Poco meno di trentadue minuti per il secondo album di Sydney Sprague, una raccolta di undici canzoni che conferma il talento della ragazza di Phoenix, Arizona, e tiene alta l’attenzione su una delle potenziali figure di rilievo della scena indie-rock americana. Efficaci slanci pop (“Overkill”) e grintosi episodi dance-rock (“Isob”) sono un buon biglietto da visita per un disco che prova a scuotere le dorate e stellari produzioni mainstream, conciliando l’energia del pop-rock con testi e sonorità non prive di un certo spessore.
Sydney Sprague si conferma abile creatrice di riff accattivanti (“Data Analysis”), di canzoni agrodolci che all’amarezza del testo contrappongono il fragore del suono delle chitarra e una furia ritmica (“If I’m Honest”). L’unica pecca di “Somebody In Hell Loves You” è quella di restare costantemente in bilico tra il guitar-pop di Avril Lavigne (“Smiley Face”) e certe tentazioni emo-rock già ostentate nell’esordio (“God Damn It Jane”, “Nobody Knows Anything”), un’ambiguità che unitamente alla mancanza di una vera e propria identità artistica rischia di relegare la pur brava autrice al ruolo di comparsa nel sempre più vasto panorama contemporaneo.
Le miglior intuizioni del secondo album di Sydney Sprague fanno la loro comparsa verso la fine della scaletta, prima con il fluttuante alternarsi di refrain e melodie dell’elaborata e grintosa “Hello Cruel World”, poi con l’intrigante folk-pop infettato da elettronica e variazioni sul tema dream-pop di “Sketching Lessons”, due brani che confermano la sua abilità nel gestire le perigliose gioie della musica pop e rock senza restare mai vittima di noiosi cliché.
“Somebody In Hell Loves You” è un disco che non ha forse tutte le risposte giuste sulle sorti della musica pop e rock, ma almeno offre 30 minuti di non disturbante leggerezza.
07/01/2024
Antonio Santini for SANREMO.FM