voto
6.5
- Band:
THE MAGUS - Durata: 00:55:47
- Disponibile dal: 31/10/2023
- Etichetta:
- The Circle Music
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Da sempre, si è cercato di ingabbiare l’arte in una definizione precisa, tentando (invano) di definirne contorni, canoni; e più di tutti, di costruire il paradigma del momento in cui essa cessa di essere idea e diventa tangibile.
Crediamo che sia una ricerca impossibile, eppure è proprio quel ‘tendere verso un limite’, irraggiungibile a parole, che rende chi crea arte una ricchezza in più per l’umanità. Sta poi all’umanità stessa che vi si rivolgere scegliere come, quanto e in che modo beneficiarne.
Questa premessa è doverosa quando ci troviamo a parlare di “Βυσσοδομώντας”, opera prima dei greci The Magus.
Beh, ‘opera prima’ fino ad un certo punto: se siete vagamente familiari con la scena black metal ellenica, infatti, avrete subito collegato il nome della band al figuro baffuto omonimo, che ora dietro al basso e ora alle tastiere, ha contribuito a forgiare gli stilemi portanti proprio di quella scena, militando in gruppi come Thou Art Lord, Rotting Christ e soprattutto Necromantia. Al secolo George Zacharopoulos, The Magus per gli adepti della nera fiamma, ha scelto nel 2022 di concentrare la propria inesauribile, sulfurea ispirazione in una propria creatura, dandole il proprio nome e la propria impronta, fin nelle radici più profonde: in ciascuno dei quasi cinquantasei minuti di durata, infatti, questo album vive e respira della voce e delle intenzioni del proprio demiurgo attraverso atmosfere luciferine, tanto sontuose ed opulente nell’apparato di cori, tastiere e atmosfere, quanto ruvide e primordiali nelle convulse cavalcate black (“Idolus Discord”), capaci di ribadire nella propria slabbrata e urticante virulenza il marchio di fabbrica del creatore.
Fin qui, tutto bene? A dispetto della citazione cinematografica, non proprio: perchè – tornando al discorso iniziale – se non possiamo che ammirare ed applaudire l’inesauribile forza e tenacia artistica di The Magus, una volta grattata via la patina (invero sì rifinita) che avvolge “Βυσσοδομώντας” (l’evocativa cover di Harnasash Singh, le curate foto promozionali), quello che rimane sotto ha il sapore lievemente stantio e polveroso delle cose lasciate per troppo tempo in cantina; magari di ottima fattura e sostanza, ma ora segnate inevitabilmente dal passare del tempo.
Non siamo certo di fronte – come invece talvolta succede – ad una riesumazione accanita di materia oramai defunta in un pessimo tentativo di imitare il dottor Frankenstein, quanto piuttosto ad una sorta di cristallizzazione auto-indotta di riff, pattern di batteria, tasti d’avorio e cupe corde di basso: un tempo quella formula unica è stata capace di aprire nuove fessure da cui far filtrare l’inferno in terra, ma, dopo più di trent’anni, quelle vie sono oramai battute, cambiate, evolute, migliorate. Brani come “The Fall Of Man”, la title-track, o anche la lunga suite finale “Give the Devil his due: The story” risultano sì solidi, acuminati e neri, ma dopo qualche passaggio nello stereo gli spigoli si smussano in fretta e il buio sbiadisce rapido, lasciando un’impressione poco energica; e non è neanche una questione di produzione (tra l’altro, a cura di George Emmanuel, anche lui ex Rotting Christ, giusto per fare tutto ‘in casa’), comunque mirata a bilanciare effetto old-school e sifonie.
Momenti di sinistra luce sono riscontrabili nella già citata “Idolatrus Discord” ed il suo bel lavoro di chitarra, nell’apertura martellante di “Ama Lilith” (un po’ meno nel lungo strascico salmodiante, che aveva del potenziale per risultare da brividi con la voce femminile vagamente diamandagalassiana, ma si perde un po’ per strada) o in “The Peacock King”, forse il momento più energico e ispirato del lotto, dal cui incastro tra barocchismi e forza luciferina si potrebbe ripartire per il futuro.
Ci sono nuove formazioni che sono state in grado di prendere l’essenza del black metal ellenico e plasmarla in nuovi modi – recuperate in questo senso i lavori di Drakon Ho Megas o “The Secret Last Syllable” dei Synteleia per farvi un’idea di come sia possibile reinterpretare quell’eredità – e nonostante tutto siamo sicuri che con il giusto focus anche per i tre musicisti dietro “Βυσσοδομώντας” (ovviamente tutti parte della scena greca, spesso negli stessi gruppi, fin dagli esordi) questa operazione possa risultare non solo possibile, ma anche fruttuosa.
Non siamo tra quelli che gridano al pensionamento ad ogni costo delle ‘vecchie leve’, al contrario crediamo che finchè ci sia lo stimolo di produrre arte per il gusto di farlo sia legittimo continuarlo a fare, come nel caso di The Magus, ma anche dei ‘mitici’ Kawir e soprattutto come nel caso di Stefan Necroabyssius. Ci sentiamo di prendere ad esempio proprio il mastermind dei Varathron, il cui rinnovato stato di grazia ha permesso alla propria band di tirare fuori dischi molto belli, malvagi e validi anche dopo numerosi anni di attività, per dimostrare come cambiare non voglia dire per forza deviare dalla propria (infernale) missione.
Rimandati – a malincuore – alla prossima.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM