voto
7.5
- Band:
RYUJIN - Durata: 00:55:25
- Disponibile dal: 12/01/2024
- Etichetta:
- Napalm Records
Streaming non ancora disponibile
Se quasi trent’anni fa un disco come “Roots” dei Sepultura faceva notizia (anche) per le contaminazioni tribali, nel mondo sempre più globalizzato del terzo millennio ogni giorno spuntano formazioni da ogni più remota parte del mondo – dalla Mongolia all’Indonesia, passando per l’India e la Nuova Zelanda – aggiungendo un tocco di folklore, utile soprattutto per distinguersi nei video su YouTube e negli affollati bill festivalieri.
In questo scenario lo sbarco dei giapponesi Ryujin, autoproclamatisi paladini del ‘Samurai metal’, alla corte della sempre più attiva Napalm Records non fa certo notizia, ma più interessante è sapere che la band nipponica (precedentemente nota come Gyze e legata per i primi due dischi alla nostrana Coroner Records) è già al quinto lavoro e che stavolta può contare sul supporto di Matt Heafy dei Trivium – uno che la cultura nipponica ha mostrato di conoscerla (si veda in proposito il progetto Ibaraki) e che qui presta la voce in quattro tracce oltre a vestire i panni del produttore.
Al netto degli aspetti più folkloristici, gradevoli ma non fondamentali nell’economia del disco, quello che colpisce nell’omonimo album dei Ryujin è la capacità di giocarsela ad armi pari con i grandi nomi della scena scandinava, aggiungendo un tocco di tamarraggine tipica di certi act del Sol Levante (dai Blood Stain Child ai Maximum The Hormone, gli esempi si sprecano): se “Gekokujo” o “Gekirin” sembrano outtake dei Children Of Bodom (che non a caso registrarono in Giappone il celeberrimo live “Tokyo Warhearts”), allo stesso modo “Dragon, Fly Free” (una parodia degli Helloween?) mescola alla perfezione il tipico tupa-tupa del melo-death con lo shredding sfrenato del compianto Alexi Laiho ed un’epica power da Lidl vichingo ma sufficiente ad evitare l’effetto emulazione dei maestri finnici.
L’altro termine di paragone piuttosto evidente è il folk/epic metal nordico, ovviamente adattato al contesto giapponese, ma anche qui la co-partecipazione di Heafy riesce ad evitare la versione ‘Mai Dire Banzai’ dei Dragonforce: canzoni come “Raijin & Fujin” (intitolata agli dei del tuono e del vento) o “Scream Of The Dragon” sono un perfetto esempio di bilanciamento tra tecnica, folklore, tamarraggine e tiro dei pezzi, come un ipotetico “Shogun” dei Trivium suonato da Ensiferum o Moonsorrow.
Certamente a volte questo fragile equilibrio viene meno (“The Rainbow Song” e “Saigo No Hoshi” sono zuccherine come un sakè dolce, mentre “Kunnecup” sembra un po’ fuori contesto con i suoi virtuosismi di violoncello), ma ci pensano poi gli oltre sette minuti della title-track a rimettere le cose a posto, ergendosi a ideale manifesto del samurai metal grazie alla riuscita commistione tra lo scream del mastermind Ryoji Shinomoto e i flauti da ristorante giapponese; discorso simile per la caciarona “Guren No Yumiya” (ideale colonna sonora per un “Grosso Guaio A Chinatown”), mentre “Saigo No Hoshi” rallenta il ritmo calando il sipario come il silenzio nella neve.
Al netto di qualche passaggio fuori fuoco, questo nuovo inizio nelle vesti del Dio Dragone (Ryujin in giapponese) si apre sotto i migliori auspici: gli amanti degli anime troveranno ulteriori stimoli nell’approfondire la genesi dei testi, ma anche chi fosse completamente digiuno di cultura giapponese avrà di che divertirsi con gli eccessi dei fratelli Shinomoto, fieri portavoce del melo-death nel Sol Levante.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM