Raffinata interprete e cantautrice dalla formazione poliedrica, la milanese Simona Severini si è affermata soprattutto nel campo della musica jazz contemporanea, attraverso collaborazioni con alcuni nomi di punta della scena italiana, tra i quali Giorgio Gaslini, Enrico Pieranunzi, Gabriele Mirabassi, Enrico Intra, Tiziana Ghiglioni, Antonio Zambrini, Alessandro Galati. Si è esibita nei principali festival e sale da concerto in Italia e in Francia (da Umbria Jazz al Sunset di Parigi). E ha collaborato con cantautori come Pacifico e Ron. Nel 2011 ha debuttato da solista con “La belle vie”, raccolta ispirata alla musica di Gabriel Fauré, seguita nel 2020 da “Ipotesi”, Ep di canzoni da lei scritte e interpretate. La prima traccia del suo lungo sodalizio con Enrico Pieranunzi è invece un’incisione di “Futura” di Lucio Dalla nel disco “Dalla in Jazz” (2012). Ed è stato proprio Pieranunzi a volerla con sé nelle esecuzioni live de “Il tocco di Piero”, il docu-film dedicato a Piero Umiliani. Abbiamo approfittato di quest’ultima circostanza per una chiacchierata ad ampio raggio, che attraversa la carriera di una delle voci più talentuose della scena nazionale.
Ciao Simona, è da tempo che ti seguo e che volevo fare questa intervista. Diciamo che la tua performance nel film su Piero Umiliani è stata l’occasione giusta. Partiamo allora proprio da questa esperienza: so che è stato Enrico Pieranunzi a segnalarti al regista, Massimo Martella. Ne sei orgogliosa? E qual è il tuo rapporto con la musica di Umiliani?
Sì, è andata così, nel senso che ho fatto parte della parte della colonna sonora del docu-film curata da Enrico Pieranunzi: ci sono due parti, una arrangiata da Enrico, l’altra dai Calibro 35. Enrico conosce molto bene la mia voce, così ha scelto nel repertorio di Umiliani alcune canzoni, in particolare una, che erano molto adatte a me. Quindi per me è stato molto semplice e naturale interpretarle. Il repertorio di Umiliani è estremamente vasto: si è occupato di tantissime cose e ha sviluppato innumerevoli interessi, ci sono appassionati che lo seguono più per la sua ricerca sui sintetizzatori, altri per le colonne sonore, ma era soprattutto un grande appassionato di jazz e ha composto dei brani in quell’ambito e in quello stile che sono decisamente nelle mie corde.
È stato anche il primo autore di una colonna sonora jazz per un film italiano, con “I soliti ignoti”…
Già, perché il jazz era una sua grandissima passione. Enrico si è occupato soprattutto di quella fase della carriera di Umiliani, più orientata al jazz, e per me è stato bellissimo assecondarlo nel film.
Qual è la canzone di Umiliani che ti piaceva in particolare?
Si chiama “Dawn” ed è una canzone che originariamente canta Helen Merrill. È stata riarrangiata con un feeling un po’ bossa nova che ho apprezzato molto. Del resto, Helen Merrill è uno dei miei principali riferimenti musicali di quegli anni, l’ho sempre adorata.
E poi c’è stato quello spassoso numero di “Mah Nà Mah Nà”, trasformato in un corteggiamento fallito da parte di Massimo Wertmuller…
È stata un’idea di Massimo, io in realtà ero un po’ preoccupata, perché se da un lato mi piace molto cantare, dall’altro non mi capita quasi mai di fare cose che assomiglino vagamente a una parte da attrice. Però alla fine è stato molto divertente!
Con Pieranunzi c’è ormai una collaborazione super-collaudata: ti ha scelta anche per interpretare il suo “Songbook” nel 2016 e per un disco dedicato a Claude Debussy, uscito in Francia. Com’è nato il vostro sodalizio e cosa trovi di più stimolante nel lavorare con lui?
Un rapporto molto solido, sì, tra l’altro abbiamo appena registrato un altro disco in Francia, dedicato a Gabriel Fauré, che uscirà nella primavera del 2024. Tutto è nato quasi per caso tanti anni fa. Lui venne a suonare in un locale qua a Milano, io ero piccola ma avevo il demo del mio primo disco, che tra l’altro era dedicato proprio a Gabriel Fauré. Mi sono avvicinata a lui e gli ho detto: “Se posso, le darei questa cosa”, passandogli il cd. Alla vecchia maniera, insomma! E lui l’ha ascoltato e l’ha apprezzato molto. Per me era il massimo: da studentessa di classica e jazz, conoscevo bene Pieranunzi e per me era già un’istituzione. Insomma, ero una sua fan, così come di tutti quei musicisti che ricercavano un approccio diverso alla musica classica, da camera o barocca. In quel disco su Fauré c’era anche il mio interesse per certa musica europea che trovavo più originale. Lui mi ha invitato a suonare, a fare dei provini usando delle sue parti, poi abbiamo iniziato a fare concerti insieme… ed è andata avanti fino ai giorni nostri, in cui continuiamo a fare live e andare in tour insieme. Lui è per me un maestro da diversi punti di vista.
Quali in particolare?
Oltre che sulla mia carriera, Enrico ha inciso profondamente sulla musicista che sono oggi, da lui ho imparato tantissime cose sulla musica, che lui continua ad amare appassionatamente. E ho imparato anche a essere curiosa, a non fermarmi mai, a cercare sempre di farmi domande e di stupirmi di fronte a nuove esperienze e scoperte. Essere in movimento significa anche aver un particolare approccio nel modo in cui suoni e ti poni rispetto alla musica.
Parliamo un attimo di jazz. Ma è vero che… “le donne odiavano il jazz e non si capisce il motivo”, come cantava Paolo Conte? In fondo anche la moglie di Umiliani diceva di non apprezzare certe sue musiche. Conte ne ha dato anche una spiegazione psicologica (“di fronte a un’automobile, i maschi sono più interessati al motore, le femmine alla carrozzeria… Così era quando eravamo giovani, ragazzi-scimmia”). Un discorso forse superato oggi, o no?
Allora… nel caso della moglie di Umiliani credo di poter dire che quella risposta riguardi più il rapporto familiare rispetto all’interesse per un certo tipo di musica in modo specifico. Dopodiché, in Italia il pubblico del jazz, più che prevalentemente maschile, è un pubblico di una fascia d’età piuttosto alta. Dipende da vari motivi che riguardano questo paese, la sua cultura, la sua comunicazione. Ma no, non credo che le donne facciano più fatica con il jazz: c’erano tante cose appannaggio degli uomini nell’epoca di Paolo Conte e gli uomini erano convinti che alle donne non piacessero, ma in realtà sappiamo che questa non è la verità. Ma a lui si perdona tutto, ci mancherebbe!
A proposito di donne e jazz, quali sono le tue cantanti jazz preferite?
Sicuramente Helen Merrill, che come ti dicevo è una cantante a cui mi sono molto ispirata all’inizio della mia carriera. Direi anche Norma Winston, una interprete inglese che ho ascoltato molto per anni, e Jane Lee, vocalist americana sempre troppo poco conosciuta. Soprattutto queste tre. Poi c’è Joni Mitchell, che pur non essendo una interprete jazz, mi ha molto influenzato con il suo stile unico e con la sua intera storia artistica.
Apparentemente meno prevedibile, invece, il tuo interesse per l’universo musicale di Lucio Dalla. La prima traccia della tua collaborazione con Enrico Pieranunzi è proprio un’incisione di “Futura” di Lucio Dalla nel disco “Dalla in Jazz” (2012). Poi nel 2017 hai anche pubblicato “Futura&il Coyote”, un Ep di due brani interpretati in occasione proprio dell’anniversario della nascita di Lucio. Come si è sviluppata questa tua passione per Dalla? Lui tra l’altro era un jazzista, quindi forse è meno sorprendente del previsto…
Il lavoro con Enrico su Dalla nacque un po’ per caso, ce lo proposero e accettammo molto volentieri. Io ho fatto parte per un periodo dell’etichetta di Lucio Dalla, quando lui era già venuto a mancare, quindi ho avuto modo di frequentare lo studio, l’ambiente che gravitava attorno a lui. Lui ha un modo di scrivere che a me interessa moltissimo: ha una grande libertà nei confronti delle strutture e di un po’ di tutto. Tanta fantasia, tanta libertà nel costruire le canzoni e i testi, poca preoccupazione per il rispetto dei canoni. Faceva sempre quello che gli pareva: alcune cose hanno funzionato, altre non particolarmente, ma non gli è mai venuta meno la libertà di sperimentare. Insomma, un po’ il contrario di quello che succede adesso. Oggi sono tutti preoccupati di fare la canzone giusta, con la struttura giusta, la modalità giusta che ha già funzionato etc. etc.
Hai anche detto che “i brani di Dalla sono difficili da cantare perché sono molto personali e lui è così intenso che viene più da ascoltarlo che riprodurlo”…
Sì, perché quando ho fatto “Futura&il Coyote”, in realtà non volevo cantare quei pezzi, li consideravo, appunto, troppo personali. Mi dicevo: meglio lasciarli cantare a lui e basta. Invece poi è capitato e mi sono trovata bene a reinterpretarli a modo mio.
Nel 2020 hai invece pubblicato “Ipotesi”, il tuo primo Ep di canzoni, con una formula acustica piuttosto intimista. Qual è il tuo traguardo come cantautrice? Ti vedi su un palcoscenico come Sanremo?
Non mi pongo particolari limiti. Non credo ci siano ambiti più o meno adatti a me. Più che altro mi piace essere selettiva sulla musica. Ultimamente mi piace molto scrivere i testi, oltre a cantare. Però la mia idea di suoni non si avvicina tanto al mondo mainstream, a quello che imperversa oggi in classifica. Sono in ogni caso abbastanza aperta a ogni possibilità.
In che modo la tua formazione jazz ti ha aiutata a scrivere canzoni?
In realtà non lo se mi ha aiutata. Io mi sento prima cantante e poi autrice, però la scrittura ha seguito una strada diversa, diciamo così. Io amo tantissimo anche la musica classica, da piccola volevo fare la cantante lirica. Non dico che sia un caso che canti jazz, magari quella libertà che ti dà quella musica ha contribuito, ma ho comunque un approccio libero anche verso altri stili. E non so se il jazz mi abbia davvero aiutato a scrivere.
Hai raccontato che scrivere ti serve a “fermare delle sensazioni che hanno qualcosa di inesprimibile” e “a mettere in ordine le cose”. Ce la puoi spiegare meglio?
Funziona così: di solito, mi faccio una domanda, e per rispondere scrivo. Se non riesco a capire qualcosa, per rispondere provo a trovare la risposta nei miei versi.
Dicevi della tua idiosincrasia per ruoli da attrice. Però anche in quel campo hai fatto qualcosa: nel 2017 hai debuttato al Piccolo di Milano interpretando Miranda in un concerto performance ispirato alla Tempesta di Shakespeare, con regia di Massimo Navone; poi hai partecipato a “In attesa di giudizio” di Roberto Andò. Non la vedi proprio una tua seconda vita in teatro?
No! Nel senso che mi ci hanno sempre tirata in mezzo, come nel caso del duetto con Massimo (ride, ndr). Mi hanno detto “vieni a cantare”, e poi ho scoperto che dovevo fare altro… Alla fine ho fatto uno sforzo e mi sono anche divertita, però sono stata sempre incastrata! A parte gli scherzi, sono state due esperienze bellissime, ho imparato molto sul palco con attori fantastici nel caso dell’opera di Andò, e anche nell’esperienza al Piccolo con Navone: confrontarsi con un testo così, con un autore così, è stata una prova indescrivibile, anche se si è trattato in realtà di un “concerto-performance”.
Però è innegabile che le tue interpretazioni abbiano anche una carica espressiva notevole, non dico teatrale, ma quasi.
Sì, ma finché si tratta di cantare va benissimo, quello è il mio stile e va bene così. Poi per me il testo è sacro, quindi sento una vicinanza con la recitazione, però interfacciarsi con attori sul palco è un lavoro molto impegnativo, quindi sono grata a chi mi ha offerto queste opportunità.
Dicevi di sentirti estranea a una certa scena musicale del nostro paese. Ci sono invece cantanti italiane, di oggi e di ieri, alle quali ti senti affine?
Molte cantanti attuali mi piacciono, in realtà. Nel passato, ti direi Nada. E Ornella Vanoni, meravigliosa nel complesso, vorrei essere così. Mi piace molto anche Veronica Lucchesi, la cantante della Rappresentante di Lista.
Domanda insidiosa: conosci OndaRock?
Sì, conosco il sito, anche se il rock non è proprio la mia specialità. In famiglia ci siamo suddivisi i ruoli in modo rigido: mio fratello, pur non essendo un musicista, è uno straordinario appassionato e conoscitore di tutto il mondo rock; io invece copro tutta l’area classica e jazz, e per questo lui dice che sono pallosa! In realtà, qualcosa di rock conosco anch’io ma non benissimo.
Ma in realtà anche noi non seguiamo solo il rock… Umiliani, per dire, è un nostro beniamino storico. Avevamo anche recensito “Svezia Inferno e Paradiso” tra le nostre pietre miliari. E personalmente adoro quel suono lounge anni 60, sospeso tra jazz, bossa nova ed easy listening.
Anch’io. E poi, come ti dicevo, si adatta perfettamente alle mie corde vocali, a questa mia voce un po’ soffiata con cui mi piace giocare, quindi interpretarlo nel docu-film “Il tocco di Piero” è stata un’esperienza inevitabile, e bellissima.
La dimensione live resta fondamentale per te?
È la prima cosa per me. Tutto il resto viene dopo. Ogni sera non sai mai come andrà e questo mi stressa e diverte allo stesso modo. E poi il rapporto con il pubblico è sempre entusiasmante.
Hai concerti in programma in questo periodo?
Adesso sono ferma per un po’, sono saltate un po’ di cose, tra cui un concerto in Israele, ovviamente. Farò un concerto a Milano, al Blue Note, a gennaio con la Monday Orchestra dedicato a Nina Simone. Mi sto preparando soprattutto per questo appuntamento.
Antonio Santini for SANREMO.FM