Con “Spine”, Amalie Bruun è quasi ripartita da zero. L’album è stato concepito durante un periodo molto complesso della sua esistenza, perché crescere un figlio nato pochi mesi prima della pandemia non è stato per nulla semplice: da un lato, la gioia e l’entusiasmo di essere diventata madre, dall’altro invece, il timore di un futuro tutt’altro che roseo per il nascituro.
Tali emozioni si sono riversate come un fiume in piena all’interno delle nuove composizioni, nove brani che sprigionano il più vivido amore materno (“My body made your spine, you and I intertwine, you made me human. Stay with me, you will be the one I love the most” recita il testo della titletrack).
C’è aria di rinascita anche a livello musicale, considerando il percorso dei precedenti lavori, tre dischi attraverso i quali la musicista danese ha raggiunto il suo obiettivo, passando dal black metal atmosferico dell’esordio “M” (2015) al folk scandinavo più cristallino del magnifico “Folkesange” (2020). In mezzo, un ottimo album come “Mareridt” (2017), un’opera in perfetto equilibrio tra il grezzo debutto e la svolta bucolica di marca (ovviamente) norrena.
“Spine”, nonostante il recupero parziale della strumentazione elettrica (parlare di black metal sarebbe comunque fuorviante, al di là di un ombroso background che non si può scacciare via), non rappresenta affatto una marcia indietro. Qualche retaggio appartenente al passato c’è (“Valkyriernes Sang” svetta in tal senso), ma la sensazione principale è quella di essere al cospetto di un prodotto tutt’altro che nostalgico: la maggior parte dei pezzi qui presenti è perfettamente bilanciata tra un pacato folk-metal (le chitarre non sono mai invadenti) e la ballata eterea, in cui si avverte la presenza costante di una (Madre) natura solenne e luminosa, eppure inquietante, a tratti spettrale (“My Blood Is Gold” cattura alla perfezione i due opposti di cui sopra).
Tra le composizioni più intense, oltre a quella carezza che risponde al nome di “Devil In The Detail”, spiccano le melodie spirituali della succitata “Spine” (baciata da una notevole parentesi blackgaze) e la purezza acustica di “Menneskebarn”, un epilogo che ci culla tra le foglie ingiallite di un autunno scandinavo dalle notti sempre più buie. Ma la natura è pronta a cominciare un nuovo ciclo: sotto questo aspetto, è bello pensare che Amalie Bruun abbia accostato la nascita del figlio a un verde germoglio da far crescere con cura.
15/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM