“Le tue pupille sembrano pallottole, se mi guardi mi ferisci”. Con un attacco del genere poi è difficile recuperare. È l’ennesima canzone sulla fragilità e la necessità di convivere con limiti e tormenti, ma è un concetto che poteva, che doveva essere espresso in una maniera musicalmente più interessante e originale. Emozionato? Forse non ancora pronto per quel palco, anche se ci mette l’extrabeat.
Maninni
Spettacolare
VOTO
5,5
Canta le giornate no, anzi “le giornate bastarde” come le chiama lui, per reagire e rialzarsi “come fanno i campioni di muay thai”. Ma la medietà di Spettacolare lo penalizza: non ha lo struggimento stropicciato dell’indie e nemmeno il carattere spudorato del nuovo pop.
Portano a casa l’esibizione con una canzone da boy band di nuova generazione, un po’ scemotta e un po’ no, briosa e leggera che, facendoci caso, offre un piccolo spaccato di vita di provincia, tra incubi e vizi. “La mia testa è un collage”: ecco, così.
Santi Francesi
L’amore in bocca
VOTO
7
Dal governo punk al governo synth pop. Alla seconda esecuzione la canzone cresce. Diventa interessante quando si apre abbinando una melodia arcitaliana a un arrangiamento elettronico giusto per questa storia di amore amaro. Come dicevano quelli là, crying at the discotheque.
Mr. Rain
Due altalene
VOTO
2
Se Mr. Rain fosse americano, farebbe Christian pop. Il tono di Due altalene è quello colloquiale di Supereroi, la costruzione prevedibile, una delle storie dietro alla canzone è quella della morte di due bambini per mano del padre. Da queste parti si guarda con sospetto al modo in cui queste vicende sono raccontate in musica e all’overdose di buoni sentimenti, e non perché siano buoni, ma perché quando si eccede rendono le canzoni poco interessanti.
Rose Villain
Click boom!
VOTO
8,5
Ci sono persone che usciranno forti da questo festival e altre meno. Rose Villain appartiene alla prima categoria: si è fatta conoscere dal grande pubblico e, anche se rischia con un brano che è un rollercoaster vocale, si mangia il palco insegnandoci che se ti diverti è meglio. Le manca solo l’ultimo metro per essere libera come vorrebbe essere. Peccato.
Alessandra Amoroso
Fino a qui
VOTO
6,5
Imparare a volersi bene e rialzarsi dopo una caduta sono temi ricorrenti nelle canzoni di Sanremo 2024, pure troppo. Alessandra Amoroso li affronta in una ballata classica e ben scritta che è per lei sia famigliare, sia nuova, con riferimenti che non ci si aspettava, L’odio di Kassovitz, Sally di Vasco, e con sfumature che la rendono più adulta. Al centro c’è la sua voce “sabbiata” e quel suo modo istintivo, mai troppo pulito di cantare: love it or leave it.
Ricchi e Poveri
Ma non tutta la vita
VOTO
6
Stanno facendo un Sanremo a parte, fuori dai giochi, con un’idea di musica da festa di paese in cui ci si può divertire sbracando, altroché coolness dei più giovani. La canzone è una baracconata, però ben arrangiata, che si presta a trasformare gli Angeli in meme viventi. Se Rose stasera era un manga, loro dei cartoon.
Angelina Mango
La noia
VOTO
10
Non la si trova in altre canzoni del festival questa energia e questa alternanza di brevi momenti (esageriamo) esistenzialisti e di puro divertimento, dentro un pezzo che continua a muoversi (molto bene). Il resto lo fa Angelina al microfono, muovendosi tra vari registri espressivi con una naturalezza che levati, e sul palco con una vitalità invidiabile e tamarra il giusto. E siccome quelle di Sanremo non sono canzoni da ascoltare in cuffia, ma sono anche energia e spettacolo televisivo, Mango ha già vinto (anche se alla fine non dovesse vincere).
Ha un suo stile, lo riconosci subito, ha una sua sensibilità, scrive bene, il pezzo è ben arrangiato e costruito (non si può dire la stessa cosa di altre canzoni) ed è mosso da un bello special strumentale. Bravo, ma dal 2020, quando vinse con Fai rumore, Sanremo ha subito una accelerazione di energia e ritmo.
Di lui s’è parlato per le prese di posizione, ma c’è anche una canzone scritta con Michelangelo e Tropico e nel suo essere rétro non è affatto male: stai a vedere che Ghali ha trovato una sua dimensione, o forse semplicemente a Sanremo funzionano i rapper che non rappano. Di sicuro quest’anno la protesta passa dalla pista da ballo, come la chiamavano negli anni a cui si rifà musicalmente Casa mia, che ha dentro un po’ di Daft Punk (nel look di Ghali c’è invece tanto Michael Jackson).
Negramaro
Ricominciamo tutto
VOTO
7,5
Attenzione ai Negramaro che nell’anno della casa in quattro propongono la storia di un amore maturo (e quindi fuori luogo in mezzo a tanti ventenni e trentenni), costruita in modo classicissimo e che nella seconda parte finisce dalle parti del pop “cosmico” di quelli inglesi là.
Fiorella Mannoia
Mariposa
VOTO
5
Fiorella Mannoia fa la sua cosa e la fa bene, ma Mariposa è il tipo di canzone latin pop che ci siamo messi alle spalle tanti anni fa, però camuffata da inno femminista. La sua particolarità: in un festival di storie per lo più personali portate ad esempio per gli altri, ha un testo-manifesto che vuole parlare a nome di tutti, anzi, di tutte.
Sangiovanni
Finiscimi
VOTO
5
Sarà che è il penultimo a ricantare il suo pezzo, ma anche stasera Finiscimi suona esile e per di più interpretata in modo un po’ spento. In un Sanremo di canzoni che fanno di tutto per essere appariscenti, questa rimane in ombra e il romanticismo di Sangiovanni sembra buttato lì, come se lui stesso non ne fosse convinto.
La Sad
Autodistruttivo
VOTO
7
«Andiamo volentieri a fare i punk in Riviera», dicevano a Rolling un anno fa. Alla fine ci sono andati, ma per fare casino, giocare con Amadeus (vedi le giacche di ieri) e con Orietta Berti (da Fiorello). Dimenticate i Clash o Jello Biafra e le canzoni antisistema: Autodistruttivo è punk-pop per la generazione cresciuta con la trap, col boost melodico tattico nucleare. Ribadiamo: sono entrati all’Ariston da punk cattivi, ne usciranno da punk buoni.