Erano anni che i fan pregavano per il ritorno dei Pulp. Nel 1995 Jarvis Cocker cantava “ci vediamo nel 2000” ed è successo. Ma anche dopo i tour di reunion del 2011 e del 2022 nessuno osava sperare in un nuovo disco di un gruppo che ha pubblicato classici anni ’90 come Different Class e This Is Hardcore. E invece è appena uscito More ed è brillante. «Sono 24 anni che non facciamo un disco», dice Cocker. «Questa cosa mi sconcerta».
I Pulp sono una delle grandi band britanniche della loro generazione e Cocker uno degli autori più geniali del rock, nonché icona della moda da mercatino dell’usato. Per anni, là nel polo siderurgico di Sheffield, sono stati una band indie di cui non importava nulla a nessuno. Sono esplosi col Brit pop nei ’90 grazie alla hit tutta sesso e shopping Common People. La loro musica fatta di glam anni ’70 e synth anni ’80 sta idealmente a metà strada tra la biblioteca e il club. Con la sua caratteristica ironia acuta e tagliente, Cocker ha trasformato dettagli della vita quotidiana in classici come Disco 2000 e Do You Remember the First Time?. Ora in More i Pulp esplorano una dimensione a loro ignota: la vita adulta. «Qualcuno m’ha detto che l’album s’addice alla nostra età», dice Cocker. «Non so se prenderlo per un complimento, ma ci sta: sono effettivamente adulto».
Siamo da Katz’s Delicatessen, il ristorante più leggendario del Lower East Side. È un pomeriggio freddo e piovoso e Cocker, a 63 anni, ha l’aria del rocker gentleman per eccellenza. Non vede l’ora di provare per la prima volta il cibo di questa gastronomia newyorchese: blintz al formaggio e zuppa di pollo. Il locale è affollato, la fila gira l’angolo, il personale è notoriamente scontroso, eppure qualcosa nel fascino di Jarvis rende tutti stranamente felici di lasciarlo rilassare e chiacchierare per qualche ora, anche se non sanno chi sia. Nessuno semplicemente si lamenta della sua presenza e lui si emoziona quando si accorge che siamo seduti sotto uno scatto incorniciato di Jerry Lewis e lo fotografa: è l’unica volta che tira fuori il telefono.
Alcuni pezzi nuovi dei Pulp nascono da vecchie bozze, ma per la maggior parte sono nuovi, messi a punto durante i soundcheck e le prove per la reunion del 2022. «La canzone più vecchia è Grown Ups. Si è sempre intitolata così, ma non ero ancora riuscito a mettere giù le parole. È un sollievo esserci riuscito dopo quasi 30 anni». Soffia delicatamente sulla zuppa calda. «Forse è la canzone che ha deciso che era ora di crescere».
Le reunion sono spesso tristi: c’è chi ha bisogno di soldi o chi porta rancore. Non questa. I Pulp sono un gruppo di vecchi amici, con un nucleo costituito da Nick Banks alla batteria, Mark Webber alla chitarra e Candida Doyle alle tastiere, anche se ora sono diventati una band di dieci elementi, con una grande sezione d’archi. La ballata sull’amore a metà della vita, Farmer’s Market, riassume il mood del nuovo album. “Pensavamo di provare a giocare coi sogni”, canta Cocker, “ma non sapevamo che saremmo stati costretti a tenerceli addosso per tutta la vita”.
I Pulp hanno esaurito la spinta all’inizio degli anni 2000 e ognuno è andato avanti con la sua vita. Cocker è rimasto una delle figure più apprezzate del pop mondiale. Con la sua band Jarv Is ha pubblicato l’ottimo album del 2020 Beyond the Pale, che conteneva l’inno alla quarantena House Music All Night Long. Ha collaborato con chiunque, da Nancy Sinatra a Chilly Gonzales, ed è persino apparso nel ruolo di musicista al ballo di Harry Potter e il calice di fuoco. Nel Regno Unito è diventato un dj radiofonico affermato grazie a Domestic Disco e ha pubblicato il libro-manifesto Good Pop/Bad Pop. Si è anche dedicato a progetti underground bizzari come il duo elettronico art perv Relaxed Muscle con l’amico Jason Buckle, che ora suona nei Pulp.
L’evento che ha fatto da catalizzatore per la nascita di More è stato la morte di un vecchio amico, il bassista Steve Mackey, che non era solo uno dei Pulp, ma è stato anche il braccio destro di Cocker per gran parte della sua carriera solista. «È una specie di stereotipo, ma la morte di Steve ha rappresentato un bagno di realtà. Ci ha fatto capire che potevamo essere ancora creativi finché ce n’era il tempo. Finché sei vivo hai la possibilità di fare qualcosa, quindi questo è il momento giusto». E così ha riunito i vecchi compagni. «Ho detto: “Vediamoci all’inizio dell’anno prossimo e facciamo qualche prova. Ognuno porta delle idee e capiamo dove possiamo arrivare”. E così che è iniziato tutto, nessuna pressione, non avevamo un contratto con un’etichetta o altro. Era solo per vedere se potevamo farcela».
Una delle cose più belle del tour di reunion del 2022 è che il pubblico è impazzito per i pezzi nuovi. «Abbiamo ritirato fuori questi pezzi, certi erano molto vecchi», ha detto Cocker al concerto di New York, prima di pronunciare le parole meno amate dal pubblico: «Che ne dite di una nuova canzone?». È il momento in cui la gente di solito ne approfitta per andare al bar o in bagno. E invece il pubblico ha esultato (urlato, in realtà) soprattutto per l’inno synth glam Spike Island, in stile Bowie, in cui l’artista ripensa ai sogni di rockstar infranti della giovinezza (“Sono nato per esibirmi, è una vocazione”) e a come sono svaniti. “L’universo ha fatto spallucce ed è andato avanti”.
«Immagino che conti il fatto che a giugno mi sono sposato. Siamo stati insieme per tanto tempo, ma nel 2018 ci siamo separati per un anno, e poi siamo tornati insieme. Sono stato molto fortunato a riuscire a ravvivare il rapporto. Il trucco della vita è affrontare i cambiamenti: non che io pretenda di sapere molto della vita, ma per esperienza personale penso che consista in questo. Ho sempre avuto la tendenza a non amare i cambiamenti. Ma bisogna cercare di surfare sulle onde della vita per non farsi travolgere».
I Pulp hanno fatto l’album in tre settimane appena, un grande cambiamento rispetto ai vecchi tempi. «È stato molto veloce, anche se certe canzoni le avevamo da un pezzo. Credo che gli altri della band siano rimasti scioccati dalla rapidità, forse anche più di me, perché hanno sempre dovuto aspettare che scrivessi le parole e poi le rifinissi. Lo interpreto come un segnale che, sì, doveva succedere».
Cocker ha collaborato con chiunque nel corso degli anni, ma More ha il tipico sound dei Pulp, che evoca lo stile shabby glam di His ‘N’ Hers o Different Class. «Credo che la cosa principale che fa suonare i Pulp come i Pulp sia che Nick, il batterista, picchia fortissimo e quindi gli altri devono farsi sentire. Ecco perché c’è sempre tanta energia. E poi Candida ha problemi di mobilità (soffre di artrite fin dall’adolescenza, nda) per cui deve aggiustare le sue parti in base a ciò che è in grado di fare. Ognuno di noi ha delle particolarità da gestire per riuscire a suonare con gli altri e questo crea un sound particolare. Mi piace che sia così. A volte ci si sente frustrati, tutti i batteristi vengono rimproverati perché accelerano, ma Common People accelera in modo ridicolo, tipo di 20 bpm. È questo che le dà energia».
Il produttore James Ford (Arctic Monkeys, Fontaines DC) non ha cercato di annullare le idiosincrasie. «Quando abbiamo iniziato, quello era comunque l’unico modo che conoscevamo per lavorare. Non esistevano Pro Tools o roba del genere, quindi non potevi aggiustare le cose per farle venire perfettamente a tempo. E poi che senso ha fare musica suonata dagli umani se non si sente un po’ di personalità?».

Foto: Tom Jackson
Dopo i Pulp, Cocker è rimasto sotto i riflettori, i suoi compagni invece sono tornati a Sheffield e hanno continuato con le loro vite ordinarie. Nel bel film del 2014 Pulp: A Film about Life, Death, and Supermarkets c’è una scena in cui Nick Banks si vanta di sponsorizzare la squadra di calcio della figlia adolescente, mentre lei alza gli occhi nominando «la band di merda di mio padre».
«Nick è in un gruppo di Sheffield chiamato Everly Pregnant Brothers, suonano in città», dice Cocker orgoglioso. «Fanno cover in stile folk di pezzi famosi, ma con le parole cambiate in modo da parlare del South Yorkshire. Per esempio, a Sheffield c’è una salsa che si chiama Henderson’s Relish. Hanno preso Yellow dei Coldplay e l’hanno fatta diventare It Was All Hendo’s». Alla faccia della grandeur e del rock’n’roll. «Candida è una consulente, parla con persone che hanno vissuto situazioni di stress. E Mark è sempre stato interessato al cinema sperimentale, ha pubblicato alcuni libri sul tema. Ma né l’uno né l’altra per anni hanno fatto musica». E cosa li ha spinti a rimettersi a suonare? «Li ho chiamati io. Ci siamo incontrati a casa mia, appena fuori Sheffield, e ne abbiamo parlato. Poi abbiamo fatto una prova, che per fortuna non è stata registrata, con gli strumenti nel mio salotto. Abbiamo suonato quattro canzoni o giù di lì e ci siamo detti: “Massì, tentiamo”. Non so, forse l’abbiamo fatto per curiosità».
L’ultimo tour dei Pulp, nel 2011, era incentrato sulle hit. Ne hanno fatto un punto di orgoglio del rifiuto di promuovere un nuovo album, puntando solamente a rifare bene il loro repertorio. Ma c’erano anche questioni emotive da risolvere. «È stato il mio tentativo di fare ordine», ammette Cocker. «Pensavo che i Pulp si fossero lasciati in un modo non troppo positivo. Inoltre Russell (il chitarrista Russell Senior, nda) aveva mollato la band e mi sentivo in colpa per questo». Senior è stato una delle menti creative del gruppo fino al 1997, quando ha lasciato all’apice della fama e ora è un antiquario. «L’abbiamo invitato a tornare», dice Cocker, parlando del tour del 2011. «Ha suonato con noi per un po’, poi doveva venire in America, ma odia volare. Ha provato a imbarcarsi su una nave, ma non c’è stato modo. Ha semplicemente rinunciato».
Chiunque abbia avuto la fortuna di vederli in quel tour può confermare che è stato un trionfo dal punto di vista musicale, commerciale ed emotivo. «Pensavo che quello sarebbe stato il punto di arrivo. Un modo per chiudere bene una storia e renderla un ricordo piacevole, e non sgradevole. E così è stato». In quanto ai quattro musicisti principali, «non ci frequentiamo come amici, cioè, capita di vederci, ma prima di ricominciare a suonare lo facevamo una o due volte all’anno. Quindi è stato un piacere capire che potevamo ancora suonare e fare qualcosa insieme. Credo che tutti siano stati molto contenti di questa cosa».
Di certo, il calore del loro cameratismo sul palco è percepibile anche dal pubblico. «Sono contento che si senta. Magari siamo solo degli ingenui. Ho visto i Fleetwood Mac quando ancora c’era Lindsey Buckingham e ho capito perché irritava gli altri, parlava troppo al pubblico. Siamo fortunati che nessuno di noi abbia fatto arrabbiare gli altri. Mannaggia, ci parliamo ancora».
I Pulp sono sempre stati molto legati alla loro città, che ha ispirato tributi come il cult electro-sleaze del 1992 Sheffield: Sex City. Uno dei pezzi forti di More è My Sex e racconta come Cocker e sua sorella siano cresciuti lì, cresciuti dalla madre operaia, in un ambiente femminile. «Sono cresciuto in un quartiere in cui tutti gli uomini se n’erano andati. Tutti i padri erano andati via. Mio padre, il marito di mia zia, il marito della migliore amica di mia madre: via tutti. Sembrava che fossero scomparsi tutti nello stesso periodo, forse un paio di mesi. Il fratello di mia madre era morto, quindi l’unico maschio della mia vita a quel punto era mio nonno. In buona sostanza, non riuscivo a immaginare che lui facesse sesso, ma ero in età puberale e volevo sapere delle cose. Le scoprii ascoltando di nascosto quello che mia madre diceva alle amiche. Stavano tutte cercando di uscire con degli uomini, quindi parlavano di quello che succedeva. Così ho imparato a conoscere le cose, grazie a loro, in una prospettiva molto femminile».
Questo ha contribuito in parte alla sua confusione sessuale in età adolescenziale. «Era già abbastanza difficile per me iniziare a frequentare qualcuno, perché ero piuttosto timido, ma quei messaggi contrastanti non hanno reso le cose più facili».
Eppure questa è sempre stata una parte essenziale di ciò che ha reso Cocker un’icona e un improbabile sex symbol: a differenza di molte altre star del Brit pop degli anni ’90, è sempre stato affascinato dai personaggi femminili, per esempio in classici come Inside Susan o Underwear. «Ho sempre fatto amicizia più facilmente con le donne che con gli uomini perché ho avuto più esperienze di frequentazione con le donne e va bene così. Ho scritto in modo presuntuoso canzoni dal punto di vista di una donna, dico in modo presentuoso perché non so esattamente come ci si senta a esserlo. Molti di quei pezzi in realtà sono commenti che faccio sulle mie azioni da una prospettiva femminile».
Una delle nuove fonti d’ispirazione che emerge in More è un poeta rock a cui Cocker non aveva mai prestato molta attenzione fino a poco tempo fa. «Ho iniziato ad ascoltare Bob Dylan per la prima volta. Ho iniziato in treno. Era una questione di praticità, perché la linea Victoria è rumorosa e la si può sopportare solo con qualcosa nelle orecchie. Così ho pensato che, invece di tapparmele con le dita, avrei potuto ascoltare Blood on the Tracks. Mi sono appassionato a Tangled Up in Blue e poi a quella dopo, Simple Twist of Fate. Ti racconta una storia in modo magico».
Visto quanto è eccentrico Cocker, si potrebbe pensare che abbia programmato la sua fase adolescenziale da fanatico di Dylan per i suoi 60 anni. «Ho iniziato ad ascoltarlo perché l’ho visto a Londra, durante il tour di Rough and Rowdy Ways. Il palco era immerso nel buio, ma mi piaceva: sembrava di assistere a una seduta spiritica, come se stesse cercando di mettersi in contatto con qualche entità. Era al piano. Ha fatto quella canzone, Key West, ed è stata la più bella: sembrava quasi sul punto di scomparire. Mi sono informato su Key West: è una specie di isola, no? Ma ancora non so di cosa parli quel pezzo. E quando ho sentito Murder Most Foul per la prima volta, non riuscivo a crederci».
Per essere un estimatore così convinto del pop più trash, Cocker sa stranamente poco di ciò che passa in radio adesso, le star giovani che raccontano storie con un occhio attento ai dettagli trash proprio come Jarvis, da Chappell Roan a Billie Eilish a Olivia Rodrigo. Ma se gli si chiede di qualcuno di loro, sorride educatamente e dice «dovrò documentarmi» (tanto per citare l’esempio più lampante: Pink Pony Club è un banger alla Pulp). «Non so nulla del pop moderno», ammette. «Una volta ascoltavo il programma sulle classifiche del Regno Unito, era sempre in onda la domenica, ma penso di non averlo mai fatto in questo millennio. Per cui l’immagine che ho del pop è molto datata. Taylor Swift l’ho sentita perché piace molto alla figlia di Mark, che qualche volta l’ha portata a vederla. Ma non conosco bene le canzoni». È rimasto sorpreso venendo a sapere che i giovani stanno scoprendo i Pulp su TikTok. «Sul serio? Non sono mai stato su TikTok. Avevo provato Twitter e non lo sopportavo, l’ho mollato nel giro di mezz’ora. Ma Instagram mi piaceva, è come mandare una cartolina».
More esce nel momento giusto e Cocker è sconcertato dall’appeal intergenerazionale della band. «Ho messo molto di me nelle canzoni e a volte la mia vita reale ne ha sofferto, perché nei brani cantavo cose che non dicevo alle persone con cui avevo una storia. Sono finito nei guai. Non è bello, ma non c’è modo di controllare questa cosa. A volte ti metti lì e cerchi di scrivere, ma non succede nulla. È frustrante. È come una magia, no? Entri in connessione con qualcosa che non capisci bene e più cerchi di capirla o di controllarla e più ti sfugge. E quando t’avvicini, sparisce».
Una canzone che ha cercato di afferrare per anni è Grown Ups, che è diventata il fulcro di More. Per molti versi, brano e autore sono cresciuti insieme. “Tremavo sulle stampelle”, canta, “più morto che vivo, era il Natale del 1985”. È un racconto autobiografico dei tempi della sua giovinezza turbolenta, quando aveva 22 anni. «Parla di quando sono uscito dall’ospedale. Ero caduto da una finestra e mi hanno dimesso il giorno prima di Natale. Ha rappresentato un passo avanti nella mia crescita. Avevo lasciato la scuola e stavo cercando di impegnarmi con la band, ma le cose non funzionavano. Poi sono caduto da quella finestra e ho avuto molto tempo per stare lì a pensare. Ho deciso che dovevo andarmene da Sheffield e provare a fare qualcosa d’altro».
Durante quell’inverno ha anche iniziato quella che si è rivelata una lunga storia d’amore. «La notte che descrivo nella canzone, quando sono andato a casa sua per la prima volta, ha rappresentato un momento importante. È stato strano: la mattina dopo hanno dato la notizia dell’esplosione dello Space Shuttle. A quel punto della mia vita, prendevo ogni evento come un presagio. Ero un ragazzetto che pensava: “Da grande andrò nello spazio!”. Ma l’esplosione di quella navicella spaziale mi ha fatto dire: “Ora basta. Adesso hai una relazione e non puoi più andare nello spazio”. Un modo di pensare molto immaturo, comunque».
Quel ventiduenne immaturo ha lavorato alla canzone per anni, trasformando Grown Ups in una grande dichiarazione di intenti. «L’ultima parte che ho terminato è stata la sezione parlata che racconta del sogno di andare su un altro pianeta, voltarsi per vedere da dove si viene, ma senza potere più tornare indietro. È un sogno che ho fatto dieci anni fa. Mi sembrava che si adattasse all’atmosfera. È la canzone più vecchia, ma anche la più lunga del disco, con più parole di tutte».
Considerando la loro carriera piena di fortunati incidenti e disastri bizzarri, More racconta come hanno vissuto tutti questi anni Cocker e i compagni dei Pulp. «Mi è parso un lavoro piuttosto facile», dice, con un sorriso leggermente colpevole. «Detta così, potrebbe sembrare che io sia pigro o altro, ma è una cosa che ho imparato: è ok quando le cose funzionano. Devi essere pronto ad accettare il messaggio quando arriva. Se ci pensi troppo, lo perdi. Ma se lo accogli, allora resta, e poi lo puoi anche modificare un po’ mentre lo fai tuo. Ma comunque non l’hai creato tu. Alcune canzoni sono vecchie, altre sono nuove, ma ogni cosa era pronta lì per accadere. Poteva succedere solo in questo momento, dopo aver affrontato tutte le altre cose che non sono state così piacevoli».
La sua natura lo porta a diffidare della fortuna, ma finalmente sta imparando ad accettarla. «La musica dovrebbe essere semplice. Voglio dire: la vita dovrebbe essere semplice, ma non lo è sempre. Quindi è fantastico, quando lo è».
Da Rolling Stone US.