I Thin Lizzy sono una delle mie band preferite in assoluto. Phil Lynott era un cantante e autore unico. E questo andava a braccetto con uno dei sound a due chitarre soliste più originali mai prodotti
(Slash)È stato così triste quando è morto Sid Vicious, ma sono letteralmente impazzito quando è morto Phil Lynott dei Thin Lizzy. Ho pianto. Era troppo assurdo
(Dee Dee Ramone)Il primo concerto a cui ho assistito da solo era di Rory Gallagher. In appena un mese nel 1973 o 74 ho visto lui, i Thin Lizzy e i Rolling Stones. Non ero particolarmente fan di Gallagher, ma pensavo che il suo modo di suonare fosse fantastico. Ma i Thin Lizzy, quelli erano davvero fantastici
(Robert Smith)
Shades of a Blue Orphanage (1949-1967)
Un antico proverbio gesuita recita più o meno così: “Affidami il figlio per i suoi primi sette anni e ti restituirò l’uomo”. Philip Parris Lynott ha giusto sette anni quando viene spedito da Moss Side, quartiere a circa tre chilometri a sud di Manchester, a Crumlin, sobborgo a sud di Dublino. Crumlin, dove vive nonna Sarah, un luogo forgiato dalla diocesi della Irish Catholic Church, tra rigore morale e censura sociale. Al civico 85 di Leighlin Road, Frank e Sarah vivono dal 1936, dopo essersi trasferiti dal vecchio cuore della capitale. Con loro c’è la piccola Philomena, sesta di nove figli, nata sei anni prima. Fin da ragazzina Phyllis – come viene chiamata dagli amici più stretti – cova una personalità eccentrica e irriverente, che mal si rapporta alla quiete di Crumlin. Tra continue fughe in Inghilterra, a diciassette anni Philomena si imbarca su una nave diretta a Liverpool, decisa a non fare più marcia indietro.
Amante della musica e del bel vivere, Phyllis incontra per la prima volta un personaggio molto affascinante nel centro di Birmingham, durante uno di quei sabati di balli scatenati organizzati all’interno di diversi hotel della città. Un ragazzo molto particolare, Cecil Joseph Parris, nato cinque anni prima di lei nella città portuale di Georgetown, capitale di quella che alla fine degli anni 40 viene chiamata British Guiana, colonia sulla costa nord del Sudamerica, tra il Venezuela e il Suriname. Discendente dai milioni di schiavi africani costretti ad affrontare un lungo viaggio in mare tra il XVIII e il XIX secolo, il padre di Parris, Eustace, ha la fortuna di lavorare come insegnante nella fascia di popolazione più abbiente e istruita dopo l’abolizione della schiavitù. Intorno al 1947 decide di emigrare verso New York in cerca di una nuova vita, ma il destino sa essere beffardo: non si rende conto che la sua nave è in realtà diretta a Liverpool. Cecil ha poco più di vent’anni quando sbarca in uno dei porti principali del Vecchio Continente.
Soprannominato Il Duca, per via del suo senso estremo per lo stile e un paio di sottili baffi neri, Parris non perde troppo tempo con Philomena: a soli diciotto anni, la donna è incinta di un maschio, che viene alla luce il 20 agosto 1949 all’Hallam Hospital di West Bromwich. Il piccolo Philip Parris Lynott viene portato al 176 di Raddlebarn Road, nella zona di Selly Park a sud-ovest di Birmingham. Un grande palazzo vittoriano che dal 1943 ospita fino a quindici madri non coniugate con il supporto della Diocesan Rescue Society. La regola è semplice quanto brutale: ogni madre ha tre mesi di tempo per decidere se tenere o no il proprio pargolo, altrimenti affidato alle cure di famiglie più stabili. Introdotto tre anni prima, il Family Allowances Act prevede il pagamento di tre scellini alla settimana come forma di welfare per le madri in difficoltà, ma è valido solo ed esclusivamente per i secondi figli. Philomena Lynott è esclusa dagli aiuti, ma decide di andare avanti e sbarcare il lunario, trasferendosi di continuo nei sobborghi malfamati di Birmingham, Liverpool, Leeds e Manchester. Il piccolo Philip viene spesso curato da badanti e addetti ai servizi sociali, mentre Phyllis lavora di notte, tutto quello che trova.
I veri problemi arrivano però con la nascita della secondogenita Jeanette, in un ospedale di Liverpool nella primavera del 1951. Ufficialmente figlia del Duca – in realtà frutto dell’amore fugace con un misterioso funzionario americano in visita a Liverpool – Jeanette entra come una bomba in una situazione già critica, con Parris che ha lasciato la città per trasferirsi a Londra. Nel giugno 52 arriva un terzo figlio, James Arthur, frutto di una nuova relazione con un altro statunitense di origine africana di nome Jimmy Angel. A tre anni, Philip si affeziona molto a Jimmy, che decide improvvisamente di tornarsene negli States. Incapace di mantenere una famiglia così numerosa, Philomena concede l’affidamento sia di Jeanette che di James tra il 1953 ed il 1954. L’impatto è devastante su Philip, che a quasi sette anni colleziona solo rimproveri alla Princess Road Junior School di Moss Side, Manchester. “Deve essere abituato a formare una abitudine regolare di puntualità”. Quando le lezioni finiscono, nessuno lo va nemmeno a prendere.
Intrappolata da paure e paranoie sulla crescita di suo figlio, Philomena prende l’ultima decisione: a Philip farà sicuramente bene trasferirsi dalla nonna Sarah, nel tranquillo e rigoroso sobborgo di Crumlin, a Dublino.
Nata a nord di Dublino nel 1898, Sarah Finn è la classica mammy irlandese, una roccia di stabilità e sicurezza quasi impossibile da scalfire. A differenza del marito Frank Lynott, taciturno e bevitore, la nonna di Philip è una di quelle personalità da tutto è possibile se lo si desidera. Quando arriva a Crumlin nell’estate del 1957, il giovanissimo Phil balza subito in un mondo fatto di duro lavoro, studio e senso estremo di irlandesità. Sarah non ha mai approvato le scelte della figlia – in realtà non sa nemmeno che ha avuto altri due pargoli – così è assolutamente determinata a crescere Philip nella maniera più ordinata possibile. Nonostante il colore scuro della sua pelle, il primo figlio di Philomena viene accettato dalla nuova famiglia, che resiste alle sempre più frequenti battute degli altri locali: “Che Dio lo benedica e lo riporti in Africa da chi si prenderà cura di lui”. Quando entra alla Scoil Colm Christian Brothers’ School (Cbs) nell’agosto 1957, Phil attira l’attenzione di tutti con quei suoi capelli ricci così vistosi. C’è chi gli urla “blackie”, chi “baluba”. A spalleggiarlo durante gli scontri più violenti è il piccolo nuovo amico Brian Downey, dublinese di quasi due anni più piccolo.
Mentre impara velocemente a parlare un perfetto irlandese, Philip affronta un periodo molto duro nella sua infanzia, terrorizzato dai gestori della Cbs, che pensano di poter gestire i loro alunni più o meno come i nazisti con gli ebrei. Lynott torna spesso a casa con segni di percosse e abrasioni da cinghia, ma riesce fin da subito a evitare il peggio grazie a un carattere sempre più sveglio e intuitivo. È un periodo in cui a dominare è il pensiero unico del nazionalismo irlandese di matrice cattolica, dove gli irlandesi sono i buoni mentre i britannici i cattivi. Una continua propaganda fin dai primi gradi scolastici, che ovviamente non lascia spazio alcuno a creatività, poesia e letteratura. La forza del messaggio è tale che all’inizio Philip si interessa alla chiesa, pensando di farsi prete. Intenzione presto svanita, ma resta sicuramente un senso profondo di essere irlandese – a maggior ragione perché di origini africane – e una vicinanza alla mitologia cattolica e patriottica. Si appassiona, infatti, alla cosiddetta Ulster Cycle, saga epica medievale sulla creazione della vera Irlanda, oltre che alle storie a fumetti quando a nove anni disegna la sua prima striscia di otto pagine su Superman.
È il 1962. In un piccolo appartamento di Sundrive Road, a Crumlin, ci sono due ragazzini di dodici e tredici anni che tengono lezioni private di chitarra per chi vuole imparare a suonare uno strumento. Sono i primi anni del boom del beat, e sono in tantissimi gli adolescenti che vogliono evadere con sogni di grandezza nel music business. Frankie Smith e Hugh Feighery sono entrambi studenti alla Cbs e con gli amici Danny e Mick hanno da poco formato un gruppo. Non hanno un cantante, così pensano di ingaggiare Peter Lynott e “usare” Philip per convincerlo, dal momento che è suo zio. Peter ha esperienza in diverse band locali e accetta, formando ufficialmente gli Eagles in formazione a cinque. A guidarli c’è un manager dai modi militareschi di nome Joe Smith, ovvero il padre dello stesso Frankie. Joe vuole subito far suonare i ragazzi tra cinema ed eventi benefici, cercando immediatamente di trovare una identità per distinguerli tra centinaia di boy band che suonano Elvis e Beatles per le strade di Dublino. Peter fa un passo avanti e suggerisce a Smith di assoldare suo nipote Philip, che nel frattempo ha maturato un look stravagante che è potenzialmente perfetto per distinguersi in giro. Phil non sa fare granché, sicuramente è intonato anche se timido, ama moltissimo la musica, è amato da parecchi, soprattutto dalle ragazzine. È quindi la figura perfetta per guidare gli Eagles.
Con l’arrivo di Philip, la band decide di cambiare nome in Black Eagles, per motivi tra l’ovvio e una passione comune per il fumetto Dc Comics Blackhawk. All’inizio la formazione è a sei membri, con Peter e Phil a condividere il palco da frontmen. Lo zio resta però non completamente asservito alla causa, e il problema dei dividendi risolve la cosa subito dopo, lasciando spazio a un solo Lynott. Tra il 1963 e il 1967, i Black Eagles si esibiscono ovunque, mentre il loro unico e solo frontman prende sempre maggiore dimestichezza con il canto e la presenza su pur piccoli palchi.
Il materiale è ovviamente altrui, da “Blue Suede Shoes” a diversi brani dei Kinks, poi Yardbirds e Ray Charles. Tutto il repertorio generalmente nella Top Twenty di quegli anni, come fanno le tipiche showband irlandesi, che suonano dalle quattro alle sei ore a notte per sei notti a settimana. Come dei juke-box umani, i Black Eagles si esibiscono senza soluzione di continuità nelle ballroom locali, con un piglio professionale inedito rispetto ai loro coetanei. La fama locale del gruppo cresce, i concerti si allargano a diverse città dell’Irlanda, con il pubblico curioso di vedere all’opera uno strambo cantante dai capelli voluminosi e lo sguardo magnetico. Philip si immerge totalmente nella cultura beat del periodo, abbandonando gli studi che non lo hanno mai interessato più di tanto.
Il 1965 vede l’ingresso nei Black Eagles del batterista Brian Downey, già compagno di scuola di Lynott alla Cbs. Figlio di un musicista, Brian inizia a suonare all’età di 13 anni in alcune band locali, Liffey Beats e Mod Con Cave Dwellers. Ragazzo prodigio, Downey è un tipo taciturno e tranquillo, di lui si dice che “non è un batterista, ma un musicista che suona la batteria”. Durante una esibizione dei Black Eagles alla St Paul’s Hall, i Mod Con fanno da gruppo d’apertura. Downey è particolarmente impressionato dalle doti di Lynott, che lo invita a provare “You Really Got Me” dei Kinks per riformare la sezione ritmica del suo gruppo. Ormai lider maximo dei Black Eagles, Philip sostituisce l’amico Feighery con Alan Sinclair alla chitarra.
I cambiamenti non arrivano solo a livello musicale, perché nel 1965 si innamora della quindicenne Carole Stephen, dal sobborgo di Drumcondra. I due sembrano subito inseparabili e quando lei ha la tonsillite, riceve uno dei primissimi scritti originali di Phil, che nel frattempo sperimenta i primi vizi: drink e sigarette. La sua altra passione è il cinema, che lo colpisce con il suo immaginario e i suoi personaggi archetipici, in particolare il genere western. È talmente rapito dal grande schermo che costringe i suoi compagni di band a partecipare a un film amatoriale dove si auto-propone come regista. È un periodo ricco di stimoli ma anche di problemi con la sua famiglia, dopo la morte di nonno Frank che gli spezza il cuore. A fare da nuovo patriarca è lo zio più anziano Timothy, che lo costringe a tornare a casa tra le dieci e le undici di sera ma allo stesso tempo gli offre la possibilità di accedere a tantissima musica in formato Lp, da Mose Allison agli Who. A questi si aggiunge la musica comprata dallo stesso Lynott con i pochi scellini guadagnati dai concerti: Sinatra, Mothers of Invention, Velvet Underground. Phil è una spugna, assorbe tutti gli stili e i generi più di nicchia verso la fine degli anni 60.
Eire (1967-1969)
Fine estate, 1967. Phil Lynott riceve una inattesa telefonata da Brendan Shiels, per tutti Brush, omaggio al suo look dall’imponente chioma e da un paio di vistosi baffi scuri. Brush ha suonato il basso nella Uptown Band, gruppo dublinese devoto al flower-power sound, ed è un ragazzone di ventidue anni molto estroverso, a caccia di fama e fortuna. La telefonata arriva per un motivo ben preciso: la sua nuova band, gli Skid Row, ha bisogno di un cantante dopo aver assoldato Noel Bridgeman alla batteria e Bernard Cheevers alla chitarra solista. La fortuna tanto agognata da Shiels bussa alla porta di Philip, che si trova al momento libero visto che i Black Eagles hanno suonato per l’ultima volta dal vivo ad agosto al Moran’s Hotel di Dublino. Lynott sta mettendo in piedi una nuova band chiamata Kama Sutra, influenzato dai nuovi gruppi della West Coast americana, ma è solo una prima idea. A ottobre, Brush prende un bus per presentarsi alla porta di casa Lynott e non ha bisogno nemmeno di parlare con Phil, perché quando lo vede in faccia sa perfettamente che è il suo uomo. Non c’è nemmeno il tempo e la voglia di fare un audizione: se lo vuole, il lavoro è tutto suo. Quando si presenta alle prime prove con gli Skid Row, indossa un vistoso vestito hippy, attaccando sulle note di “Hey Joe”. Cheevers non è convinto, ma per Brush non c’è alternativa migliore a questo strambo e magnetico vocalist, che ricorda tantissimo Jimi Hendrix che nel 1967 è la nuova pietra angolare dei piccoli gruppi blues-rock tra Irlanda e Inghilterra.
Nella foga generale, Brush non ha considerato però vedute piuttosto differenti in ambito musicale. Shiels è un fanatico del soul, del blues e del rock poi denominato “classico”, mentre Lynott parla di Paul Simon, Nico e Velvet Underground. Le prime prove degli Skid Row si tengono su O’Connell Street, nella tenuta di Kathleen Quigley, personaggio noto a tantissime band locali che possono esercitarsi senza pagare nulla. Agli inizi del 1968, dopo pochi mesi di prove, la band di Brush è già considerata la migliore sulla scena irlandese. Il repertorio è composto interamente da cover, dai Beatles ai Byrds. Lynott si compra un Binson Space Echo per creare nuovi effetti vocali nello stile del West Coast sound che ha inondato l’altra sponda dell’oceano. Altro elemento che contraddistingue la band, un uso di luci liquide alla maniera dei Grateful Dead e filmati proiettati per un suono immersivo come i Velvet Underground.
Mentre Shiels decide la direzione stilistica, Phil si occupa principalmente della parte più scenica, portando i trend della sottocultura e uno squisito gusto artistico. Il peso di Lynott come frontman degli Skid Row cresce esponenzialmente, attirando l’attenzione di tutto il paese. Terminati gli studi, Philip accetta il suo primo lavoro per avere un budget personale a disposizione, una esperienza che sarà breve all’interno di una locale fonderia d’acciaio. È infatti allergico alla pratica manuale, vuole sfondare nel mondo della musica e i soldi arriveranno solo grazie a quella unica strada per potersi divertire in giro su Grafton Street con gli amici e coltivare il talento artistico e una grande passione per l’altro sesso.
Phil veste sempre più sgargiante, con stivali da donna, gioielli fatti a mano e tagli di capelli alla moda. Di giorno e di sera si sta in giro, tra una pinta di birra e l’altra, mentre la notte ci si sposta ai tantissimi locali beat di Dublino, dal Number Five al Club A Go Go.
Con la nuova fidanzata, Carole Stephen, Lynott è sempre il re della festa, un personaggio carismatico che piace a tutti per la sua sagacia e il suo umorismo. Brush è però in disaccordo con il suo cantante solista, non vuole assolutamente che Carole assista ai concerti degli Skid Row, perché la vede come una inutile distrazione e una personalità disturbata, visto che sono frequenti i suoi attacchi di gelosia e le liti con Phil. All’inizio del 1968 Carole sgancia la bomba: Phil diventerà padre entro l’anno. E se le colpe dei padri ricadono sui figli, Lynott va fuori di testa e non accetta di prendersi cura del futuro pargolo, costringendo di fatto Carole a ritirarsi nel centro per madri non sposate noto come Manor House, gestito dal convento delle Sacred Heart Sisters a oltre 60 miglia a nord di Dublino. Nemmeno due giorni dopo la nascita, il primo figlio di Phil Lynott viene dato in affidamento da Carole, che vuole tornare a casa senza più pensieri angoscianti. Ovviamente, la sua relazione con il cantante degli Skid Row è finita.
Come un giovane Bowie, Lynott è come una enorme spugna che si nutre di assorbimenti culturali e musicali nella frizzante vita mondana di Dublino. Uno degli incontri più importanti nel corso del 1968 è con i membri fondatori della band psichedelica Dr Strangely Strange, risposta irlandese alla Incredibile String Band. Residenti al 55 di Lower Mount Street come una comune di artisti e intellettuali della musica, gli Strangely sono sotto la protezione di Patricia Mohan, meglio nota come Orphan Annie, soprannome che non passa certo inosservato agli occhi di Phil. La tenuta di Mohan, dal nome ovvio di Orphanage, diventa una seconda casa per Lynott e i suoi nuovi amici, un posto dove chiacchierare, bere, dormire.
Nel mentre, Brush si è innamorato a prima vista di un giovanissimo prodigio della chitarra di nome Gary Moore, all’epoca impegnato nei Method e subito invitato a suonare negli Skid Row dopo una esibizione al Club A Go Go, in sostituzione di Cheevers che sta per lasciare la band per un lavoro da elettricista per la Guinness. Nativo di Belfast, Moore viene accolto da Lynott come un fratello minore, portato in giro per i caffè e i pub della città per conoscere tutti i suoi elettrizzanti segreti. Gary entra negli Skid Row giusto in tempo per registrare il primo singolo della band, che poi è anche la prima volta che lo stesso Lynott mette piede in un vero studio di registrazione. Il brano si intitola “New Places, Old Face” ed è scritto da Shiels con un feel simile a certi brani degli Stones come “Ruby Tuesday”, avviluppato su una gentile architettura folk intimista. Quello che sembra un punto d’inizio è però una fine, anche piuttosto traumatica.
Mentre Moore continuerà la sua avventura nel gruppo verso il disco d’esordio, Lynott dice addio, contrario alla direzione musicale voluta da Shiels, che sta pensando a un power-trio in stile Experience e Cream. Lo stesso manager Roy Esmonde prende da parte Brush dopo una esibizione in tv e gli consiglia di far fuori Lynott, la cui voce è ritenuta troppo piatta. Shiels non è più convinto dalle sue pose sul palco alla Roger Daltrey, mentre si scopre che le sue tonsille sono da asportare. Lynott vola a Manchester per l’operazione, con gli Skid Row che continuano a provare e registrare demo senza di lui. Al ritorno in Irlanda, è lo stesso Brush che prende di petto la cosa e come un manager di una squadra di calcio gli annuncia che è arrivato il momento di separarsi.
Separazione, un concetto emotivo che manda Lynott fuori di testa. Divorato dal rimorso, Shiels propone a Phil di insegnargli a suonare il basso, per rimettersi subito in pista con una nuova skill da musicista oltre che di cantante ritenuto “troppo piatto”. L’amico e traditore Brush gli regala un Fender Jazz e lo accoglie per cinque giorni alla settimana nella sua casa di Cabra West. Lynott è determinato più che mai a fargliela pagare, musicalmente parlando.
Look what the wind blew in (1969-1970)
Licenziato dagli Skid Rown, Phil Lynott è deluso e indurito dall’ennesimo abbandono subito nella sua prima parte di vita. Arrivano così le prime sperimentazioni con le droghe che invadono le strade di Dublino, dagli acidi della cultura psichedelica a nuove sostanze che lo tengono sveglio e attivo giorno e notte. Le sostanze lo aiutano a supportare una reale mancanza di stima verso se stesso, garantendogli quell’attitudine menefreghista verso gli accadimenti del mondo esterno. Stringe amicizia con Percy Gibbons e per un momento pensa di entrare a far parte del suo gruppo, i Garden Odyssey Enteprise, che hanno da poco lanciato il singolo psichedelico “Sad And Lonely”. Lynott continua a frequentare assiduamente la tenuta nota come Orphanage, dove erba e acidi viaggiano a ritmi serrati e la musica hippie-folk fa da padrona.
In compagnia dei poeti più promettenti d’Irlanda, Phil mastica note e parole, forgiando il suo talento creativo da songwriter. Si unisce al collettivo dei Tara Telephone, appena fondato da musicisti e poeti locali come Brian Patten e spinto dal disc-jockey John Peel. A novembre viene invitato al Trinity College dove i Tara Telephone hanno organizzato un raduno per la Arts Society, cogliendo al volo l’occasione di esibirsi da solista con chitarra acustica e voce, sulla falsariga di quel genere tra l’assurdo e la psichedelia che Marc Bolan sta portando alla luce con i Tyrannosaurus Rex. Una delle sue primissime composizioni è “The Death Of A Faun”, inspirata dai racconti mitologici di Oisìn e dal Fenian Cycle. Da parte dei suoi amici artisti, nessuna grande eccitazione. Poi decide che la poesia e le reminiscenze mitologiche possono convivere con l’emozione personale e i fatti di vita vissuta. Canzoni come “Dublin” e “Saga Of The Ageing Orphan” sono molto più distintive e colpiscono l’amico Brian Downey che intravede qualcosa di potente.
Lynott accresce il culto della sua personalità, convinto che per sfondare debba agire come un numero uno. Potenzia a dismisura il suo carattere brillante, agendo da star anche davanti a una pinta al pub. Nell’autunno del 1969 arriva il momento di fare sul serio, così viene fondata la band Orphanage, influenzata dal sound dei Dr Strangely Strange e composta da Lynott alla voce, Brian Downey (ex-Black Eagles e Sugar Shack) alla batteria, Pat Quigley (dai Movement) e il chitarrista Joe Staunton (ex-Macbeth). L’idea viene dallo stesso Philip, che ovviamente si candida a leader del gruppo e suggerisce il nome per rimarcare un essere orfani sia personalmente che musicalmente. Nella band vengono accolti a giro nuovi membri come Terry Woods (poi nei Pogues), Gary Moore alla chitarra e gli stessi Dr Strangely Strange. Persino il mitico Paddy Moloney dei Chieftains. Il repertorio è ovviamente zeppo di cover, da Chuck Berry a Bob Dylan, con un approccio molto pastorale e folk che ricorda i primi Fairport Convention. “Una band strana – ricorderà Quigley – un miscuglio di rock, primo heavy metal e roba hippie”.
Gli Orphanage non hanno vita lunga, si esibiscono in diverse città irlandesi fino agli inizi del 1970 e registrano persino qualche brano originale come “You Fool, You”, uno standard blues. Un’attività molto più blanda di quella degli Skid Row che nella formazione a tre con Moore volano a Londra per registrare il loro primo album con la Columbia Records. Ma a vent’anni Lynott sta crescendo sul palco, suonando il basso con maggiore scioltezza e perfezionando le sue doti vocali tanto bistrattate. È tutto ormai apparecchiato per il prossimo e decisivo passo, una nuova band chiamata Thin Lizzy.
Eric Roben Bell è nato il 3 settembre 1947 a Belfast, Irlanda del Nord. Due anni più grande di Lynott, è un musicista già navigato. La sua chitarra ha già prestato servizio in diverse band: Deltons, Shades of Blue e Bluebeats, ma soprattutto nei Them di Van Morrison, per un breve periodo nel 1966. Appassionato di blues e fanatico di Hendrix, Bell ha lasciato la scena R&B di Belfast per lavorare a Dublino nella showband di John Farrell, i Dreams. Una scelta più economica che di cuore, perché i Dreams riescono a piazzare diverse hit nella Top Twenty irlandese tra il ’68 e il ’69. Il successo e il denaro però non sono tutto per Eric, che sente un vuoto a livello professionale, dal momento che il suo ruolo nei Dreams è bloccato. Non può provare distorsioni, assoli o feedback a meno di sentirsi dire: “Finiscila, Ravi Shankar”. Tutto nei Dreams è controllato, dalle attitudini personali ai vestiti sul palco, l’esatto contrario degli Orphanage di Lynott. D’impulso, Bell decide di sfruttare i soldi accumulati per uscire dalla band e mettersi alla ricerca di un bassista e un batterista con cui formare un trio di musica blues. Ma non trova riscontri e inizia ad andare nel panico perché i soldi stanno finendo. Alla fine, mentre è in giro a cercare compagni di band, si imbatte in un tastierista di nome Eric Wrixon, altro ragazzo di Belfast che ha in comune con Eric una breve militanza nei Them. Eric è da poco tornato dall’Inghilterra dove ha suonato con i Trixons, così condivide con Bell qualche birra e un acido prima di andare in un locale gestito da un amico che li avrebbe fatti entrare gratis. Sul palco arrivano gli Orphanage che attaccano con Bob Dylan, con questo strano frontman che balla una danza egiziana e un batterista fenomenale. Bell conosce Lynott solo di nome, ma si presenta in camerino per fargli i complimenti e chiedergli se per caso conosce dei musicisti che vogliano unirsi a lui ed Eric per formare un power-trio. Philip ci pensa molto poco e convince Downey, ma pone a Bell due condizioni: lui sarà il bassista e la band eseguirà alcune sue composizioni originali.
Il giorno successivo, Philip si presenta a casa di Eric Bell per fargli ascoltare un demo con alcune canzoni che ha scritto in acustico: “Dublin”, “Chatting Today” e “Diddy Levine”. Eric è impressionato e già si immagina la sua chitarra a ricamare note in elettrico. Il 1° gennaio 1970 un articolo sulla rivista New Spotlight annuncia che Bell lascia i Dreams e forma una band senza nome con Eric Wrixon alle tastiere, Philip Lynott al basso e voce, Brian Downey alla batteria. Le prime prove si tengono in un basement dietro il Band Centre Shop, poi al Temple Oak Tennis Club. Si tratta per ora di jam blues, ma Downey rimane impressionato dalla tecnica di Bell, mentre il basso di Phil è ancora troppo grezzo ma già efficace. Uniti da una inattesa alchimia, i quattro provano incessantemente, anche a tarda notte dopo gli ultimi concerti che Lynott deve onorare con gli Orphanage, che si dissolveranno senza troppe frizioni.
La prima esibizione ufficiale dei Thin Lizzy – il nome viene ufficializzato alla stampa il 21 febbraio 1970 ed è ripreso su idea di Bell da un personaggio robot nel fumetto The Dandy che si chiama Tin Lizzie – è nella school hall di Cloghran, a nord di Dublino. Più che un concerto vero e proprio, è una sorta di prova dal vivo, elaborata quasi per vedere l’effetto che fa.
John D’Ardis è un amico di Philip e ha aperto da poco un piccolo studio di registrazione in Hagan’s Court, chiamato Trend. A caccia di notorietà, offre a Lynott la possibilità di lavorare gratis sulle prime tracce dei Thin Lizzy in cambio di un passaparola. È l’occasione migliore per registrare delle versioni embrionali in acustico, con il contributo di bonghi, flauto e pianoforte. Alle sessioni partecipa anche Gary Moore, che porta la sua chitarra in un ambiente ancora impregnato di folk pastorale e ritmi rilassati e poetici. Eppure, la scelta del primo singolo, “The Farmer”, sembra venire da una band completamente diversa: un gradevole numero country-rock in perfetto stile The Band. Come B-side viene scelta “I Need You”, che non è nemmeno un brano dei Lizzy ma una traccia creata da D’Ardis in stile Blood, Sweat & Tears con una intepretazione soul di Lynott e gli effetti chitarristici in overdub di Bell. “The Farmer” esce il 31 luglio 1970 per l’etichetta Emi Ireland in 500 copie, di cui sole 283 vendute sul mercato locale nonostante la pubblicità radiofonica. Sulle locandine piazzate abusivamente su O’Connell Street non c’è stranamente traccia di Eric Wrixon, che viene subito dopo fatto fuori dal gruppo, per questioni sia economiche che di amalgama personale.
I Thin Lizzy diventano un trio, come nelle iniziali intenzioni del loro chitarrista, e non si fanno scoraggiare dalle scarse vendite del primo singolo. Continuano imperterriti a provare lunghe jam dal vivo, a caccia di un sound che diventerà leggendario.
Saga of the Ageing Orphan (1970–1971)
Nonostante gli scarsi risultati in termini di vendite del singolo “The Farmer”, i Thin Lizzy nella nuova veste a tre iniziano a guadagnare seguaci. Dopo il loro ingresso nella top three delle migliori band irlandesi secondo la rivista New Spotlight, nell’autunno 1970 i locali che ospitano le loro esibizioni dal vivo sono sempre più pieni. Non è ovviamente una questione prettamente musicale, piuttosto di presenza scenica e coolness. Se il nome della band è ancora sconosciuto, la fama locale dei suoi tre membri è sicuramente conclamata, e pazienza se il repertorio è ancora zeppo di cover: Jimi Hendrix, Jeff Beck, Rolling Stones, anche Martha & The Vandellas. Ma le cover lasciano rapidamente il passo ai primi brani scritti da Lynott, come “Look What The Wind Blew In”. Philip è al settimo cielo perché sta realizzando il suo sogno: una band rock che gli lascia totale spazio espressivo. In aggiunta, la sua praticità da bassista è notevolmente migliorata, tanto da far pensare a un parente di Jack Bruce. Sulla falsariga di diverse band californiane, Lynott propone ai suoi nuovi compagni di andare a vivere insieme, come in una comune hippie, al 28 di Castle Avenue a Clontarf, sud di Dublino.
La nuova vita di Phil ed Eric è fatta di colazioni a base di tisane, enormi canne d’erba e musica in rotazione continua, di tutti i generi. Al duo si aggiungono presto le rispettive nuove ragazze, tra cui la diciottenne Gale Róisín Barber, appena fuggita da Belfast per iniziare una vita più intensa ed eccitante. Il rapporto con Gale durerà diversi anni, ma non comporterà mai inviti ai concerti dei Lizzy, nemmeno a quegli sporadici momenti in cui Lynott si ricongiungerà con Philomena. In poco tempo, la casa di Castle Avenue diventerà un surrogato della tenuta di Orphanage, un porto di mare sempre aperto ad amici, musicisti, artisti. I cosiddetti “Clontarf Cowboys” sono tra i trenta e i quaranta strambi personaggi che a intervalli regolari si scatenano tra feste epiche e sbronze colossali. È la casa del vizio, tra sostanze psicotrope e qualsiasi tipologia di bevanda alcolica. Purtroppo, nel mezzo capita qualcosa di peggio e si dice che sia a soli ventuno anni che Philip Lynott inizi a fare uso di eroina. La causa è da rintracciare nell’amicizia con il chitarrista Jimmy Faulkner, già nella Jingle Jangle Band e poi insieme al soul-singer locale Ditch Cassidy.
L’utopia hippie di Castle Avenue non può durare a lungo: oltre cinquanta residenti firmano una petizione consegnata a mano a casa Lynott per chiedere formalmente di abbandonare il domicilio al numero 28. Philip decide di trasferirsi in un monolocale con la sua nuova ragazza Gale Barber, prima di esibirsi il 4 settembre al primo grande festival irlandese che si tiene al Richmond Park, casa della squadra di calcio St Patrick’s Athletic. Giusto il week-end precedente si è tenuta la terza edizione del Festival sull’Isola di Wight, che ha visto esibirsi Jimi Hendrix, The Who e The Doors. La polizia ha perciò attenzionato la prima edizione del Dublin Open Air Pop Festival, temendo disordini e caos dovuti dagli hooligan. Al Richmond Park si presentano però circa mille persone, portando Lynott a soffermarsi sulla società irlandese, ancora lontana anni luce dall’essere moderna e realmente anti-conformista come la vicina Inghilterra.
Dopo un’ottima esibizione al programma tv Like Now!, i Thin Lizzy incontrano Brian Tuite, approcciato dal loro manager Terry O’Neill che è in cerca di un socio per gestire la band. A differenza di O’Neill, Tuite ha esperienza, avendo fatto da manager ai Granny’s Intention e gestendo in prima persona il negozio di strumenti musicali Band Centre. Tuite chiama il socio Peter Bardon, che controlla un’agenzia di promozione molto forte nel circuito delle showband irlandesi. Bardon accetta di investire nei Lizzy, a patto che O’Neill venga fatto fuori. Nell’autunno 1970, Bardon e Tuite sono i nuovi manager dei Thin Lizzy per una cifra nominale di circa 200 sterline.
A differenza di Peter, che ne fa una questione meramente economica, Tuite è invece appassionato del lavoro di Lynott e soci, mettendosi subito alla caccia di una etichetta discografica. È infatti amico di Frank Rodgers, dublinese trapiantato a Londra per lavorare con la Decca. Lo contatta e gli propone un’audizione per il soul singer Ditch Cassidy, ma ecco il colpo di genio: sostituire la band di Cassidy con i Thin Lizzy. “Dissi ai ragazzi, ascoltate: Frank verrà qui per ascoltare Ditch, ma non andrà da nessuna parte senza di voi a bordo…”.
Confermando le previsioni di Tuite, Frank Rodgers si presenta al locale notturno Zhivago e resta particolarmente colpito da questo trio che accompagna Cassidy, su tutti il bassista, che ha un potenziale enorme. Finita l’audizione, al vicino pub, Rodgers propone un contratto per un primo disco con la Decca ai Thin Lizzy, mentre il povero Ditch dovrà accontentarsi di un singolo per la sussidiaria Deram. Dopo aver ascoltato i brani scritti da Lynott, Frank è convinto che il potenziale è ottimo per un disco d’esordio e consiglia a Tuite di volare a Londra per incontrare il boss della Decca, Dick Rowe, famoso nella storia della musica per aver rifiutato i Beatles. Il 12 novembre 1970 i “Tin Lissy” firmano un contratto di solo un anno con opzione di rinnovo per altri due con un totale di tre album da produrre, ottenendo subito un anticipo di 500 sterline più altre 500 a disco finito.
Il momento è così arrivato: il 3 gennaio 1971 la band si imbarca per Londra, dopo aver concesso l’ultima esibizione in patria all’Afton Club di Dundalk. Sulla nave per l’Inghilterra, Lynott incontra casualmente il disc-jockey John Peel, che apprende dell’imminente uscita di un primo disco dei Lizzy promettendo di promuoverli a dovere in radio. Arrivati a Londra, Lynott e soci entrano in una guesthouse in Sussex Gardens, vicinissima agli studi Decca a West Hampstead. Le sedute di registrazione iniziano il giorno dopo, turni fino a dieci ore al giorno per una sola settimana insieme al produttore e cantautore statunitense Scott English, che ha già lavorato insieme a Jeff Beck ed è stato esplicitamente indicato dalla Decca. Soprannominato “arbitro” dalla stessa band, English entra subito in contrasto con Lynott perché vuole abbassare i volumi del basso: “Riferisci a quel fottuto yankee di andare affanculo”, dirà Phil a Tuite con il microfono aperto. L’unico musicista esterno coinvolto nel disco è Ivor Raymonde – suona la parte di mellotron in “Honesty Is No Excuse” – che è invece colpito dal talento di Lynott e lo subissa di complimenti: “Se non fa casini, potrebbe scrivere qualcosa come “My Way”.
Thin Lizzy viene così registrato in un contesto di innocente spensieratezza, tra materiali sonici dagli stili più disparati e le prime gemme ancora grezze di Lynott, con un consumo spropositato di erba dalla mattina alla sera. Molte delle canzoni presenti sono state provate dal vivo per un anno intero prima delle sedute alla Decca, figlie di un approccio alla musica da jam-band agli inizi degli anni 70. “The Friendly Ranger At Clontarf Castle” sviluppa il canto in formato spoken-word di Lynott su un tappeto orientaleggiante di basso pulsante, chitarra psichedelica e batteria sincopata. Nessuna ambizione di produrre una canzone fatta e finita, piuttosto una piccola jam di tre minuti che nasconde tra le sue pieghe affascinanti il lavoro di una band che diventerà leggendaria. “Honesty Is No Excuse” cambia radicalmente tono virando verso un soul-pop orchestrale condotto da quella “voce piatta” che sta prendendo il volo. Aperta dall’acquerello acustico prodotto dalla chitarra di Bell, la lunga “Diddy Levine” è il primo tra i mini-drammi in formato musicale scritti da Lynott per raccontare il suo traumatico passato di bambino abbandonato. L’interpretazione vocale è da brividi, mentre gli strumenti si lanciano in una piccola opera rock che nella parte centrale sfoga in una magistrale hard-jam.
L’alchimia tra i tre è effettivamente impressionante, e probabilmente Thin Lizzy è l’unico album dove si può ascoltare un approccio completamente spassionato e genuino da parte del gruppo. Mentre Bell si diverte pestando sul wah-wah nello space-rock hendrixiano “Ray-Gun”, la capacità di suonare in trio deve comunque ancora fare il definitivo tagliando nell’entusiasmante quanto confusionaria “Look What The Wind Blew In”. La prima direzione da songwriter vira con decisione verso un dream-rock in stile “Astral Weeks”, come nella breve gemma “Eire” che propone l’eroismo celtico con un canto mistico che nelle intenzioni iniziali doveva essere in lingua irlandese. Se “Return Of The Farmer’s Son” riprende l’approccio ancora confuso da jam-band tra rock progressivo e sonorità hard, “Clifton Grange Hotel” rievoca il passato con Philomena nei sobborghi su una interessantissima psichedelia figlia di tantissime influenze dalla West Coast. Così come “Saga Of The Ageing Orphan” è una intima folk ballad in stile Van Morrison che Lynott conduce dolcemente sul dipanarsi della sua travagliata adolescenza.
Nonostante abbia compiuto solo da poco i vent’anni, Phil ha la conduzione di un veterano, piazzando sull’album che dovrebbe lanciare definitivamente la sua arte una malinconia come quella del finale “Remembering Part 1”, alla ricerca di una casa felice e di un vero padre, sui feedback distorti di Eric Bell. Proprio questo fa di Thin Lizzy un disco molto più importante di quello che sembra a chi non intravede una precisa direzione sonica.
Whiskey in the Jar (1971–1973)
Con un primo contratto discografico in tasca, i Thin Lizzy sono ormai considerati il miglior gruppo irlandese del momento. Dopo aver finito il primo album agli inizi di gennaio, Lynott e soci tornano a Dublino per continuare a esibirsi fino a primavera. Phil si trasferisce nell’appartamento natio di Brian Tuite a Donnybrook, ma è perfettamente consapevole che sarà solo per pochi mesi: in vista dell’uscita di Thin Lizzy nell’aprile 1971, la band dovrà spostarsi definitivamente a Londra, anche se malvolentieri. Fiero irlandese fino al midollo, Lynott non vorrebbe cedere alla potenza inglese, ma deve farlo per lanciare al meglio la sua carriera, trasferendosi con Gale Barber e Ted Carroll, ex-manager degli Skid Row a cui Tuite chiede di gestire gli interessi della band a Londra. Sbarcati nuovamente nella capitale inglese, i Thin Lizzy vengono accolti nell’indifferenza più totale, loro che sono considerati in Irlanda “la migliore band del momento”.
È così arrivato il momento di pigiare sull’acceleratore del van rosso noleggiato da Tuite e macinare miglia per tutto il paese, senza fermarsi mai. Lynott, che non sa guidare, vuole sempre stare davanti a ribadire la sua leadership, che inizia a cantare il 23 marzo 1971 davanti al più che esiguo pubblico del Soho Jazz Club di Londra. I Thin Lizzy diventano una “trucking band”, continuamente in tour per il successivo anno e mezzo a supportare chiunque, dai Faces a David Bowie. Tre o anche quattro volte a settimana in concerto, tra club, pub, hotel e università, molte volte senza paga e davanti a un massimo di un centinaio di persone. Una sera suonano addirittura nella cappella di una prigione, nascondendo accuratamente tutta l’erba presente nel vistoso van rosso.
Pubblicato alla fine di aprile, Thin Lizzy passa inosservato dalla critica musicale, vendendo appena 2.500 copie in sei mesi in tutta Europa. Unico a credere nel disco è il disc-jockey canadese David Jensen, che lo manda in rotazione su Radio Luxembourg e lo nomina migliore album dell’anno. Ad agosto viene dato alle stampe l’Ep New Day, composto da quattro brani registrati con Nick Tauber agli studi di Broadhurst Gardens e pubblicato dalla Decca come una sorta di appendice di Thin Lizzy. Nel disco viene inclusa la robusta seconda parte di “Remembering”, che si dipana tra trame chitarristiche orientaleggianti e un cantato più simile a quello di Rod Stewart. La sezione ritmica in chiave free-jazz di “Old Moon Madness” supporta un nuovo spoken-word lisergico, mentre “Things Ain’t Workin’ Out Down At The Farm” mescola space-rock hendrixiano a ritmi funky-soul.
New Day assume particolare valore per la presenza di “Dublin”, emozionante ballata in chiave folk scritta da Lynott come omaggio sentito alla città che lo ha visto crescere, un luminoso acquerello acustico che contribuisce a distinguere un gruppo che non vuole perdere assolutamente le radici, nonostante l’esilio forzato per provare a sfondare nel freddo ma remunerativo music-business.
Phil e Gale si trasferiscono nuovamente, al 61 di Hillfield Road nella zona di West Hampstead, dopo numerosi tentativi andati a vuoto a causa del colore della sua pelle e dell’essere oltretutto irlandese. La fine del 1971 vede i Thin Lizzy suonare ancora in patria, poi una serie di concerti inglesi nel circuito universitario.
Il 10 marzo 1972 esce il secondo album contrattualizzato dalla Decca, Shades Of A Blue Orphanage, che mescola nel titolo i nomi delle precedenti band di Bell e Lynott. Registrato in poche settimane con il produttore Nick Tauber ai nuovi studi De Lane Lea in zona Wembley, il nuovo lavoro targato Thin Lizzy ha una gestazione più difficile del primo. Perché la Decca rifiuta di stanziare un extra-budget per le sessioni di registrazione e soprattutto perché Lynott e soci hanno meno materiale rodato su cui lavorare. I problemi economici della band – a parte Philip che può contare sui diritti d’autore delle sue composizioni, alle brutte sull’aiuto di mamma Philomena – impediscono di fermarsi con i concerti, garantendo meno spazio alle sedute di prova. La verità è che la band non ha ben chiara la nuova direzione sonica, praticamente costretta a produrre un disco durante le stesse sedute di registrazione a Wembley.
Il risultato è un album che delude le aspettative di crescita dei Lizzy, a partire dalla molle danza folk “Chatting Today”, che pure è uno dei pochi brani già scritti da Lynott alcuni anni prima. La breve “I Don’t Want To Forget How To Jive” è un inspiegabile numero old-school dove Lynott fa il verso a Elvis Presley, mentre “Call The Police” vira su un riff interessante sciogliendosi sul suo stesso ritmo funkeggiante. Brano d’apertura dell’album, “The Rise And Dear Demise Of The Funky Nomad Tribes” inizia con una sezione ritmica da giungla, per aggiungere elementi prog e funky nella versione più jam-band possibile, a dimostrazione che l’album sia stato quasi improvvisato sul momento.
In “Buffalo Gal” tornano suoni più melliflui e soulful, mentre “Brought Down” ha tutto il potenziale per essere una grande canzone, ma non sfrutta appieno l’alternanza di acustico ed elettrico.
L’album – che verrà criticato dallo stesso Lynott alcuni anni dopo – è lo specchio di una band in difficoltà, costretta dagli eventi a rallentare la sua corsa. “Baby Face”, ad esempio, è assimilabile a un demotape martellante con un robusto lavoro di chitarra e basso tra vagiti heavy e tessiture latine, così come l’eccessivamente lunga title track inizia con un’atmosfera tra folk e psichedelia hippie per poi aggiungere stravaganti parti di mellotron. L’unico vero lampo di luce dell’album è “Sarah”, toccante ballata di puro folk sognante scritta da Lynott in onore di sua nonna. Per ora, troppo poco per parlare di un passo in avanti nella carriera dei Thin Lizzy.
Shades Of A Blue Orphanage esce sul mercato britannico nella più totale indifferenza. “Che cazzo stiamo facendo? – sbotta Bell – Non succede nulla”. In preda alla frustrazione, Lynott spinge Ted Carroll a fare pressioni sulla Decca, che non ha supportato a dovere i primi due album della band. Si parla dell’entusiasmo di Radio Luxembourg, ma è chiaro che i due dischi non hanno alcuna forza commerciale per sfondare a livello di vendite. In soccorso dei Thin Lizzy arrivano i promoter, che bramano la presenza scenica di Phil e organizzano sempre più date in giro per l’Inghilterra. Nella primavera del 1972 arrivano persino le prime esibizioni al di fuori del Regno Unito, tra Olanda, Germania, Belgio e Svizzera. È un continuo, infinito tour, dove si dorme poco, si mangia ancora meno, ma si beve e fuma tantissimo. Il 3 giugno 1972 è una data curiosa, perché i Thin Lizzy suonano due volte nello stesso giorno, a Peterborough e Liverpool. Persino l’iperattivo Lynott è atterrito: “Cristo santo, come usciamo da questo fottuto giro?”. “ È semplice – gli risponde il suo roadie – Amico, vi serve un disco che spacca”.
Se in Europa gli introiti dei concerti sono ancora bassissimi, in Irlanda il nome Thin Lizzy è un must-have per tantissimi club, disposti a sborsare fino a 200 sterline a serata per averli sul palco. Quando tornano a casa per un tour nel luglio 1972, la stampa locale è in subbuglio per un presunto nuovo singolo che stravolgerà la tradizione Irish, mentre i manager Peter Bardon e Brian Tuite stanno pensando di mollare la gestione di una band fallimentare. I due passano così le redini finanziarie dei Lizzy allo scozzese Chris Morrison e Ted Carroll, subito alle prese con debiti a tre cifre. La prima mossa di Morrison e Carroll è andare negli uffici della Decca per tentare di uscire dal contratto, dal momento che i due album sono andati male e che la stessa etichetta discografica non sembra convinta di promuoverli a dovere. Frank Rodgers non ne vuole sapere: c’è un altro album da produrre e l’investimento è stato fatto, ma è possibile fermarsi al prossimo singolo, se sarà un altro flop allora i Thin Lizzy saranno liberati.
Inizialmente, l’idea del gruppo è di registrare una canzone di Lynott dal titolo “Black Boys On The Corner”, influenzata dal sound di Isaac Hayes e primo tentativo dello stesso Philip di andare oltre le sue radici irlandesi per raccontare le sue origini africane. La band si riunisce nelle poche pause dal tour presso il pub Duke of York a King’s Cross, con l’intento di tirare fuori il nuovo singolo chiesto dalla Decca. In un momento di cazzeggio tra una pinta e l’altra, Lynott si mette al microfono con una Telecaster e inizia a strimpellare la tradizionale “Whiskey In The Jar”, seguito a ruota da Bell e da Downey. “Whiskey In The Jar” è un motivo che Phil conosce fin da ragazzino, uno standard irlandese che risale al XVII secolo, quasi impossibile da evitare per chiunque abbia frequentato Grafton Street. “Gli strati popolari delle isole britanniche nel XVII secolo ammiravano i banditi locali – ha scritto il celebre etnomusicologo Alan Lomax – e in Irlanda, o in Scozia, quando i gentiluomini della strada rapinavano i possidenti inglesi erano considerati dei patrioti. Questi sentimenti ispirarono questa allegra ballata”. “Whiskey In The Jar” è così il racconto di un bandito che ha derubato un soldato o funzionario anglo-irlandese, Captain Farrell, tradito da una donna amata di nome Jenny o Ginny. Di fatto una delle canzoni tradizionali più eseguite nella storia d’Irlanda – dai Dubliners ai Pogues – “Whiskey In The Jar” viene ascoltata quasi di sfuggita da Ted Carroll durante le prove al Duke of York. “Questa sembra una hit!”, esclama senza pensarci troppo. I Thin Lizzy non sono però convinti, perché si tratta di un brano fortemente legato a una tradizione locale e Lynott, in particolare, mira a riscrivere le origini celtiche piuttosto che seguirne pedissequamente le tracce.
C’è un problema: la band non ha pronto un B-side per il nuovo singolo, così accetta di includere “Whiskey In The Jar” che viene registrato in tre sessioni ai nuovi Tollington Park Studios. È una presa diretta dal folklore più intenso, una versione che sembra uscita da un qualsivoglia busker su Grafton Street. Sulla iniziale impalcatura acustica (a due chitarre) viene successivamente montata l’iniziale parte elettrica che Bell riprende dalle pipes che hanno reso famosi i Chieftains. La miscela tra l’interpretazione accorata di Lynott e le parti melodiche di chitarra elettrica di Bell crea una magia che in quel preciso momento non può non portare a pensare di aver sfregato la famosa lampada. Quando il boss della Decca, Dick Rowe, ascolta le due nuove tracce dei Lizzy non ha alcun dubbio: “Whiskey In The Jar” sarà il lato A del nuovo singolo, senza alcuna possibilità di controbattere. La canzone viene tagliata da quasi 6 minuti al classico formato radiofonico di 3 minuti e mezzo, eliminando principalmente le parti di chitarra di Bell e un chorus di Lynott. Phil acconsente perché inizia a credere alla buona riuscita del brano, mentre Eric nutre più di un dubbio sulla direzione che sta prendendo il gruppo. “Whiskey In The Jar” esce il 3 novembre 1972, ma non succede nulla. La miseria di nemmeno venti copie vendute nel primo giorno.
Ma ancora una volta è il “fottuto giro” live che salva i Lizzy, in tournée per un mese con Suzi Quatro a supporto di una delle band più in voga in Uk, gli Slade. Partito dalla Newcastle City Hall, il tour permette alla band di suonare in grandi venue davanti a migliaia di persone. “Tutti erano interessati agli Slade – dirà Eric Bell – a nessuno fregava un cazzo di noi”.
La data di Newcastle parte malissimo: il pubblico scatenato insulta Lynott con epiteti a sfondo razziale, mentre volano oggetti sul palco. Lynott è come bloccato, non sa come rispondere in una situazione del genere. Il tempo di suonare tre canzoni e la band torna nei camerini in uno stato catatonico, inseguita da Chas Chandler, manager degli Slade. “Che cazzo era quella roba! – urla Chandler – Voi siete qui per riscaldare il pubblico, non addormentarlo. Se non vi date una mossa siete fuori dal tour!”. Lynott è atterrito, perché Chandler è uno dei suoi punti di riferimento e gli ha appena urlato in faccia che la sua band fa schifo. Il giorno seguente, i Lizzy devono esibirsi da soli, in vista della nuova data in supporto agli Slade, e ne approfittano per cambiare radicalmente il proprio sound dal vivo. Con un piglio più aggressivo, sia musicalmente che in termini di presenza scenica, Lynott e soci riescono a terminare il tour con Quatro e Slade, ma non hanno vita facile e sicuramente non riescono a fare breccia più di tanto. Ma il tour è una manna dal cielo, perché Phil capisce davvero cosa non funziona, un vero punto di svolta per i Thin Lizzy.
Deciso a cambiare radicalmente il sound della band, Lynott si mette a studiare personalità del calibro di David Bowie e Rod Stewart, autentici fenomeni nell’arte di infiammare le platee. La gente dal vivo vuole vedere il carisma, non basta la qualità delle esecuzioni. Phil studia le pose dei personaggi dei fumetti che ama, prova a mettere il basso tra le gambe puntandolo verso il pubblico. Prova ore e ore davanti allo specchio, per trasformarsi da timido frontman intellettuale a rocker scatenato. Ripensa alle parole di Suzi Quatro che durante l’ultimo tour gli ha detto che non è un vero bassista, ma un chitarrista frustrato. In effetti, l’utilizzo del basso non aiuta il suo bisogno di primeggiare, ecco perché decide di iniziare a usare il plettro al posto delle dita per ottenere un suono più ritmico e diretto.
Al termine del tour con gli Slade, i Thin Lizzy festeggiano il nuovo anno in Irlanda, dove ovviamente “Whiskey In The Jar” resta al numero uno dei singoli per 17 settimane consecutive. A Londra, dopo gli stenti iniziali, il brano arriva sulle frequenze di Radio 1 e la Decca si ritrova improvvisamente con una domanda superiore alle copie disponibili. L’11 febbraio 1973 il brano arriva al numero 6 nella classifica inglese, per 11 settimane nella Top 40, arrivando alla settima posizione anche sul mercato tedesco. In fretta e furia, la band si esibisce in diversi programmi tv tra Francia, Spagna e Olanda, intervistata a Londra dal prestigioso New Musical Express. Phil è al settimo cielo, finalmente sta raccogliendo i frutti di tanto lavoro, grazie a un singolo nato per caso e nemmeno troppo voluto.
The Rocker (1973-1974)
Visto il successo clamoroso di “Whiskey In The Jar”, Carroll e Morrison si presentano immediatamente alla porta degli uffici Decca per rinegoziare il contratto. La proposta sul piatto è una estensione di soli sei mesi, che comprende la pubblicazione di un terzo disco, con un anticipo di 10.000 sterline dalle royalties del singolo e altre 5.000 per promuovere il prossimo lavoro in studio. I Thin Lizzy hanno l’opportunità di suonare in posti più grandi, ma i vecchi problemi riemergono: a parte “Whiskey In The Jar”, il pubblico non sembra eccitato dai brani offerti dal vivo. Lynott ammette alla stampa che la sua band non vuole sembrare una di quelle dedite al folk e alla tradizione irlandese per beoni. Paradossalmente, il brano che fa uscire i Lizzy dall’anonimato è lo stesso che rischia di incarcerarli in una gabbia di birra scura e verdi montagne. Se in molti chiedono alla band di riprendere classici come “Danny Boy”, Lynott pensa appositamente a qualcosa di estremamente diverso per l’uscita del nuovo singolo. “Randolph’s Tango” è un mini-film in musica tra atmosfere romantiche e ritmi latini, che racconta la storia di una señorita e del suo ranchero, che si discosta così fortemente dal precedente da far pensare a una mera provocazione più che a un effettivo cambio di direzione sonica. Qualcosa che sta solo nella mente di Lynott che vuole scappare da quel maledetto singolo che “lo inseguirà per tutta la vita”, premiato solo dai fan più sfegatati in Irlanda.
Nella primavera del 1973 è tempo di un nuovo tour irlandese, acclamato dalle riviste di settore per un inatteso dinamismo ritmico e una presenza più forte di Lynott sul palco. Tornati a Londra, i Thin Lizzy si riuniscono agli studi di Tollington Park con rinnovate motivazioni, decisi a spaccare tutto con il terzo disco contrattualizzato dalla Decca. Quando la chitarra di Eric Bell attacca con il riff iniziale di “The Rocker”, è come una rivoluzione copernicana nel sound della band, che sterza verso un rock’n’roll più duro, con Lynott che ora ringhia storie di ragazzi di strada, pollastrelle e risse da pub. L’assolo di Bell nella parte centrale del brano è fuoco che arde sull’altare del wah-wah hendrixiano, il tipo di sound che serve per colpire nel segno.
“The Rocker” è l’anthem su cui si poggia Vagabonds Of The Western World, che esce il 21 settembre 1973 con una cover d’eccezione firmata dall’amico Jim Fitzpatrick. Aperto dall’eccitante giro di blues elettrico di “Mama Nature Said”, il terzo album dei Thin Lizzy rappresenta nel bene e nel male un salto quantico, grazie a interpretazioni vocali più convinte e grintose e architetture soniche più dirette. Sulle prime linee oscure di basso, “Gonna Creep Up On You” richiama atmosfere sabbathiane, condotte dal canto sensuale e dalla chitarra spaziale di Bell.
Per quanto il nuovo lavoro dei Lizzy rappresenti un primo momento di rottura con il passato, brani come “The Hero And The Madman” sono ancora imbevuti di una salsa progressive, con Lynott in cerca della sua vera rock opera. La title track, ad esempio, riprende il passato celtico pur aggiornandolo in atmosfere psych-space-rock. “Slow Blues” parte con un clamore orchestrale, per poi appiattirsi leggermente su un più canonico soul-blues in chiave funk. Arriva poi “Little Girl In Bloom”, sicuramente uno dei punti più alti del disco sulla storia emozionante di una giovane donna e del suo bambino. Evidente una maggiore maturità nel songwriting (oltre che nel modo di suonare il basso) di Lynott, supportata da pregevoli effetti in overlap e dallo struggente assolo elettrico di Bell. Pur ancorata a chiari riferimenti psichedelici, la finale “A Song For While I’m Away” è un’altra toccante interpretazione – quasi da crooner – di Phil, che tiene per mano una ballad orchestrale calda e avvolgente.
Vagabonds Of The Western World non riesce a sfondare a livello commerciale, ma è la vivida testimonianza in musica di un artista che non ha alcuna intenzione di mollare, diviso tra vecchie scorie soniche e nuove durezze rock.
Dopo l’uscita del terzo album, Ritchie Blackmore – che ha molto apprezzato il singolo “The Rocker” – invita Lynott a far parte della sua nuova band in seguito alla disgregazione dei Deep Purple. Provvisoriamente chiamato Baby Face, il nuovo gruppo comprende il fido batterista Ian Paice e l’ex-cantante dei Free, Paul Rodgers. Blackmore ignora che solo l’anno prima i Thin Lizzy hanno accettato una succulenta offerta da 1.000 sterline da parte dell’impresario musicale Leo Müller, per chiudersi negli studi De Lane Lea e registrare cinque cover dei Deep Purple. Lynott ha però comunicato a Müller di non voler assolutamente cantare, facendosi sostituire dal cantante Benny White per portare a termine il disco “Funky Junction Play A Tribute To Deep Purple”, dove il nome Thin Lizzy non compare in alcun modo, da nessuna parte. Incuriosito dalla proposta di Blackmore, Lynott accetta di provare a registrare qualcosa, in formazione a tre, visto che Rodgers non si presenta in studio, ormai prossimo a formare la sua nuova band, i Bad Company. Non è chiaro quanti e quali brani vengono provati, perché il progetto naufraga in tempi record, costringendo Chris Morrison a far uscire un comunicato stampa in cui si conferma che i Thin Lizzy non sono sul punto di sciogliersi e che Lynott è completamente al servizio della band.
Nell’autunno 1973 il gruppo torna a suonare dal vivo tra Regno Unito e Germania, includendo una sessione in radio da John Peel. La fame di successo di Phil è in continua crescita, bisogna produrre un’altra hit al più presto. Ma se Lynott vuole diventare una star planetaria, Eric Bell è sempre più scontento a causa della nuova direzione sonica, costretto a far finta di suonare durante l’esibizione a Top of The Pops. I problemi di Bell non sono solo artistici: la sua fidanzata lo ha appena mollato trasferendosi in Canada con il figlio piccolo, mentre un trip di acidi lo ha reso paranoico e con tendenze suicide. La situazione precipita durante le date in Germania a novembre, quando Bell si scontra fisicamente con Lynott dopo aver scaraventato a terra diversi bicchieri colmi di brandy. Un’altra sera sale sul palco di una band locale che ha rifiutato di suonare con lui, attaccando gli amplificatori prima di essere braccato dalla sicurezza. La verità di Bell è che a Phil non interessa minimamente la sua situazione sentimentale, focalizzato totalmente sulla necessità di diventare famoso.
Il tour prosegue in Irlanda, nel dicembre 1973. Alla Queen’s University di Belfast, la vigilia di capodanno, Eric Bell ha un collasso nervoso sul palco, dopo una colossale bevuta durante il soundcheck. Con l’aggravante della presenza dei suoi stessi familiari tra il pubblico, il chitarrista sbotta e se ne va: “Sono fuori, buona fortuna, ci vediamo più tardi”. Lynott e Downey sono costretti a finire il concerto con i soli basso, voce e batteria.
“È così, per quanto mi riguarda è fuori”. Queste le sintetiche parole di Lynott all’entourage dei Lizzy nei giorni seguenti, dopo che Bell è stato più volte implorato di risalire su quel palco. “Esaurimento nervoso” è il titolo che viene scelto per giustificare l’uscita del chitarrista alla stampa curiosa dopo la pirotecnica esibizione a Belfast. Philip è così costretto a ripartire agli inizi del 1974, privo del suo fondamentale chitarrista. All’inizio c’è scoramento, tanto che Lynott e Downey pensano addirittura di tornarsene in Irlanda per avviare un progetto nuovo con un diverso nome.
Per evitare di cancellare il resto del tour irlandese, Lynott chiama l’amico Gary Moore per rimpiazzare temporaneamente Bell, dal momento che il musicista di Belfast è talmente bravo da potersi inserire senza nemmeno fare chissà quali prove. Con Moore si continua a suonare dal vivo per il primo trimestre del ’74, prima di registrare l’esotica “Sitamoia”, derivazione della tradizionale “Si Do Mhaimeo”, un eccelso mix tra ritmi tribali africani e gighe irlandesi. Moore contribuisce con la sua chitarra funky, accelerata in chiave rock’n’roll sul successivo singolo Decca “Little Darling” che esce in primavera per aprire ufficialmente il nuovo ciclo sonico tra wah-wah in salsa hard-rock, spruzzate di glam e ritornelli killer. Le veloci sessioni di registrazione con Gary Moore terminano con “Still In Love With You”, ballata notturna tra blues e soul in cui il lavoro del chitarrista nord-irlandese è decisamente più riconoscibile.
Il management dei Lizzy è fortemente propenso a tenere Moore in pianta stabile, convinto di poter spaccare il mondo con tre musicisti di enorme talento. Ma Gary ha un carattere molto particolare: soprannominato loner, non vuole impegnarsi totalmente nella band di Lynott. C’è poi un altro fattore da non sottovalutare: le personalità di Phil e Gary sono molto particolari, piene zeppe di demoni, rischiano di scontrarsi da un momento all’altro. Sospetti e gelosie portano Moore a comunicare la sua immediata fuoriuscita dalla band nell’aprile 1974, dopo diverse date live e tre brani registrati. Gary vuole infatti proseguire da cane sciolto – si unirà a Jon Hiseman per formare i Colosseum II – mentre brani come “Still In Love With You” sono esattamente il tipo di suono che Ted Carroll sta portando in giro per le principali case discografiche. In vista del tour tedesco che partirà a maggio, Lynott decide di assoldare ben due chitarristi, John Cann dagli Atomic Rooster e Andy Gee, conosciuto a una festa alcuni mesi prima. Si tratta di un esperimento rivelatosi subito fallimentare, tanto che Downey propone a Phil di lasciar perdere e tornare a casa. Alcune date vengono così cancellate, mentre Brian ha in testa di parlare con Carroll per comunicargli che è fuori dalla band. Il manager insiste, dice a Downey che se esce è tutto finito, gli propone di pazientare e di ricostruire insieme il gruppo. Lynott ha infatti in mente di sostituire Cann e Gee, mantenendo la struttura a due chitarre che darebbe ai Lizzy una veste sonica completamente diversa. L’idea che si rivelerà vincente consiste nell’abbandonare una struttura chitarra ritmica/chitarra solista per abbracciare due chitarristi solisti che dovranno dividersi i compiti, alternandosi con gli assoli ma lavorando all’unisono come un’unica entità.
Consci che questa impalcatura potrebbe trasformare i Thin Lizzy, Lynott e Downey fanno partire le audizioni all’Iroko Country Club di Haverstock Hill. Il primo a essere scelto è Brian Robertson, appena diciotto anni da Glasgow. Figlio di un musicista jazz, Robertson è un giovane prodigio, riesce a leggere la musica e suona anche pianoforte e batteria. Ha militato nei Dream Police e ha anche suonato in una jam con Downey dopo la data dei Lizzy alla University of Glasgow con Gary Moore alla chitarra. A Robertson si aggiunge Scott Gorham, californiano di Glendale, da diverso tempo attivo negli ambienti delle garage band e con alcuni precedenti giudiziari per possesso di droghe pesanti. Deciso a cambiare vita, a 22 anni si è trasferito nel Regno Unito, ma le cose non sono andate meglio, costringendolo a suonare nei pub per guadagnarsi da vivere. Con un permesso di soggiorno in scadenza, Gorham viene invitato dall’amico Ruan O’Lochlainn a partecipare alle audizioni dei Thin Lizzy all’Iroko Country Club. Scott non sa assolutamente chi siano i Thin Lizzy, ma si precipita alle audizioni e rimane folgorato dalla presenza scenica di Phil e dalla bravura dei due Brian. Il suo stile è meno tendente al virtuoso di quello di Robertson, ma è proprio quello che Lynott sta cercando per il suo nuovo approccio a due chitarre soliste. È il primo vagito della seconda vita dei Thin Lizzy.
The Boys are Back in Town (1974–1976)
La prima uscita della nuova line-up dei Thin Lizzy è al Lafayette club di Wolverhampton nel luglio 1974. Il pubblico è ancora esiguo, ma sono le prove generali dal vivo prima della partenza per l’Irlanda, una sorta di battesimo in patria per un gruppo che ora comprende un giovane scozzese e un californiano. A Dublino viene presentato il primo libro di Lynott, “Songs For While I’m Away”, che comprende i testi di oltre venti canzoni e un poema in musica inedito dal titolo “A Holy Encounter”. Durante il tour irlandese arriva la notizia che sconvolge tutti: Ted Carroll lascia il suo ruolo di manager a Chris O’Donnell, volendosi concentrare sulle attività commerciali del suo Rock On. L’ultimo regalo a Lynott e soci è un nuovo contratto discografico, dopo diversi rifiuti (Polygram, Cbs) e un rinnovo a cifre ridicole offerto dalla Decca.
Carroll è infatti entrato in contatto con Nigel Grainge, boss della Phonogram, tra i clienti abituali del suo negozio di musica. Grainge ha già ascoltato i Lizzy, rapito dall’ultima ballata “Still In Love With You” e soprattutto dall’assolo del chitarrista. Ovviamente nessuno gli ha detto che in realtà quel chitarrista è andato via, portando Nigel a scommettere sui Lizzy. La band è indebitata fino al collo quando si presenta il 9 luglio 1974 al Marquee di Londra per la definitiva audizione per la Phonogram che mette sul piatto un contratto per due album in studio. Lynott non sta nella pelle, dopo la separazione da Gale Barber decide di ricreare l’atmosfera creativa di Orphanage all’interno di una nuova proprietà (o comune) chiamata Welbeck Mansions.
A caccia di una nuova identità di gruppo dopo l’innesto del doppio chitarrista, i Thin Lizzy si riuniscono insieme al produttore statunitense Ron Nevison – già al lavoro con Bad Company e The Who – per registrare il nuovo disco Nightlife, uscito per la Vertigo Records (Phonogram) l’8 novembre 1974. Aperto in elettro-acustico dal power-folk “She Knows”, il disco non soddisfa per niente le aspettative dell’etichetta di Nigel Grainge, che sottolinea a caldo la spaventosa mancanza di un singolo decente. A parte la già citata “Still In Love With You”, registrata con il tocco inconfondibile di Gary Moore, l’album è effettivamente povero di spunti degni di nota. La title track, ad esempio, è un soul-blues rallentato con venature jazzy, in netto contrasto con il minaccioso felino nero che sembra minacciare la metropoli post-apocalittica disegnata in copertina.
Gli effetti delle due chitarre sul suono sono evidenti, rendendolo più corposo e stratificato. Il riff di “It’s Only Money” vira sull’hard-rock zeppeliniano, mentre la chitarra di Robertson si invola sull’assolo dimostrando ottimo potenziale da guitar-hero. Il piano classico di “Frankie Carroll” riporta il songwriting di Lynott verso un sentimentalismo beatlesiano, mentre il basso notturno di “Showdown” introduce una ballata metropolitana eccessivamente costruita, priva di ambizione. È la mancanza di guizzi che preoccupa Grainge, in un disco generalmente mediocre. L’orecchiabile intermezzo “Banshee” apre “Philomena”, percussione marziale dedicata alla figura materna. Le doti vocali di Lynott sono ora quasi al massimo dell’intepretazione, accompagnate da una chitarra in stile giga irlandese. “Sha La La” picchia nuovamente con il martello dell’hard-rock, con un wah-wah furioso ad autografare il prossimo futuro. A conti fatti, i pochi numeri duri sono i migliori di un disco confuso, che si conclude con l’ennesima ballad soul-blues in chiave orchestrale, “Dear Heart”.
Nightlife, probabilmente frenato da una produzione eccessivamente pomposa, non viene premiato dal pubblico, vendendo la miseria di diecimila copie. Come al solito, in soccorso di Lynott e soci arriva il primo tour statunitense insieme ai Bachman-Turner Overdrive, sulla cresta dell’onda per l’irresistibile hit “You Ain’t Seen Nothing Yet”. Insieme a Bob Seger, i Lizzy sbarcano negli States nel marzo 1975, dove suonano in location da decine di migliaia di persone. La situazione è alquanto paradossale: una band che non ha venduto praticamente un disco si esibisce negli stadi americani mantendendo un approccio da superstar del circuito live.
Lynott è entusiasta dell’esperienza a stelle e strisce, che dura circa un mese e mezzo fino alla primavera del 1975. Quando torna a esibirsi nel Regno Unito, tra aprile e maggio sempre con i BTO, sorprende tutti con un atteggiamento ancora più sfacciato e mascolino.
Il preludio alla definitiva trasformazione dei Lizzy in una band hard-rock è il successivo album Fighting, uscito a settembre con la produzione del solo Lynott che ora pare definitivamente conscio della direzione da portare avanti, sicuro sul come sfruttare al meglio la presenza di due chitarristi così diversi, ma assolutamente complementari.
Aperto dal riff squillante di “Rosalie”, scatenata versione rock’n’roll del brano di Seger, Fighting è il primo disco in cui appare evidente una nuova direzione nel sound dei Lizzy. Il doppio lavoro delle chitarre inizia a dare i suoi frutti in canzoni come “For Those Who Love To Live”, dove gli assoli si alternano con rinnovato impeto. Il binomio Gorham-Robertson trova la sua esaltazione nella conduzione marziale dell’hard in salsa prog “Suicide”.
Se il canto di Lynott è leggermente meno protagonista, le tessiture wah-wah iniziano a ramificarsi intorno al cuore del sound, trasformando di fatto i Thin Lizzy in una band dall’altissimo potenziale. Anche i numeri più melodici come “Wild One” hanno ora una nuova potenza, abbandonate le smanie folk o alcuni deliri orchestrali per un suono più smaccatamente seventies. “Fighting My Way Back” è una delizia per gli amanti delle hit stile BTO, lanciata a velocità supersonica tra le sgasate di chitarra.
Si ha così la netta sensazione che i Lizzy abbiano trovato finalmente la quadratura del cerchio, quando “King’s Vengeance” rallenta in una power-ballad in stile The Who. Se melodie notturne come “Spirit Slips Away” subiscono ancora i difetti di Nightlife – così come “Silver Dollar” che torna a una scala blues gradevole quanto poco originale – brani come “Freedom Song” fanno capire all’ascoltatore che è ormai impossibile tornare indietro, quei due chitarristi insieme faranno il fuoco come gli Allman Brothers. Ci pensa il canto teatrale e drammatico di Lynott a fare il resto, come sul finale di “Ballad Of The Hard Man”, pura virilità hard rock che sta per lanciare i Thin Lizzy nella stratosfera del sound più duro.
Nonostante l’entusiasmo generale per il nuovo sound, Fighting non vende come sperato, circa ventimila copie nel Regno Unito, dove però riesce a raggiungere la posizione 60 nella classifica degli album più ascoltati. La voce però si sparge, ancora una volta nel circuito live. I Lizzy partono a settembre per un nuovo tour inglese dove suonano in arene sempre più grandi. Il pubblico ora vede Lynott come un leader, un frontman da acclamare. Ora sono headliner, qualcuno paga appositamente per vederli, al contrario delle tragiche serate con gli Slade. Il rito prevede una domanda iniziale, come un’adunata generale: “Are you out there?”, con il basso che spunta nel buio delle sale. A dicembre si esibiscono al National Stadium di Dublino vendendo tutti i 2.500 biglietti disponibili. Il rispetto e la fama acquisita dal vivo non convivono però con il rispetto della critica o il successo commerciale: a livello discografico, i Thin Lizzy sono ancora quella band irlandese che ha pubblicato la versione di un noto traditional da pub.
“The Boys Are Back In Town” è la summa della vita da strada condotta da Lynott con i suoi compagni di vita, bevendo e fumando, facendo a botte nei locali e nelle camere d’hotel. La cultura mascolina dei Lizzy – che continuano a vietare a ragazze e mogli di partecipare ai tour – viene così raccontata da Phil in un ipotetico venerdì sera, lo scenario romantico di un’esistenza da rocker che spera di morire prima di diventare vecchio. “Il nostro gioco, dovevamo rimanere in piedi e difenderlo”, nelle parole di Gorham anni dopo. Influenzato dalla cultura statunitense, il brano è di una potenza deflagrante, racchiudendo le capacità di storyteller di Lynott in una mitizzazione di stampo celtico della becera vita da strada. Aperto dall’esplosione chitarristica, “The Boys Are Back In Town” unisce il ritornello killer alla ruvidezza del riff hard, mantenendo però un’impostazione nota ai gruppi punk stradaioli e a certi inni garage. È a tutti gli effetti quello che viene chiamato anthem, troppo grande per poter fallire.
La registrazione di “The Boys Are Back In Town” è il preludio alla pubblicazione nel marzo 1976 di Jailbreak, un disco definito “molto collaborativo” dal parte del produttore John Alcock, che segue i Lizzy dal vivo da diverso tempo. L’ego di Lynott si apre al contributo degli altri membri della band, da gennaio radunatisi ai Ramport Studios di Londra. Di fatto è il terzo (e probabilmente ultimo) tentativo per la Phonogram, dopo aver rinegoziato il primo contratto con Nigel Grainge. Philip è perfettamente consapevole che o la va o la spacca, non può assolutamente permettersi un nuovo flop. I Ramport Studios sono utilizzati generalmente dagli Who, in una zona di Londra con poche distrazioni. I Lizzy riescono a finire il disco in tre settimane, mentre Lynott prepara spinelli e porta dentro pinte su pinte di birra. Già al lavoro proprio con Daltrey e Townshend, Alcock è il produttore perfetto per far uscire fuori il nuovo sound dei Thin Lizzy, che hanno ormai trovato la loro esoterica alchimia dopo anni di tentativi.
Si inizia con il riff killer della title track, che procede sorniona sul racconto della gang di Lynott, ora a capo di un vero gruppo hard rock. L’elegante ritmo marziale di Downey alla batteria è supportato da un lavoro collettivo tra chitarre, basso e voce degno di una grande band. “Angel From The Coast” vira verso un funk-and-roll scoppiettante, narrando le gesta di una donna seducente in una sorta di noir su scatenati ritmi africani. L’album prosegue sui fiati e le tastiere di “Running Back”, giravolta pop scritta da Lynott per esorcizzare la fine del suo rapporto con Gale Barber. Probabilmente una delle più accessibili canzoni nel repertorio dei Lizzy, il brano è fortemente connotato dal lavoro del turnista Tim Hinkley, meno da quello di Robertson che si rifiuta di lavorare alla sua parte di chitarra per tensioni via via crescenti con Phil. Il romanticismo continua con “Romeo And The Lonely Girl”, condotta per mano dall’interpretazione teatrale di Lynott alla voce e supportata da un tappeto funky-rock su cui si sviluppa il fantastico assolo centrale.
L’album riparte con “Warriors”, una rebel-song che celebra gli eroi maledetti della musica, costruita su architravi heavy-metal e su un wah-wah impazzito. Lynott non ha certamente la potenza vocale di un Robert Plant, ma fornisce interpretazioni peculiari per una band “dura”, su tutte la narrazione dell’epica notturna dell’anthem “The Boys Are Back In Town”. Altro momento morbido è la ballad elettro-acustica “Fight Or Fall”, sorta di chiamata alle armi per tutti i fratelli neri su un sound molto vicino a certi numeri country-rock di Eagles e The Band. Proprio dagli Eagles sembra uscita la successiva “Cowboy Song”, che racconta la vita in tour senza legami con la serenità di un rock’n’roll da strada americana. Il finale è con i fuochi d’artificio, sparato dal ritmo marziale di “Emerald” che fa rivivere l’epica celtica come Lynott ha sempre sognato, ovvero modernizzata in chiave hard and heavy lasciando le atmosfere tradizionali da publicans.
Jailbreak è così l’album manifesto della vis sonica di Lynott e dei suoi Thin Lizzy, atto di ribellione rock’n’roll sulla figura del giovane che si abbatte sull’oppressione, tra nuove influenze contemporanee e gli spiriti dell’isola irlandese.
Jailbreak viene pubblicato mentre i Lizzy sono in tour nel Regno Unito, supportati da Graham Parker e i suoi The Rumours. Questa volta l’impatto commerciale è esplosivo, con il disco che raggiunge già ad aprile la Top Ten inglese. In primavera si parte alla volta degli Stati Uniti per suonare insieme a band come Aerosmith e Rush, mentre il nuovo lavoro si avvicina a passo spedito verso la Top Twenty a stelle e strisce. In particolare, il singolo “The Boys Are Back In Town” spacca le radio americane, arrivando alla posizione 12 alla fine di luglio tra la critica che paragona Lynott al “futuro del rock’n’roll”, Bruce Springsteen. Il tour statunitense viene esteso per calvalcare l’onda del successo, insieme ai Rainbow di Ritchie Blackmore. Lynott è pronto a spiccare il volo verso l’Olimpo sonico, ma prima della data a Columbus, Ohio, gli viene diagnosticata una forma di epatite. Phil non sta bene da diverse settimane, è molto stanco e suda copiosamente. Il dottore gli ordina di fermarsi, sul più bello. L’infezione è stata contratta probabilmente a causa di un ago sporco, dal momento che le sue abitudini stupefacenti si sono allargate rispetto ai classici spinelli di marijuana. Al pubblico viene ovviamente comunicato che l’epatite è venuta fuori a causa del troppo lavoro in giro per il mondo, ecco perché la seconda parte del tour americano è cancellata. Lynott vola a Manchester per ricoverarsi in ospedale, mentre il resto della band viene messa in quarantena da Ritchie Blackmore, che ha già contratto la malattia ed è particolarmente paranoico. Per prevenire problemi ulteriori, i medici ordinano a Phil di smettere di bere e di assumere droghe.
A parte qualche bicchiere di champagne, Lynott riga dritto, cogliendo l’opportunità di cambiare stile di vita. Ma gli effetti negativi per i Thin Lizzy sono devastanti, perché quel momento d’oro offerto dagli States doveva essere afferrato al volo, per evitare di essere subito dimenticati. Fortuna vuole che al rientro in patria il singolo “The Boys Are Back In Town” sia già esploso, grazie al passaggio su Top of The Pops e Bbc. Le richieste (e soprattutto i cachet) sono in aumento esponenziale, su tutte quella di una grande serata all’Hammersmith Odeon di Londra che Lynott non vuole assolutamente perdere nonostante il periodo di recupero dall’epatite sia di circa un anno. Il suo stato di salute è ancora molto cagionevole, il sistema immunitario è debilitato, ma Phil non vuole mollare. Non può farlo proprio ora.
Are you Ready? (1976-1978)
Nell’agosto 1976 i Thin Lizzy si riuniscono ai Ramport Studios di Londra per registrare il successore del fortunato Jailbreak, dopo aver rinegoziato il contratto con la Phonogram con un anticipo di ben 750mila dollari per ogni singolo disco. Il problema è che Lynott, debilitato dalla malattia, ha solo tre o quattro canzoni pronte, buone al massimo per un Ep. Ma il mercato discografico è una bestia avida, vuole un disco per cavalcare l’onda del successo internazionale. Quando iniziano le sessioni per Johnny The Fox, è il produttore John Alcock a suggerire di rallentare i ritmi, contrastato da Lynott che vuole continuare tra uno spinello e l’altro. Alcock non è soddisfatto di quello che ha portato Phil, suggerendogli di farci entrare qualche cover, ma Lynott è irremovibile. È una situazione che diventa sempre più insostenibile, soprattutto a causa della crescente incompatibilità con Brian Robertson, che viaggia alla media di una bottiglia di Johnnie Walker al giorno ed è continuamente aggressivo.
Durante le registrazioni del disco, Lynott porta una ballata blues intitolata “Don’t Believe A Word” che viene contestata da Robertson. Il chitarrista riscrive la musica portandola alla definitiva versione in chiave shuffle con il suo riff heavy, covando un bruciante rancore quando poi sarà Lynott a guadagnare dai diritti di pubblicazione. Concepito come una sorta di concept-album, Johnny The Fox non riesce a bissare la scatenata forza ribelle di Jailbreak, pur mantenendo l’impostazione hard & heavy in brani come “Johnny” e soprattutto “Rocky”, che mette in musica il lato oscuro di Lynott in una non troppo velata critica al suo chitarrista Brian Robertson, alcolizzato sì, ma capace di tirare fuori un gigantesco lavoro chitarristico. Il mistico spoken-word che apre “Fool’s Gold” ritorna alle radici irlandesi, prima di lanciare il brano nel più evidente dei più evidenti power-sound americani da autoradio.
Il tentativo di replicare Jailbreak è in parte riuscito, perché la struttura melodica sulle ruvidezze ritmiche è ottima, a mancare è quel pizzico di irruenza che ha reso grande il precedente lavoro. Lynott e Robertson fanno temporaneamente pace sull’affascinante hyper-ballad country-rock “Borderline”, mentre “Johnny The Fox Meets Jimmy The Weed” vira verso un irresistibile ritmo funky da black-ghetto americano. L’album soffre però di passaggi a vuoto, ad esempio il pop melodico di “Old Flame” che sconfina nell’orchestrale in “Sweet Marie”. Il tribalismo marziale di “Boogie Woogie Dance” è un divertente riempitivo, mentre l’epica “Massacre” – con un imponente lavoro alla batteria di Brian Downey – è una sorta di sequel di “Emerald”, ambientato questa volta nell’America del XIX secolo.
Nonostante le difficoltà in fase di registrazione, Johnny The Fox resta un buon disco, pubblicato alla metà di ottobre e capace di mantenere alta l’attenzione sulla band dopo Jailbreak. L’album arriva al numero 11 nella classifica dei dischi più venduti e il singolo “Don’t Believe A Word” si piazza in dodicesima posizione nel Regno Unito all’inizio del 1977. Il tour britannico che termina a fine anno è un trionfo di sold-out, portando numerosi critici musicali a parlare di una delle band più importanti al mondo. La dimensione live del gruppo è ormai consolidata dopo anni di rodaggio, un mix di teatro, scelleratezze e potenza ritmica. Tutto è ormai pronto per esibirsi in America da headliner, ma accade l’ennesimo imprevisto: Brian Robertson – che giura di aver bevuto solo un paio di whiskey – si taglia pesantemente una mano per difendere un suo amico al pub, impossibilitato a suonare per circa sette mesi. Lynott è furioso perché il tour dovrà saltare, anteprima dell’addio del suo chitarrista che verrà annunciato nel marzo 1977. Ma il karma restituisce a Phil quello che gli ha tolto Robertson, perché i Queen invitano i Thin Lizzy a suonare da gruppo spalla per il loro nuovo tour americano, offrendo la possibilità di esibirsi comunque davanti a migliaia di persone. Per sostiture Robertson viene richiamato Gary Moore, sempre a patto che si tratti di una questione temporanea. Lo stesso Freddie Mercury resterà basito quando vedrà gli scroscianti applausi per i Lizzy, tanto da infuriarsi per la loro eccessivamente acclamata presenza. La critica negli States è però tiepida verso Johnny The Fox, giudicato più un Ep che un vero e proprio album. Stesso discorso per il pubblico di città come New York, dove la band offre due spettacoli poco degni, portando la Warner Brothers a storcere il naso davanti alla possibilità di promuoverli massivamente sul mercato a stelle e strisce.
Se negli Stati Uniti le operazioni procedono a rilento, nel Regno Unito la band è pronta al botto. Registrato per questioni fiscali agli studi Toronto Sound con il nuovo super-produttore Tony Visconti (Bowie, Bolan), Bad Reputation viene pubblicato il 2 settembre 1977 arrivando al numero 4 nella classifica inglese, miglior piazzamento di sempre dei Lizzy. La scelta su Visconti cade per mano di Lynott – ormai libero dall’ingombrante Robertson – deciso a spingere il sound oltre il limite a caccia di una nuova direzione. Lo stesso Bowie è perplesso dalla scelta del suo produttore di lavorare con una band per lui scadente, ma Visconti è affascinato dalla figura di Lynott. Le sedute di registrazione iniziano in formazione a tre, con il solo Gorham alle parti di chitarra. È proprio quest’ultimo a convincere Lynott a richiamare il ristabilito Robertson per lavorare su almeno qualche brano, tre per la precisione. È una situazione limbo, perché sulla copertina del disco compaiono solo Lynott, Downey e Gorham, mentre Robertson registra le sue parti e se ne torna in camerino a bere. Pubblicamente, prima si annuncia la sua dipartita, poi si afferma che è tornato a far parte del gruppo. Ristabilito dall’epatite, Lynott ricomincia con l’abuso di droga e alcol, facendolo scorrere a fiumi durante le sedute canadesi. Visconti sbotta e minaccia di abbandonare il gruppo, ma il manager O’Donnell gli fa notare quanto il disco stia venendo bene, soprattutto il nuovo singolo. Il basso sinuoso che apre “Dancing In The Moonlight (It’s Caught Me In It’s Spotlight)” è da spellarsi le mani, prima del suo groove funky-soul arricchito dai fiati di John Helliwell (Supertramp) e dal solo di Gorham.
Nonostante l’incompatibilità con le abitudini della band, Visconti riesce a trasformare il sound dei Lizzy in qualcosa di più contemporaneo, offrendo il suo magic touch in fase di produzione. Il basso di Lynott assume nuovi connotati sulla squillante “Soutbound” e su “Dear Lord”, uno dei nuovi vestiti eleganti indossati dalla band tra melodie notturne in chiave soul e riff hard intelligentemente depotenziati. Il lavoro di Visconti è fondamentale per dare nuova linfa al potere evocativo del canto di Lynott, evitando di snaturare troppo l’approccio marziale, come nell’epica “Soldier Of Fortune” o sull’implacabile ritmo heavy-metal della title track. È un suono che per certi versi apre la grande stagione della musica dura nel Regno Unito, lanciato a cento all’ora sulla successiva “Opium Trail”, brano ironicamente contro la droga per ammissione dello stesso Lynott.
La metamorfosi del gruppo continua sulla storia di morte e violenza “Killer Without A Cause”, aperta dal riff e snocciolata come un rosario pagano su intermezzi acustici in stile The Who tra chitarra e armonica. E l’aspetto più eclatante di Bad Reputation è che l’inserimento improvviso di numeri di funk-soul melodico come “Downtown Sundown” non stonano in alcun modo, anzi, danno lustro all’animo più gentile del sound dei Lizzy.
Subito dopo l’uscita di Bad Reputation la band torna in tour negli Stati Uniti, ancora con Parker. L’abuso di cocaina – a cui si aggiungono i tranquillanti – diventa incontrollato, portando Lynott a essere sempre più irascibile e fuori fase. Trova però un nuovo amore nella diciottenne Caroline Crowther, figlia del presentatore televisivo Leslie Crowther. Phil è deciso a registrare un nuovo disco con Tony Visconti, ma il produttore è impegnato con David Bowie nella primavera del 1978. L’idea è allora pubblicare un primo album dal vivo, affidando una serie di nastri live allo stesso Visconti, in particolare quelli del riuscito concerto all’Hammersmith Odeon nel novembre 1976, durante il tour di Johnny The Fox. L’obiettivo è di assemblare un doppio album che si trasforma in un incubo per il produttore, a causa degli stessi nastri forniti dai Lizzy, che viaggiano a velocità completamente diverse. Ci vogliono oltre 30 ore di ascolto alla ricerca delle migliori performance, prese anche dall’esibizione a Toronto nel 1977 nel tour di Bad Reputation.
La band è ossessiva nei confronti di Visconti, per raggiungere l’assoluta perfezione di Live And Dangerous, pubblicato nel 1978, dopo aver completato mixing e overdub ai Des Dames Studio di Parigi. Alla fine il lavoro di produzione è talmente lungo da tenere comunque Tony lontano da Bowie, impelagato nel trasformare un semplice disco live in un capolavoro che resterà forse più di Jailbreak nel cuore degli appassionati di musica. Accolti dal coro all’unisono “Lizzy, Lizzy, Lizzy”, i quattro attaccano con una versione al fulmicotone di “Jailbreak”, con il basso imperioso di Lynott a condurre come uno sciamano da palco. Fin dai primi minuti è lampante il lavoraccio di Visconti a immortalare un gruppo arrivato al suo apice di potenza sonica. Dalla devastante epica marziale di “Emerald” al rock’n’roll “Rosalie” (Seger), il disco rende definitiva giustizia al lavoro massacrante portato a termine dai Lizzy in quattro anni di esibizioni senza sosta, quando Lynott guida l’handclapping del pubblico con un’aura degna di totem come Mercury.
In ginocchio con il suo basso sull’iconica copertina, Phil completa la metamorfosi da timido storyteller folk a rockstar, guidando i Lizzy in cavalcate leggendarie che forgiano a fuoco la nuova ondata del British metal, come ad esempio la nuova epopea marziale “Massacre”. Ma non è solo sui numeri duri che si poggia la grandezza del doppio album, impreziosito dalla versione di oltre sette minuti di “Still In Love With You”, dal funk pulitissimo di “Johnny The Fox Meets Jimmy The Weed” e la nuova hit “Dancing In The Moonlight”. Sul killer-beat “The Boys Are Back In Town” il pubblico è in delirio, trascinato sui riff pachidermici di “Warrior” e “Are You Ready”, una delle canzoni inedite riservate solo per gli show dal vivo.
Il finale è puro fuoco sacro del rock, sulla tempesta in wah-wah di “Sha La La” – con tanto di acrobazie dalla batteria di Downey – e l’armonica blues di Huey Lewis nella lunga versione di “Baby Drives Me Crazy”. Al di là delle polemiche che verranno sulla quantità di overdub immessi da Visconti – la band difenderà sempre la teoria di un sound del tutto realistico – Live And Dangerous è uno dei migliori album dal vivo degli anni 70, quando Lynott attacca “The Rocker” chiude gli occhi e pensa convinto di avercela fatta, è diventato leggenda.
Live And Dangerous spacca la classifica inglese arrivando in seconda posizione, surclassato solo dalla colonna sonora di “Grease”, ingiocabile. La versione live di “Rosalie” arriva nella Top Twenty dei singoli, mentre il disco venderà più di mezzo milione di copie nel Regno Unito. Viene così organizzato un tour estivo a supporto dell’album, che porta i Lizzy a suonare principalmente brani di due anni prima a parte “Bad Reputation”. La band sembra non potersi fermare più, per paura di smettere di cavalcare l’onda del successo, portando Lynott a lavorare senza sosta a dispetto delle recenti condizioni fisiche.
Il tour di Live And Dangerous si conclude davanti a dodicimila persone alla Empire Pool di Londra in un trionfo assoluto. Il 7 luglio 1978, durante una esibizione nell’isola spagnola di Ibiza, l’ennesimo comportamento aggressivo di Brian Robertson porta il chitarrista definitivamente fuori dal gruppo. Torna così Gary Moore, che sulla carta dovrebbe restare come secondo chitarrista insieme a Gorham, in partenza con i Lizzy per un tour americano nell’agosto 1978. C’è però un grande problema: Brian Downey è stanco, mal sopporta l’abuso continuo di droga e vuole dedicarsi alla pesca e soprattutto alla sua famiglia. Il batterista non capisce perché continuare a suonare pezzi di due anni prima, e comunica a Lynott che vuole ritirarsi nel suo cottage di Cork per ricaricare le pile. Philip è furioso e vede questa decisione come un tradimento, minacciando l’esclusione permanente di Brian dal gruppo. Per i Thin Lizzy quella dei tour americani sembra una vera maledizione, ma Lynott assolda in tempi brevissimi il sostituto, Mark Nauseef dalla band di Ian Gillan. Dopo il tour americano arriva il primo viaggio in Australia e Giappone, dove viene organizzato un mastodontico concerto gratuito ai piedi della Sydney Opera House, registrato in presa diretta dall’emittente locale Seven Network e poi apparso su diversi bootleg.
Got to give it up (1978-1980)
Sfiancato dal lavoro dopo il grande successo tra il 1977 e il 1978, Phil Lynott frequenta diverse amicizie nella nuova scena punk inglese, da Bob Geldof a Sid Vicious. Il leader dei Lizzy si diverte a suonare con loro – viene formato un instant group dal nome cattivo, Greedy Bastards – ma le relazioni non sempre sono positive. Quella con Johnny Thunders (Heartbreakers, New York Dolls) è molto pericolosa, quando lo invita a suonare il basso nel suo disco da solista, “So Alone”. Thunders è da anni imbottito di droga, passato all’eroina che gli ha già causato diversi problemi comportamentali e professionali. Quando riparte per gli States per un tour in supporto ai Blue Öyster Cult, Lynott passa diverse serate con Vicious e Willy DeVille, passando nei quartieri più malfamati per procurarsi sostanze pesanti da iniettarsi in vena. Il tutto mentre il 19 dicembre 1978 nasce sua figlia Sarah Philomena, tra le mura del National Maternity Hospital di Dublino.
Phil è al settimo cielo, prepara già un brano per lei da includere nel nuovo disco con Visconti, registrato alla fine dell’anno tra gli studi Good Earth di Londra e i Pathé Marconi di Parigi, con Gary Moore alla chitarra al posto di Brian Robertson. Ma la persona che entra in studio per produrre Black Rose: A Rock Legend non è più Phil Lynott. Imbottito di alcol e droga e con manie di grandezza sempre più importanti, il leader dei Thin Lizzy sta pensando di avviare una carriera da solista, e ha già preso accordi per un primo album, portando il suo gruppo a lavorare ancora di più per registrare sempre più canzoni. Lo stesso album presenta dei cambiamenti radicali, perché nella ballata tropicale “Sarah” (scritta da Moore) ci sono Nauseef alla batteria e Huey Lewis all’armonica, mentre sull’heavy-pop “With Love” suona il basso lo scozzese Jimmy Bain. Il lavoro della band sul nuovo disco è così disgregato, con Moore che apporta il suo inconfondibile stile chitarristico sulla marziale “Do Anything You Want To”.
Lynott sembra fuori fase, si allontana spesso dagli studi, ma il risultato finale è assolutamente centrato perché salvato da una differente varietà stilistica per la presenza di più musicisti in fase di registrazione. Mentre scorrono i ritmi tra heavy e blues di “Got To Give It Up”, si dipana quasi una profezia apocalittica, con Lynott a registrare tra uno spinello e un brandy e Visconti che medita già l’addio. La sua voce è diventata più nasale a causa dell’abuso di sostanze, ma la capacità di condurre grandi brani è rimasta intatta, come sulla cavalcata hard-rock “Toughest Street In Town”. Il lavoro alla chitarra di Moore su Black Rose non è mai stato così diretto e primitivo, immergendosi totalmente nello stile Lizzy con la tecnica di un veterano del gruppo, come sulla funkeggiante “S & M” o tra le trame accelerate della hit pop “Waiting For An Alibi”.
Non c’è un attimo di sosta, con il rock’n’roll potenziato “Get Out Of Here” (firmato da Lynott con Midge Ure) e in chiusura l’epico tour de force “Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend”, mini-suite che reinterpreta diversi classici irlandesi – “Danny Boy” e “Shenandoah” su tutti – tra lampi chitarristici in chiave hard e gighe folk di altri tempi. Nonostante una band in principio di disfacimento e una situazione incontrollata con le droghe, Black Rose: A Rock Legend è un disco fresco, diretto e foriero ancora una volta di grandi numeri.
Pubblicato il 14 aprile 1979, il disco bissa il successo di Live And Dangerous, arrivando alla seconda posizione nel Regno Unito, trascinato dai nuovi singoli “Waiting For An Alibi” e “Do Anything You Want To” che riescono ancora a piazzarsi nella Top Twenty in terra d’Albione. Segue quindi un nuovo tour americano, l’ennesimo con almeno un problema serio: dopo l’esibizione del 4 luglio all’Oakland Stadium di San Diego, Gary Moore sparisce. Proprio come ha fatto Eric Bell, il chitarrista di Belfast lascia i Lizzy nel pieno di un tour, andando poi pubblicamente a dire che si tratta di un gruppo non più adatto a suonare dal vivo. Musicista dagli altissimi standard qualitativi – e personaggio solitario – Gary Moore ne ha abbastanza dei comportamenti poco virtuosi della band, tradendo l’amico Lynott che non gli parlerà per almeno quattro anni. Già poco convinta, la Warner Brothers è ormai stufa di spendere soldi e tempo sui Lizzy che negli States conducono tour sempre in perdita. L’uscita di Black Rose è oltretutto rallentata, perché Lynott vuole cambiare alcuni dettagli sulla copertina.
Per quattro date il gruppo si esibisce come trio, prima di chiamare Midge Ure, che è costretto a imparare le parti di Robertson e Moore in pochi giorni. È una scelta a sorpresa da parte di Lynott, visto che Ure è appena entrato negli Ultravox per passare da una architettura post-punk a ritmi elettronici. A settembre, quando la band è tornata in Giappone, Ure si sposta alle tastiere dopo l’introduzione del nuovo chitarrista Dave Flett dai Manfred Mann’s Earth Band. Lo stesso Midge è sconvolto per la decisione di aggiungere tastiere e sintetizzatori al sound live dei Lizzy, ma Lynott è come preso improvvisamente da una paura ancestrale di finire giù nel dimenticatoio del rock.
In realtà il pensiero è sempre più rivolto alla carriera solista, al suo primo album che sta per entrare in studio di registrazione. Lynott ha già passato un paio di settimane a Nassau con Gorham, Nauseef e il produttore Kit Woolven, ora pronto a lavorare con Midge Ure sul singolo “Yellow Pearl”, aperto da trame elettroniche in stile Bowie berlinese. Con Downey alla drum machine e una cascata di note futuriste tra Minimoog e sintetizzatori, il singolo spiazza l’ascoltatore abituato al Lizzy-sound, trascinando però parte della critica che apprezza l’album Solo In Soho, uscito sempre su etichetta Vertigo Records nell’aprile 1980.
La verità è che, libero dai vincoli sonici del gruppo, Lynott può sperimentare le sue diverse influenze musicali, dalla pop-ballad orchestrale “A Child’s Lullaby” al funky-beat “Talk in ‘79”. Lynott, da sempre una spugna in fatto di stili e generi musicali, vira verso il sound Dire Straits in collaborazione con Mark Knopfler nell’elegante “King’s Call”, per poi sterzare verso il power-pop nell’altro singolo del disco, “Dear Miss Lonely Heart”. Viene fuori un album gradevole, dal basso vibrante di “Tattoo (Giving It All Up For Love)” ai ritmi reggae della title track.
Di fatto, Solo In Soho è un tentativo parzialmente riuscito di affrancarsi dai Thin Lizzy e consolidare il proprio alone da rockstar, che è sicuramente basato sul saper padroneggiare diversi generi, anche se uno dei momenti più ruggenti è il più confortevole boogie-blues “Ode To A Black Man”. Lynott cerca di affermarsi come potente songwriter nero, ma la continua miscela di stili nell’epoca dominata dal primo post-punk non convince gli ascoltatori, che affondano l’album facendolo sparire dalle classifiche nel giro di qualche mese.
Lynott non prende bene alcune critiche severe nei confronti di Solo In Soho, che appunto sottolineano come il disco risulti anacronistico negli anni immediatamente successivi a band come Sex Pistols e Clash. Il primo lavoro da solista ha fatto emergere il lato più dolce e romantico di Phil, ora felicemente sposato, con una seconda figlia in arrivo. L’esatto opposto dello scandaloso rocker nei Lizzy che ha fatto innamorare i fan della musica più dura. Lynott sembra vivere un periodo bellissimo a livello personale, perché decide di tornare a Dublino in occasione della nascita di Cathleen Elizabeth nel luglio 1980. Si ricongiunge con il vecchio compagno negli Orphanage, Terry Woods, per produrre il nuovo singolo country di Jimmy Driftwood “Tennessee Stud”. Diventa amico della band di folk tradizionale Clann Éadair, con cui si diverte a suonare e provare nuovi brani in un piccolo villaggio di pescatori irlandese, tra una pinta e l’altra.
L’idillio della nuova vita viene spezzato dal ritorno sulle scene con i Thin Lizzy, senza Midge Ure che ha deciso di unirsi agli Ultravox, messi sotto contratto dagli stessi manager di Lynott. La cosa non va affatto bene a Phil, che ordina a Morrison di lasciare la nuova band per concentrarsi solo ed esclusivamente su di lui e i suoi compagni. Alle tastiere viene assoldato il giovanissimo Darren Wharton da Manchester, una scelta che non convince il management e lo stesso Scott Gorham, che non vede in generale l’utilità del ruolo nella formazione. Dopo l’addio di Moore, alla seconda chitarra c’è un altro amico, Terence Charles “Snowy” White, già al lavoro con Peter Green e Pink Floyd. La band si mette al lavoro ai soliti Good Earth Studio di Londra con il braccio destro di Visconti, Kit Woolven, per dare alle stampe Chinatown nell’ottobre 1980.
Uno dei brani più emblematici del nuovo album è il singolo “Killer On The Loose”, che ripropone il sound heavy per cercare disperatamente di tenere il gruppo a galla dopo l’esplosione del Britsh metal causato anche dagli stessi Lizzy. Mentre Lynott si aggira minaccioso tra le prostitute del video – è l’anno del serial killer Peter Sutcliffe che mette a referto tredici vittime – la mitragliata hard non ha l’efficacia di un tempo, restando una semplice imitazione di qualcosa che non è mai appartenuto al gruppo. In “Sugar Blues”, ad esempio, la velocità del punk si fonde con l’hard-blues, ma l’ascoltatore è pervaso da una sensazione di già ascoltato, di assolutamente noioso.
Lynott non nasconde più l’uso di eroina che è diventato frequentissimo, sicuramente penalizzante per la sua verve da songwriter che in Chinatown tocca un punto basso. L’introduzione di Snowy White, che è più un sessionman che un guitar-hero, non porta innovazioni nel sound dei Lizzy, sicuramente non al livello di Moore in Black Rose. Se i brani più power-pop del disco (“We Will Be Strong” e soprattutto “Sweetheart”) convincono per piglio ed esecuzione, numeri come la title track portano in dote una qualità piuttosto scadente in fase di scrittura, oltre che riff banali. A testimoniarlo è anche l’amico Jim Fitzpatrick – ancora una volta autore della copertina del disco – che ha passato a Lynott una copia del libro “The Cowboys”come fonte d’ispirazione per il brano “Genocide (The Killing Of The Buffalo)”. Le basi per una nuova “Emerald” ci sono tutte, ma Fitzpatrick racconterà dell’assoluta mancanza di senso nel testo, sotterrato dai soliti ritmi marziali in chiave hard and heavy. Escludendo il rock’n’roll “Having A Good Time”, la seconda facciata di Chinatown non impedisce ai Thin Lizzy di sprofondare in strati musicali inutili, come nella pomposa ballad “Didn’t I” o sull’ennesimo riffone duro della conclusiva “Hey You”.
Trouble Boys (1980-1983)
Dopo l’uscita di Chinatown, parte il nuovo tour con il supporto del gruppo irlandese Lookalikes guidato dal nuovo amico di Lynott, Sean O’Connor. Phil ormai dorme poco più di un paio d’ore a notte, sniffando cocaina appena può. I concerti dei Lizzy alla fine del 1980 non entusiasmano gli addetti ai lavori, che parlano di show sempre uguali e costruiti a tavolino tanto per sbrigare la pratica. La data di Los Angeles a dicembre sarà l’ultima negli Stati Uniti, dove pure esiste uno zoccolo duro di fan, ma i dischi continuano a non vendere, a fronte di spese sempre più consistenti per l’organizzazione dei concerti. L’anno successivo, il concerto al Milton Keynes Bowl vede un Lynott ubriaco lercio davanti a soli diecimila spettatori, mentre la data allo Slane Castle segna il definitivo sorpasso degli U2 come band più famosa d’Irlanda.
La situazione già precaria precipita con la pubblicazione del disastrato (e disastroso) Renegade, prodotto prima con Woolven e poi con Chris Tsangarides per l’uscita nel novembre 1981. A partire dalle tastiere synth-prog apocalittiche di “Angel Of Death”, l’album cerca disperatamente di trovare una nuova direzione nel sound della band, finendo con l’annegare in una pericolosa mediocrità sia compositiva che esecutiva. La potenza vibrante dei Lizzy è occultata da nuove architetture tra il solito hard-rock e tastiere sempre più massive, come nella inutilmente lunga title track. In brani come “The Pressure Will Blow” gli antichi fasti della chitarra di Gorham sono penalizzati da un Lynott in pessimo stato di forma, consumato dalle droghe.
Nemmeno il singolo “Hollywood (Down On Your Luck)” riesce a salvare il disco, che non arriva nemmeno tra i primi 40 nella classifica inglese, evento che non si vede dai tempi di Fighting. Impresentabile poi il mix tra calypso e chitarre spagnole in “Mexican Blood”, a vergare l’evidente stato di confusione generale causato dalla totale perdita di direzione da parte di Lynott.
Nonostante le difficoltà interne, i Lizzy tornano in tour alla fine del 1981 e per gran parte del 1982. La riuscita di Snowy White è ormai compromessa, diventa evidente che non può sostituire Robertson o Moore. Il problema più grande sta nell’introduzione live dei sintetizzatori, che trasformano il suono della band in maniera radicale. Downey subisce un serio infortunio e deve cedere temporaneamente il passo a Nauseef, mentre Gorham viene allontanato durante il tour, perché incapace di suonare a causa degli abusi di alcol e droga.
Lynott è ormai sull’orlo del precipizio, mentre attende un’apparizione al programma tv The Late Late Show non riesce a smettere di sanguinare dal naso, costretto a mettersi dei pezzi di carta igienica nelle narici per tamponare la fuoriuscita. In questo stato di avanzata devastazione, Lynott torna in studio per lavorare con Woolven al secondo disco da solista, intitolato The Philip Lynott Album. Se il precedente Solo In Soho mostrava una certa vitalità nel mixare generi e stili diversi, The Philip Lynott Album è un disastro totale, che rispecchia la mente confusa del suo autore.
Aperto dall’elettronica minimale di “Fatalistic Attitude”, il disco vira subito verso un funky da discoteca (“The Man’s A Fool”), poi su certi romanticismi di formazione country (“Old Town”) e soul (“Growing Up”). Che il leader dei Lizzy non abbia più uno straccio di idea è evidente dall’inserimento di un remix a tutta birra del precedente singolo “Yellow Pearl”, seguito dai ritmi tipicamente eighties di “Together”. L’album trova un sussulto grazie al nuovo contributo di Mark Knopfler in “Ode To Liberty (The Protest Song)”, ma è decisamente troppo poco per salvarsi dall’oblio sonico.
All’uscita del secondo album da solista di Lynott segue un tour europeo con il suo nuovo gruppo, Soul Band, che vede Nauseef alla batteria e Jimmy Bain misteriosamente alle tastiere. Il 28 gennaio 1983 i Thin Lizzy tornano in tv per presentare il nuovo singolo “Cold Sweat”, tempesta heavy-metal firmata insieme al nuovo chitarrista John Sykes, proveniente dai Tygers of Pan Tang. Appena 23enne, Sykes viene invitato a far parte dei Lizzy al posto del fuoriuscito Snowy White, prima di chiudersi ai Boathouse Studios di Pete Townshend per registrare con Tsangarides Thunder And Lightning. Pubblicamente viene annunciato che sarà l’ultimo disco dei Lizzy, nuovamente in difficoltà economica dopo l’ultimo tour inglese che ha venduto poco più della metà dei biglietti. La decisione di Lynott di fermarsi viene accolta con un sospiro di sollievo da parte di Downey, così come da Gorham che è alle prese con un lungo processo di riabilitazione.
Al disco seguirà ovviamente un tour di addio alle scene, fondamentale per ripianare le finanze disastrate della band che ha oltre mezzo milione di sterline in debiti verso fisco e fornitori, dopo aver dilapidato un patrimonio in droghe, alcol e locali notturni. In realtà Lynott non vuole abbandonare del tutto i Thin Lizzy, ma il farewell tour si preannuncia sold-out e questo basta per il momento. La prima data è il 9 febbraio 1983 a Scarborough, un lungo giro tra Regno Unito, Irlanda, Svezia, Germania e poi Giappone. Il ritmo di vendita dei biglietti è buono, l’accoglienza del pubblico è calorosa per salutare la band. Il management dei Lizzy cavalca l’onda e aggiunge sempre più date, per recuperare almeno in parte i soldi necessari a rimborsare il fisco.
Il 4 marzo 1983, durante la leg inglese, il nuovo album Thunder And Lightning viene pubblicato e scala la classifica fino al quarto posto, ma più per le circostanze che per la sua qualità effettiva. I numeri migliori del disco sono sicuramente l’evocativa ballata notturna “The Sun Goes Down” e la potentissima “Cold Sweat”, che mostra i muscoli del nuovo assetto chitarristico con Sykes, capace di rinnovare il sound del gruppo pur mantenendo un impianto heavy-metal molto comune nella nuova British invasion del rock duro. L’entrata di Sykes nei Lizzy è fondamentale per produrre un ultimo disco quantomeno degno, che ha il merito di avvicinare i fan più puri del metal e dunque trascinarlo verso la vetta della classifica inglese. Dalla title track alla finale “Heart Attack”, l’apporto del nuovo chitarrista porta almeno verso una direzione precisa, appunto un heavy-metal molto diretto e iper-veloce. Il lato oscuro dell’album sta però in una esasperata ripetitività, con brani che si susseguono uguali tra loro, dalla marziale “This Is The One” alla melodica “Someday She Is Going To Hit Back”. La parziale salvezza guadagnata da Thunder And Lightning sta nel suo approccio più fresco e meno confusionario, definitivo lascito dei Thin Lizzy al panorama British-metal che è nato e si è sviluppato anche grazie alla disgregata band di Philip Lynott.
Il tour d’addio agli inizi del 1983 viene registrato per l’uscita di un nuovo doppio album dal vivo, Life, pubblicato alla fine dell’anno dopo un lunghissimo lavoro in fase di produzione da parte dello stesso Lynott. La selezione cade sulle diverse date all’Hammersmith Odeon di Londra, comprendendo diversi brani dagli ultimi discutibili album – Thunder And Lightning, Renegade, Holy War – e ovviamente lasciando ampio spazio ai classici del decennio precedente. A differenza dell’immane lavoro apportato da Visconti su Live And Dangerous, Life rispecchia in toto lo stato di forma della band, che anche dal vivo non riesce più a sprizzare l’energia incontenibile di un tempo. Basta mettere a confronto le versioni di “Jailbreak” dai due differenti periodi per trovare le differenze, con il nuovo stile metal di Sykes che spadroneggia per salvare il salvabile.
Il doppio disco presenta però dei momenti significativi, in primis la versione (profeticamente) sentita di “Got To Give It Up” e una sempre potente “Emerald”. Il tour di addio dei Lizzy è anche l’occasione per rivedere diversi compagni d’avventura sul palco, da Gary Moore a Brian Robertson, fino ad Eric Bell. L’orgia di chitarre si compie sulla finale “The Rocker”, canto del cigno di Lynott insieme ai tanti musicisti che hanno contribuito alla sua tragica grandezza.
Angel of Death (1983–1986)
Nell’estate 1983 parte un nuovo tour della Philip Lynott Band, un totale di 13 date in Svezia con Downey, Skyes, Mark Stanway (Magnum) e Doish Nagle (Bogey Boys). Nella setlist sono ovviamente inclusi diverse canzoni dei Lizzy, compresa “Sarah”, che non è mai stata portata in tour con la band. Il 28 agosto al Reading Festival va in scena l’ultimissimo concerto inglese con i vecchi compagni, chiuso dai quasi nove minuti di “Still In Love With You” con il cantante in lacrime alla fine dello show. A settembre la band si esibisce in Germania al Monsters of Rock Festival, in compagnia di Brian Robertson che assiste con il suo nuovo gruppo, Motörhead, a un lato del palco. Lynott, Downey e Gorham si salutano così, all’aeroporto, dicendosi addio perché è davvero finita. “Ok, ragazzi, ci vediamo presto. State bene, ciao”. Dopo quasi 13 anni di attività senza sosta, i Thin Lizzy sono ufficialmente sciolti.
Phil decide di tornare a vivere in Irlanda con la famiglia, ma il suo matrimonio cade a pezzi, mentre Dublino e dintorni è ormai inondata dall’eroina. Nel 1984 Caroline prende le due bambine e si imbarca su un traghetto diretto a Bath, per ricongiungersi con la famiglia. La vicenda finisce sui tabloid britannici, gravando Lynott di ulteriori pesi esistenziali. Si avviano le pratiche per il divorzio, con la possibilità di vedere le figlie solo sotto supervisione. Una situazione che per le condizioni psico-fisiche in cui versa Phil diventa prestissimo insostenibile. L’unica ancora di salvezza è la musica: alla fine del 1983 richiama Brian Downey proponendogli di formare una nuova band, ma il batterista gli risponde che effettivamente è troppo presto, che vuole godersi del tempo con la sua famiglia. L’insistenza di Lynott porta alla nascita dei Grand Slam, con Downey, Sykes – subito rimpiazzato da Laurence Archer dei Wild Horses perché unitosi ai Whitesnake – e Mark Stanway. I quattro si riuniscono nella località di Howth per iniziare a provare, nel marzo 1984, ma Lynott non riesce a tenere a bada le sue abitudini con le droghe e le canzoni decenti sono pochissime. C’è un piccolo tour irlandese da organizzare, ma Downey è contrario all’idea di Phil di riproporre brani dei Lizzy come riempitivo. I due si separano nuovamente dopo la cancellazione del tour.
Ovviamente Lynott non ha alcuna intenzione di cedere e chiama alla batteria Robbie Brennan, altro personaggio dedito all’eroina. La primavera del 1984 vede alcune date irlandesi in cui i timori di Downey si materializzano, perché i Grand Slam non sono una vera band. Sono solo cover dei Lizzy, vecchio materiale solista di Lynott, addirittura versioni di Procol Harum e Bob Dylan, persino la tanto vituperata “Whiskey In The Jar”. La voce di Lynott è ridotta ai minimi termini, dando ai pochi spettatori un senso tragico di decadenza assoluta. Phil grida ancora “Are you out there?”, ma a volte davanti a poco più di trenta persone attonite. Al di là del vistoso imbarazzo, i Grand Slam registrano diversi brani, fino all’autunno del 1984, quando Lynott riesce per alcuni mesi a smettere con l’eroina, annunciando la sua nuova vita al programma mattutino Good Morning Britain. Qualcuno sostiene che è più una mossa strategica per attirare promoter e case discografiche, dal momento che la ritrovata sobrietà dura pochissimo. Phil ritorna in studio a Londra per registrare, mentre continua a girare l’Inghilterra in tour dopo aver tagliato quasi tutti i pezzi dei Lizzy dalla setlist. Ma sia il pubblico che gli addetti ai lavori non restano affatto affascinati da questa copia sbiadita della gloriosa band irlandese. Le etichette non si espongono al rischio, gli Stati Uniti sono un miraggio: i Grand Slam terminano la loro avventura mai nata il 4 dicembre 1984 al Marquee Club di Londra.
Dopo il clamoroso fallimento dei Grand Slam, Lynott se ne torna mesto all’appartamento di Kew Road, riprendendo le sue poco sane abitudini. All’inizio del 1985 viene invitato in California dall’amico Huey Lewis che con i suoi The News ha sbancato le classifiche americane con il terzo album “Sports”. Lynott vuole approfittare della proposta di cantare su tre brani, ma l’ambasciata irlandese si rifiuta di emettergli l’ennesimo visto, a causa dei suoi problemi di droga. Riesce a raggiungere i Record Plant Studios in tempo per registrare il singolo “Still Alive”, che riproduce il suono a doppia chitarra dei Lizzy nello stile pop-soul di Lewis. L’obiettivo dichiarato è quello di restituire al mondo la figura del rocker, ma le sessioni non vanno bene e costringono Lynott a tornarsene a Londra con un pugno di mosche in mano, nonostante un blando interesse della Polydor Records, che gli ha proposto un singolo con opzione per un nuovo disco da solista. Il duro lavoro non frutta, perché le tracce sono diverse ma tutte di scarsa qualità.
Nella primavera del 1985 torna a lavorare con Gary Moore dopo quattro anni dal tradimento nel bel mezzo del tour americano dei Lizzy. I due registrano “Out In The Fields” che esce a giugno ottenendo un buon successo commerciale, non sfruttato dal management storico di Lynott che si è accordato per un pagamento one-shot di cinquemila sterline. Come B-side viene scelta “Military Man”, una delle ultime perle scritte da Lynott in un momento di rara ispirazione, arricchita dalla chitarra di Moore che vira prima verso l’iper-velocità metal e poi rallenta su un ottimo assolo soul-blues.
Trasfigurato, pallido, sempre con occhiali da sole ben posizionati sul volto per evitare il contatto umano. Lynott diventa ufficialmente un fantasma dalla fine del 1985, ormai rassegnato ad abbandonare il mondo della musica. Si ritira sempre più spesso nel suo appartamento in Kew Road, dove accetta frequenti visite degli amici – soprattutto Jimmy Bain che non ama drogarsi da solo – ma più volentieri quelle dei suoi pusher. L’amico Fitzpatrick lo trova in pessime condizioni, tra sporcizia e misteriose ragazze in preda a convulsioni o peggio in overdose. Sembra non esserci più nulla da fare: Lynott il poeta, il rocker non esiste più, ora c’è solo Phil il drogato che fatica ad alzarsi dal letto. Sparisce dalla scena musicale del tutto, quando viene escluso dagli amici Geldof e Ure dal Live Aid nell’estate 1985.
Mentre è in Spagna per riunirsi con la famiglia, Lynott viene approcciato dall’impresario irlandese Maurice Boland che gli propone una serata al suo locale, Disco Cuba. Phil accetta scarse condizioni economiche pur di riunire i Lizzy, ma a salire sul palco saranno Sean O’Connor e Justin Clayton, chitarrista già al lavoro con Julian Lennon. Davanti a 700 persone, Phil sale sul palco alle tre di notte per un’ora di brani dai Lizzy, cantati e suonati in maniera davvero improvvisata. È l’ultima tristissima esibizione di uno dei più particolari performer nella storia della musica, anche se ci saranno altre due apparizioni in Inghilterra con Gary Moore a cui confesserà l’intenzione di volerla piantare con alcol e droghe.
Il 6 novembre 1985 esce il primo e unico singolo per la Polydor, “Nineteen”, che viene distrutto dalla critica per il suo ennesimo riff power-metal senza idee. La principale idea di Lynott rimane sempre quella di riformare i Lizzy, ma Brian Downey gli dice che dovrà prima perdere peso e smettere con gli abusi. Gorham gli suggerisce di provare una nuova terapia neuro-elettrica proposta con successo per trattare personalità dipendenti come Jimmy Page ed Eric Clapton. A dicembre la situazione precipita, Lynott è in overdose e viene portato d’urgenza al Salisbury General Infirmary in stato di coma, dove resta undici giorni tra l’incoscienza più totale e rari momenti di lucidità. Al capezzale ci sono mamma Philomena e gli amici più stretti che vanno e vengono. Muore il 4 gennaio 1986, dopo il collasso di diversi organi e un sistema immunitario ormai distrutto.
Nonostante i funerali irlandesi siano noti per la loro malinconica allegria, il primo rito funebre per Philip Lynott il 9 gennaio 1986 è straziante. Alla celebrazione di due giorni dopo c’è il gotha della musica irlandese, da Bob Geldof agli U2. Si esibiscono con due canzoni i Clann Éadair, il giovane gruppo irlandese apprezzato da Lynott nella seconda parte della sua carriera. Gli amici più stretti si ritrovano al pub per bere alla sua memoria, devastati dal dolore. La figura di Lynott è così importante nella tradizione irlandese che sarà l’unica a vantare una statua di bronzo, eretta in Harry Street nel 2005, insieme a giganti della cultura come James Joyce.
Se solo avesse saputo. Io non credo che abbia mai capito quanto fosse amato
Dedication (1986-oggi)
Nel maggio 1986 i Thin Lizzy si riformano in formazione allargata – con Gary Moore, Bob Geldof e Bob Daisley al basso – per esibirsi al Self Aid di Dublino. L’anno dopo viene organizzato il Vibe for Philo, concerto tributo promosso dal dj irlandese Smiley Bolger nell’anniversario della morte di Lynott. Il gruppo si riunisce per la prima volta in studio nell’autunno del 1990, per lavorare a un demotape inedito di Phil, “Guiding Light”, scritto con il chitarrista Laurence Archer nel periodo dei Grand Slam. Viene pubblicato così il singolo “Dedication”, che mescola gli abituali ritmi heavy-metal a un approccio più melodico in salsa pop. Il brano raggiunge la posizione numero due in Irlanda, trascinando la salita della compilation Dedication: The Very Best Of Thin Lizzy nella Top Ten inglese nel febbraio 1991.
Robertson e Downey invitano il vocalist Bobby Tench ad unirsi al gruppo per una serie di concerti irlandesi denominati “An Evening With Thin Lizzy”, mentre l’etichetta indipendente Windsong manda in stampa una registrazione live risalente al 1983 negli studi mobili della Bbc. Dal titolo BBC Radio One Live In Concert, il disco presenta lo show del Reading Festival, alla fine del tour di addio della band. Aperta dall’immancabile “Jailbreak”, la setlist di Reading include la gemma soul-blues “A Night In The Life Of A Blues Singer”, il medley “Rosalie/Dancing In The Moonlight/The Cowgirl Song” e il toccante finale di oltre nove minuti “Still In Love With You”, con Lynott che termina in lacrime per quello che dovrebbe essere l’ultima esibizione della band. Unici motivi plausibili per l’acquisto del disco, dato che per il resto il materiale e la qualità dell’esibizione sono molto simili al doppio Life.
Decisamente più interessante il recupero delle Peel Sessions, quindici tracce pubblicate dalla Strange Fruit nel 1994 e frutto di una serie di registrazioni alla Bbc Radio 1 per la messa in onda durante il programma del celebre disc-jockey. Gli anni coperti vanno dal 1972 al 1977, da un’intensa versione di “Whiskey In The Jar” all’ultimo successo “Dancing In The Moonlight”. Il disco è molto più prezioso dei due precedenti per riscoprire il repertorio seventies dei Lizzy, quando la band ha il sound grezzo e diretto di “Rosalie”, capace di passare in scioltezza dal boogie-blues “Suicide” agli inni hard-rock come “Emerald”. Dopo Life e Bbc Radio One, la differenza nella voce di Lynott è ovviamente lampante, tra la cavalcata country-rock “The Cowboy Song” e il rock’n’roll furente “Little Darling”. Altra menzione d’onore alla resa dal vivo della giga psych-rock “Vagabond Of The Western World” e della toccante ballad minimale “Little Girl In Bloom”.
Nell’estate del 1994 Downey e soci organizzano un concerto tributo a Wolverhampton, prendendo l’insolita decisione di assoldare diversi gruppi cover locali. A seguire, John Sykes prende in mano un nuovo progetto con Gorham, Downey e il bassista Marco Mendoza (Blue Murder) per girare l’Europa in un tributo a Lynott, partecipando anche all’edizione 1996 del Vibe for Philo, che è ormai diventato un appuntamento annuale il 4 gennaio. Quella che sembra una semplice celebrazione una tantum diventa invece una sorta di seconda vita per i Thin Lizzy, che tornano in pista – non senza critiche per l’uso del nome – con Darren Wharton alle tastiere e lo stesso Sykes che si prende la responsabilità di tutte le parti vocali. Per placare gli animi, i nuovi Thin Lizzy giurano che le canzoni saranno sempre quelle, nessuna intenzione di registrare nuovo materiale in studio.
Nel 1997 si consuma l’addio di Brian Downey, sostituito da Tommy Aldridge che parte subito in tour per diverse città europee. Le tantissime esibizioni tra il 1998 e il 1999 vengono registrate per l’uscita del disco live One Night Only, pubblicato nel 2000. Abbandonato l’ultimo membro rimasto della formazione originale dei Lizzy, Sykes si prende la scena con lo stesso approccio dell’ultimo disco Thunder And Lightning. Da “Cold Sweat” a “Jailbreak”, le canzoni di Lynott vengono svuotate di significato e riproposte in chiave metal tra svisate, tecnicismi e ritmi marziali di batteria. Anche se si cerca di riproporre fedelmente la struttura dei live dei Lizzy – ad esempio l’inserimento di “Are You Ready?” a metà concerto – l’effetto finale è quello di una tribute band di musicisti di altissimo profilo.
Prima di un tour statunitense all’interno di piccoli club i nuovi Thin Lizzy perdono Wharton e poi temporaneamente sia Mendoza che Gorham, alle prese con la sua nuova band 21 Guns. Il totale dei concerti diminuisce vistosamente fino alla fine del 2003, mentre l’industria discografica pensa a incidere il nome di Lynott sulla mastodontica raccolta in quattro dischi Vagabonds Kings Warriors Angels, divisa per periodi a partire dal singolo folk “The Farmer” (1970). Il box-set è la manna tanto attesa dai fan della band, che possono ripercorrere in circa 80 brani tutte le evoluzioni sonore dei Lizzy, dai primi anni tra psych, folk e blues fino agli ultimi riff metal. Le chicche sul secondo disco della gigantesca compilation sono “Cruising In The Lizzymobile” (quando si poteva ascoltare l’influenza di The Band nello stile country-rock) e l’esperimento reggae “Half Castle”. Dal terzo disco emergono la scatenata versione live del rock’n’roll “Me And The Boys” e l’hard-rock “Just The Two Of Us”, B-side del singolo “Do Anything You Want To”. Chiudono nel quarto disco lo psych-rock di “Song For Jimi” e la versione studio di “A Night In The Life Of A Blues Singer” più volte inclusa nelle scalette dal vivo.
Nel 2004 c’è ancora spazio per il nome Thin Lizzy nel solo circuito live, con l’introduzione del bassista Randy Gregg e il batterista Michael Lee. Sykes e Gorham girano il Nordamerica con i Deep Purple, mantenendo la promessa di restare una semplice tribute band che lo stesso Lynott avrebbe approvato per non consegnare all’oblio tanti anni di sacrifici e di bellissime canzoni. L’attività live di recupero storico viene supportata a livello discografico dal doppio Greatest Hits, che contiene le versioni live di “Cowboy Song” e “The Boys Are Back In Town” dalla Sydney Opera House (1979).
Nel 2008 viene pubblicato il nuovo disco live dal titolo UK Tour ’75 che immortala la scaletta di Derby del 21 novembre 1975 nella promozione del disco Fighting. La pubblicazione dell’album è approvata dagli stessi membri storici dei Lizzy, che si occupano direttamente della sua rimasterizzazione. Dettaglio per puri aficionados, la versione di “Cowboy Song” vede Lynott parlare al pubblico di un nuovo brano chiamato “Derby Blues”. L’album è per i nuovi ascoltatori l’occasione unica di scoprire una delle band più in forma nel panorama musicale alla metà degli anni 70.
Mentre fervono i preparativi per un tour con gli Ac/Dc, il rientrato Tommy Aldrige subisce un serio incidente che gli impedisce di suonare, portando il nuovo leader Sykes ad abbandonare la nave. Gorham annuncia che il progetto si ferma temporaneamente, cancellando tutte le date nel 2009. La nuova line-up viene annunciata nel maggio 2010, con l’inatteso ritorno di Downey alla batteria, Darren Wharton alle tastiere, Vivian Campbell (Def Leppard) alla chitarra e il cantante Ricky Warwick dagli Almighty.
La nuova incarnazione dei Lizzy torna in tour all’inizio del 2011, dopo la pubblicazione del breve disco live Still Dangerous, registrato in presa diretta tra il 20 e il 21 ottobre 1977 al Tower Theater di Philadelphia. L’album attira i fan e la critica perché mette fine alla vecchia diatriba sulla manipolazione eccessiva di Visconti su Live And Dangerous, mostrando tutta la potenza sonora della band irlandese senza alcun overdub aggiunto in studio di registrazione.
Nell’estate 2011 Damon Johnson, dalla band di Alice Cooper, si unisce al gruppo in sostituzione di Campbell, partendo in tour con i Judas Priest. Durante il regno di Gorham e Warwick si inizia a pensare a un clamoroso album di inediti, avendo ora a disposizione una line-up stabile di musicisti fidati. I Lizzy si riuniscono in studio alla metà del 2012 ma viene annunciato che l’eventuale nuovo disco non sarà col nome della band, per rispetto a Lynott. Con un lavoro “in stile Lizzy”, la band dichiara alla stampa che i concerti saranno interrotti alla fine del 2012. Il nome scelto è Black Star Riders, da cui escono sia Downey che Wharton per concentrarsi su altri progetti.
I Thin Lizzy tornano sulle scene nel 2016, per celebrare il quarantesimo anniversario dall’uscita di Jailbreak e il trentesimo dalla morte di Lynott. La line-up è composta per l’occasione da Gorham, Warwick, Johnson e Wharton, con l’aggiunta del batterista dei Motörhead Mikkey Dee. I concerti si fanno comunque sempre più radi, fino a diventare dei one-night event nel corso degli anni successivi. Gorham, che lascia i Black Star Riders mentre stanno per promuovere il loro nuovo disco, promette di riportare in tour il nome Thin Lizzy dopo il 2020. Ma sempre e solo per onorare ancora una volta il nome leggendario di Philip Parris Lynott.
Antonio Santini for SANREMO.FM