montserrat, nelle Piccole Antille, isola facente parte del territorio d’oltremare del Regno Unito. Qui, e più precisamente a Salem, città più popolosa dell’agglomerato, George Martin, il leggendario “quinto Beatle”, all’inizio degli anni 70 ha fatto costruire gli studi di registrazione AIR (Associated Independent Recording), dal nome dell’omonima casa discografica a sua volta fondata dal produttore britannico insieme ad alcuni suoi colleghi circa un lustro addietro.
Va detto che quando si ritrovano insieme i Dire Straits non sono più quelli di prima, non del tutto almeno. Della formazione che ha inciso “Love Over Gold” sono rimasti, oltre ovviamente a Knopfler, i soli Alan Clark alle tastiere e il fido John Illsley al basso. I nuovi volti sono invece quelli di Guy Fletcher, subentrato come addetto a tastiere e synth, e Terry Williams in qualità di percussionista aggiuntivo, stranamente accreditato come membro della formazione ufficiale, ma il cui contributo su disco sarà ridotto alla sola, famosissima, intro di batteria di “Money For Nothing”, per poi essere accantonato in favore di un turnista (Omar Hakim) in tutte le altre parti. Nella line-up ufficiale figura anche un altro componente presente solo in uno stralcio di brano, il chitarrista newyorkese – nonché amico di lunga data di Knopfler – Jack Sonni (che subentrerà a Hal Lindes dopo l’abbandono di quest’ultimo in dicembre) al quale sarà ascritto il solo passaggio di guitar synth di “The Man’s Too Strong”. Sonni si aggregherà comunque alla band nel tour relativo al disco e, in qualità di chitarrista ritmico, si guadagnerà la fama di “other guitarist” del combo per tutto l’anno a seguire. D’altronde – si sa – alla sei corde la parte del leone non può che farla il capitano della ciurma, quel Mark Knopfler che è anche il principale compositore del gruppo. In verità c’è anche un altro elemento di continuità con l’ultimo album dei Dire Straits ed è Neil Dorfsman, promosso al rango di co-produttore insieme al frontman, dalla sua precedente posizione di ingegnere del suono.
In studio di registrazione la band inglese ci arriva con tutti i pezzi non solo già scritti ma anche già provati in ensemble, evidentemente in qualche riunione ufficiosa proprio a ridosso della partenza per i Caraibi. Il materiale viene poi registrato in digitale, una tecnica nata di recente, utilizzando il nuovissimo DASH (Digital Audio Stationary Head), formato di nastro audio digitale a bobina appena introdotto dalla Sony. Proprio Dorfsman dichiarerà in proposito: “Una delle cose che rispettavo di più di Mark Knopfler era il suo interesse per la tecnologia come mezzo per migliorare il suono della propria musica. Voleva sempre la migliore qualità in fatto di attrezzature”. Anche il meglio, però, a volte può tradire. “Dopo tre settimane che eravamo in studio – ricorderà Illsley – avemmo un problema con il registratore digitale, che dalla sera alla mattina decise di cancellare circa il 70% di tutto il materiale che avevamo registrato. Erano gli albori del digitale e dovemmo ricominciare a registrare da capo”.
A Salem il gruppo resta fino a febbraio 1985, poi torna in Inghilterra, ma solo per involarsi di nuovo, alla volta di New York, dove si tiene la seconda tranche di incisioni (e dove viene “imbarcato” Sonni). La band arriverà a includere in queste session una gran quantità di musicisti aggiuntivi, con Knopfler che stavolta esagera chiamando a raccolta una decina di profili esterni – con anche qualche sorpresa, come vedremo – laddove in passato era stato molto più parco nell’“appaltare”. Ne risulterà uno degli album pop-rock più “partecipati” di sempre, di sicuro il più collettivo del complesso londinese, con un cameo addirittura di Sting nei cori della summenzionata “Money For Nothing”, seconda traccia in scaletta nonché secondo estratto (dopo “So Far Away”) dell’album e che diventerà una delle più grandi hit in assoluto dei Dire Straits. L’afflato collettivista è elevato al punto che due tra i riff più iconici dell’album, quello di tastiera nell’allegra “Walk Of Life” e quello di sax nella struggente “Your Latest Trick”, si dovranno rispettivamente al succitato Clark e al jazzista americano Michael Brecker, uno degli ospiti del disco. Resta però – come detto – Knopfler il centro di gravità: è lui il comandante che guida la missione; ma come ogni buon comandante non si prende tutti i meriti e rifugge le medaglie, preferendo condividere oneri e onori con i suoi commilitoni.
I lavori terminano a fine marzo, e dopo un mese e mezzo circa ecco finalmente nei negozi la quinta prova sulla lunga distanza dei Dire Straits, “Brothers In Arms”, destinata a divenire uno dei dischi più celebri della storia del rock e che il 16 maggio 2025, a quarant’anni esatti dalla sua pubblicazione, tornerà in una nuovissima Anniversary Edition, comprendente la ripubblicazione in vinile per la prima volta dall’anno di uscita originario, con alcune tracce rieditate per adattarsi al formato vinilico.
Non che a Knopfler siano mai interessate le celebrazioni. Che sia sempre stato a disagio sotto i riflettori non è un mistero. Il carattere del resto è noto: schivo, poco incline al compromesso e ai sorrisi di facciata, avverso a preamboli e ghirigori, riluttante alle mode e ironico, per non dire sprezzante, nei confronti del music business (cosa che negli anni 80 era una specie di sacrilegio).
“Adoro il successo – dichiarerà – significa che posso comprarmi una Gibson Les Paul del 1959 e una motocicletta. Ma detesto la fama: interferisce con quello che fai e non ha nulla di positivo”. E ancora, qualche anno più tardi: “La stampa dice che siamo la band più grande del mondo. Ma questo non ha a che fare con la musica, bensì solo con la popolarità”. E la musica della sua formazione, alla quale Knopfler dona tutto se stesso a partire da testi molto personali e decisamente uncool, è come un capo d’abbigliamento che il nostro si cuce addosso con sapienza sartoriale, ma con uno stile che bada al sodo e non si cura – metaforicamente, ma non solo – della manica strappata o della tasca scucita. E non per moda: questa vena “ciancicata” è tutto fuorché concepita a tavolino.
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Naturalmente c’è tutto Knopfler anche in “Brothers In Arms”, la cui copertina, ormai famosissima, richiama forse non a caso l’altrettanto leggendaria cover di “Tubular Bells” di Mike Oldfield. L’album sorprende fin dall’inizio. Dopo le sperimentazioni e gli accorpamenti quasi prog di “Love Over Gold”, disco che, a dispetto della lunghezza e della complessità dei suoi cinque brani, è riuscito comunque a vendere dieci milioni di copie, suona quasi strano l’accattivante incipit di tastiera di “So Far Away”, midtempo sinuoso e levigato ancorché vivace, squisitamente pop, con tastiera e chitarra in primo piano e caratterizzato da uno scaltro utilizzo di effetti, eco e riverbero in primis. Il brano – come già accennato – al momento dell’uscita del disco è già noto da un mesetto, essendo stato scelto come singolo di lancio. E tutto sommato non se l’è cavata male in tale veste, considerata la diciannovesima posizione raggiunta nella classifica inglese (in Italia è arrivata invece al 33° posto), quarto singolo dei Dire Straits a entrare nella Top 20 della Uk chart.
Molto più in alto nelle graduatorie finisce invece, a partire dal suo rilascio a fine giugno, “Money For Nothing”, che diventerà uno dei singoli (e video) più iconici del decennio: prima posizione per tre settimane consecutive nella Top 100 di Billboard e quarta in quella britannica, ma soprattutto un clip promozionale tra i primi a fare uso della computer grafica e che va in heavy rotation proprio su quella Mtv tanto bistrattata nel testo. Il brano, sorretto da un potente riff di chitarra di stampo hard/southern rock – segnatamente un suono fuzzy accostabile a quello degli ZZ Top – dominato dal suono dell’overdrive e suonato con la consueta (per Knopfler) tecnica del fingerpicking, è infatti scritto dal punto di vista di due operai che guardano dei video musicali e si scambiano commenti a riguardo del tipo: “A noi tocca lavorare e guarda questi che suonano in televisione come si guadagnano i soldi”. “That ain’t workin’/ That’s the way you do it”, sentenzia il testo, in fondo non a torto. “Il protagonista del brano – spiegherà Knopfler – è un tizio che lavora nel reparto ferramenta di un negozio di elettrodomestici. È lui che canta la canzone, che ho composto quando mi trovavo davvero in un negozio del genere. Ho preso carta e penna e mi sono messo a scriverla lì, usando il linguaggio di quel tizio, un linguaggio molto reale”. Nei credit del brano figura anche Sting: “Veniva a Montserrat per fare windsurf – ricorderà Illsley – e spesso ci raggiungeva in studio per cena. Gli facemmo ascoltare la canzone e ne rimase sbalordito. Ci disse: ‘Ce l’avete fatta, bastardi!’. Al che, Mark se ne uscì dicendo che se davvero la trovava così buona poteva forse aggiungervi qualcosa di suo”. Il qualcosa di suo richiestogli ironicamente da Knopfler è il verso in falsetto “I want my Mtv” presente nell’intro e ripreso durante la canzone come backing vocals che ripropone pari pari la linea melodica di “Don’t Stand So Close To Me”, hit dei Police e opening track di “Zenyatta Mondatta”, il loro album del 1980. In verità a Sting non importa molto del copyright, come spiegherà lui stesso: “Mark mi chiese di cantare questo verso, mi diede la melodia e pensai: ‘Oh, fantastico, ‘Don’t Stand So Close to Me’ è una bella citazione, divertente”. Così la cantai e non ci pensai più, finché i miei editori, la Virgin – con cui sono in guerra da anni e per cui non nutro alcun rispetto – decisero che quella canzone era di loro proprietà. Dissero che volevano una percentuale della canzone, con mio grande imbarazzo. Così se la presero”.
Nel complesso “Brothers In Arms” suona più pop dei precedenti capitoli in studio dei Dire Straits e forse anche per questo diventa il loro manifesto stilistico, presentando in veste più masticabile tutto l’immaginario sonoro classico del collettivo, dal folk al blues, al rock‘n’roll, quest’ultimo splendidamente omaggiato nei suoi capisaldi classici proprio con il terzo brano in scaletta, e terzo singolo, “Walk Of Life”, sia nello stile musicale che nel testo. Il Johnny protagonista è un busker che suona in una stazione della metropolitana, omaggio ai cantastorie che negli anni 50 si spostavano di città in città per guadagnarsi da vivere suonando. “Una volta ho visto la foto di un ragazzo che suonava la chitarra nei sotterranei della metro, con la faccia rivolta verso il muro per ottenere un buon riverbero. Mi ricordava me stesso, perché quando iniziai a suonare la chitarra, siccome non avevo un amplificatore, posizionavo il manico dello strumento sul bracciolo di una sedia e appoggiavo la testa sulla cassa per ottenerne rumore”. Il testo snocciola altresì tutto un rosario di espliciti riferimenti a pietre miliari del rock’n’roll come “I Got A Woman”, “Be-Bop-A-Lula”, “What’d I Say”, “My Sweet Lovin’ Woman” e “Mack The Knife”, ed è, a ben vedere, in special modo per l’iconico riff di tastiera, l’unico pezzo gaio del lotto, peraltro inserito in tracklist in extremis (Knopfler inizialmente voleva usarlo come B-side di un qualche futuro singolo), in una scaletta per il resto intrisa di malinconia.
A tal riguardo non fa eccezione un’altra perla come “Your Latest Trick”, che sarà anche il latest singolo dell’album, un brano romantico, da brividi per intensità emotiva, ideale colonna sonora di un momento intimo di coppia come le migliori ballad di Stevie Wonder, con il sax a giocare un ruolo primario e il cantato di Knopfler – rauco, sussurrato – certamente non da meno in quella che è forse la sua migliore performance vocale. Inizialmente il pezzo doveva avere un tempo più veloce e suonare jazz be-bop, ma poi il manager del gruppo, Ed Bicknell, suggerì di rallentarlo e declinare il tutto in un bossa nova per adattarsi meglio al mood generalmente mesto dell’album, sulla scia di altri passaggi come “Why Worry” (tenera ninna-nanna dalla squassante coda strumentale e dai toni rarefatti, notturni), “Ride Across The River” (dagli aromi tribali e cosmopoliti scaturenti dall’utilizzo combinato di un flauto di Pan, una tromba mariachi, un tappeto ritmico a base di ottone affiancato a una parte di batteria più reggae), “The Man’s Too Strong” (di stampo folk e caratterizzata da improvvisi squarci elettrici a rafforzare i duri concetti espressi in un testo dai toni pacifisti) e “One World” (forse l’episodio meno significativo, in relazione al resto del lotto). Ne scaturisce un quadro fosco, crepuscolare, a rappresentare una tristezza figlia anche dei tempi.
Gli anni Ottanta sono comunemente ricordati come il decennio dell’edonismo e del disimpegno. L’altra faccia della medaglia sono però i problemi politici e sociali che attanagliano la dimensione aggregata, problemi alimentati, se non creati, anche dalla direzione politica ed economica imperialista e iperliberista assunta dalle due maggiori potenze mondiali, Stati Uniti e Gran Bretagna, le cui leadership conservatrici incarnate da Ronald Reagan e Margaret Thatcher iniziano i rispettivi, lunghi percorsi più o meno in contemporanea. Limitandoci alla Gran Bretagna, “Brothers In Arms” esce in piena era thatcheriana e parla anche di guerra, vedasi la conclusiva, struggente title track, magniloquente e splendida ballad anti-militarista, griffata dalla chitarra elettrica di Knopfler e scritta nel 1982 (infatti lo stile è quello di “Love Over Gold”), ossia nell’anno dello scoppio del conflitto delle Falkland, la guerra combattuta tra Regno Unito e Argentina per il possesso delle isole nell’Atlantico meridionale. Il testo della canzone è scritto dal punto di vista di un soldato ferito in battaglia e sul punto di morire. Negli istanti finali della sua vita l’uomo si ritrova contornato dai suoi compagni in uniforme e si rivolge a loro: “Queste montagne coperte da foschia da adesso saranno la mia casa/ Un giorno voi tornerete alle vostre valli e fattorie e non dovrete più essere fratelli in armi”, recita un testo perfetto per come si sposa con la straziante controparte musicale. Dalla guerra delle Falkland (o Malvinas, per gli argentini) uscirà vincitrice la Gran Bretagna, ma è probabile che anche Knopfler, magari non da cittadino britannico ma da artista libero sì, godrà nel vedere l’argentino Maradona “vendicare” la sconfitta militare del suo paese segnando un gol di mano all’Inghilterra nel Mondiale del 1986. Del resto la Mano de Dios, nella sua declinazione musicale, è quella che Knopfler può a buon diritto rivendicare per sé come erede della slow hand di Eric Clapton, essendo, secondo l’opinione di molti, il più degno epigono dell’ex-asso dei Cream.
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Sul piano dei numeri “Brothers In Arms” sarà un successo, vendendo più di 30 milioni di copie in tutto il mondo e restando per un totale di 14 settimane (non consecutive) in vetta alla classifica del Regno Unito (dove diventerà l’ottavo album più venduto di sempre) e per 9 in vetta a quella americana. In più, sarà il primo disco a superare il milione di copie vendute in cd, un formato che nel 1985 è ancora relativamente giovane e di cui i Dire Straits sono considerati tra i più abili, per sonorità e tecniche di registrazione, a sfruttare le potenzialità.
Al disco seguirà un tour globale di ben 248 date, inclusa la partecipazione al Live Aid il 13 luglio 1985 in cui la band suonerà, oltre a “Money For Nothing” proprio con Sting, anche un brano più datato come “Sultans Of Swing”. La performance dei Dire Straits sul palco di Wembley, tra le altre cose, sarà ricordata per aver preceduto l’esibizione probabilmente più memorabile dell’intera giornata: quella dei Queen. Il momento in cui si sentono le note conclusive della stessa “Sultans Of Swing” mentre Freddie Mercury e soci si apprestano a salire sul palco sarà rimarcato anche nel celebre biopic a loro dedicato, “Bohemian Rhapsody”.
Dopo l’avvio in Jugoslavia e il passaggio in Europa, con date anche in Ungheria (da segnalare a riguardo che il papà di Knopfler, Erwin, era ungherese di religione ebraica) e Cecoslovacchia allora facenti parte del blocco sovietico, il Live 85/6 proseguirà in Nord America per poi, in autunno, fare ritorno nel Vecchio Continente, prima di approdare in Oceania. “Il tour di ‘Brothers In Arms’ fu sicuramente un grande successo. Ci rendemmo conto che la band aveva raggiunto un punto unico e, nel complesso, ci è piaciuto”, dichiarerà ancora John Illsley. Dopo l’ultimo show, tenuto a Sydney il 26 aprile 1986, i Dire Straits si allontaneranno nuovamente dalle scene, stavolta per un lustro abbondante che Knopfler, in solitaria, riempirà in parte con alcuni suoi progetti solisti, tra cui un paio in campo cinematografico (accompagnato in studio da Guy Fletcher), sua vecchia passione: la colonna sonora del film fantasy “La storia fantastica”, uscito a settembre 1987, e quella della pellicola drammatica “Ultima fermata Brooklyn”, arrivato nelle sale circa due anni dopo (quest’ultima soundtrack, tuttavia, pur se composta interamente da Knopfler, conterà un solo brano da questi anche suonato, mentre il resto dei pezzi sarà in massima parte eseguito da Fletcher). Questi ultimi due album abbinati a film saranno rispettivamente il quarto e il quinto per Knopfler, che negli anni precedenti a “Brothers In Arms” aveva già firmato le musiche per “Local Hero”, “Cal” e “Comfort And Joy”.
A dire il vero, nel quinquennio di hiatus che farà seguito a “Brothers In Arms”, i Dire Straits torneranno fugacemente insieme in un paio di occasioni speciali: il concerto tributo a Nelson Mandela per i suoi 70 anni tenutosi sempre a Wembley l’11 giugno 1988 (con lo stesso Clapton ad accompagnare il gruppo on stage) e un’esibizione benefica a Newcastle (città in cui Knopfler, nato in Scozia, è cresciuto fin dall’età di sette anni) nel maggio 1989. Ci vorrà però ancora un annetto prima che la band si riformi davvero, e il doppio del tempo prima che torni a pubblicare un disco, l’ultimo sul serio stavolta. “On Every Street”, dato alle stampe a settembre 1991, sarà infatti il capitolo conclusivo di una discografia dei Dire Straits che per certi versi proseguirà idealmente, sotto altre spoglie, con la carriera solista vera e propria di Mark Knopfler.
09/05/2025
Daniel D`Amico for SANREMO.FM