voto
7.0
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Che i They Came From Visions siano un gruppo black metal un po’ atipico, lo si intuisce già dal moniker che si sono scelti e dalla copertina del loro nuovo album, “The Twilight Robes”, in uscita per Eisenwald. C’è qualcosa che sa di collage di cose già viste altrove, magari anche fuori dal genere, ma al tempo stesso sembra che gli elementi siano stati disposti in una prospettiva insolita e obliqua. In questo senso, l’ascolto del loro secondo full-length conferma appieno questa sensazione: tutto già sentito, eppure sentito così ha qualcosa di fresco e personale.
Ma facciamo un passo indietro. I They Came From Visions sono un trio ucraino, formatosi nel 2019 e uscito discograficamente allo scoperto l’anno dopo con l’acerbo “Cloak Of Darkness, Dagger Of Night” (mezz’ora abbondante di modesto black moderno, punteggiato qua e là di buone intuizioni). Poi, in Ucraina entrano i carri armati russi. La band va comunque avanti, riversando nella propria musica la paura e la rabbia di quei mesi. I tre registrano e producono in casa un secondo album, per l’appunto “The Twilight Robes”. Ora, è difficile dire quanto di questa scelta sia stata davvero motivata dalla volontà di preservare la concezione originale del lavoro e quanto sia stata, piuttosto, imputabile alle circostanze. Sta di fatto che la produzione rappresenta uno degli aspetti meno smaglianti di un album che per altri versi, come vedremo, è invece piuttosto buono.
In questo nuovo lavoro, i They Came From Visions danno prova di una certa maturazione compositiva e artistica. La loro ricerca quasi antropologica sull’espressione della natura umana nel folkore più inquietante trova, infatti, uno sviluppo meno derivativo e più consapevole dei propri mezzi, nel quale la band sembra aver preso meglio le misure del proprio immaginario. Lo stesso paniere delle influenze cui il trio ha attinto sembra più ricco di quello dichiarato: agli Yellow Eyes e i Wiegedood, infatti, sembrano essersi aggiunti Ulver e Drudkh, forse i più recenti Afsky, sicuramente diverse ispirazioni estranee al black metal o quantomeno rintracciabili in uno stile molto contaminato. Il risultato sono sei nuovi brani (la traccia d’apertura è un’intro ambientale) piuttosto diversificati nelle loro inclinazioni, ma ascrivibili, per brevità, ad un black metal molto melodico, con forti influenze folk e una marcata impronta gotica, ora medievaleggiante, ora romantica. Ad un ascolto più attento, colpisce come la varietà di “The Twilight Robes” si regga su un numero relativamente limitato di idee, che però si rivelano tutte piuttosto solide: segno, a nostro avviso, non di tanto di povertà di ispirazione, quanto di capacità di selezionare.
L’impalcatura abbastanza essenziale di questo lavoro ne costituisce, però, sia un pregio che un limite. Un pregio, perché lo rende snello e immediato, valorizzando la musicalità dei riff portanti e delle linee vocali, che spiccano per senso melodico e dinamicità. Ne sono prova, ad esempio, i singoli selezionati per presentare il lavoro al pubblico, che sono poi anche i primi due veri brani dell’album: la crepuscolare “Equinox Ablaze”, costruita intorno ad un riff dal sapore antico che ricorda i vecchi Ulver; e l’interessante “Burning Eyes, Blackened Claws”, nella quale si intrecciano sia alcuni dei momenti più cantabili dell’intero platter, che alcuni dei più ambiziosi. Ma come dicevamo, le strutture asciutte di “The Twilight Robes” finiscono per risultare anche un po’ limitanti, soprattutto quando, ad album inoltrato, alcune soluzioni cominciano a farsi prevedibili. Compensa in parte la già citata varietà dei brani, che giocano in modo piuttosto efficace con contaminazioni diverse. Si passa così dall’approccio folk di “The Blissful Defeat” alle atmosfere gotiche di “Petrified Immortality”, fino alla virata post-black e quasi sperimentale di “The Sign Of Damnation” e alla sorprendente chiusura heavy della title-track.
In conclusione, “The Twilight Robes” è un disco sicuramente consigliato a chi ama le atmosfere del black metal dal sapore antico, ma che potrebbe rivelarsi inaspettatamente gradevole anche per chi frequenta più volentieri altre sonorità. E se guardando le loro foto vi siete chiesti perché abbiano dei cesti di vimini in testa: i costumi dei They Came From Vision ricostruiscono le tenute degli apicoltori del XVI secolo (qui un’illustrazione d’epoca e qui un articolo per i più nerd). Un’altra variazione originale su qualcosa che, altrimenti, sarebbe un cliché.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM