(Fuzz-)pop brillante con accenti punk e garage da Amsterdam. La gustosa ricetta proposta dai POM lasciava presagire fin da subito una serata leggera e scatenata al Covo Club di Bologna. Reduce dal debutto con “We Were Girls Together” pubblicato lo scorso novembre, dove a farla da padroni sono i temi della ricerca d’identità e della salute mentale, il quintetto guidato da Liza van As si era già distinto all’Eurosonic Festival 2022 come secondo miglior live act dell’edizione, passando velocemente dal circuito underground alle prime esibizioni nei club europei.
Ad aprire le danze sono i brani animati dalle visioni e dai ricordi dei Vision Division, progetto alt-rock fondato nel 2018 a Palermo dal cantante e chitarrista Giorgio Drago, e attualmente formazione di quattro elementi di base a Bologna, con un Ep di prossima uscita dal titolo “Blossom”. Si ingrana bene con il contrasto tra guitar-riff e melodia in direzione slacker anni Novanta di “Trail”, e con l’armoniosa “Chasing The Light”, alle quali fanno seguito “Giuca Libre”, unica traccia cantata in italiano dove emergono rimandi al rock alternativo dei primi anni Duemila di Verdena & co., e il passo deciso di “About It”. Presa in prestito al volo una chitarra degli headliner, causa rottura di una corda, il gruppo continua con “Therapy”, alzando il livello con “Will I Rise”, dove il frontman fa bella mostra dei registri vocali alti, e i ritmi e la bassline di “Magnetism”, per poi concludere con qualche intoppo sulla nuova “Bloom Blossom Bloom”, giocata su cori e tappeti sonori di memoria shoegaze, leggermente fuori tempo.
Alle 23:30 il quintetto si schiera sul palco e attacca con i versi aspri e le melodie giocose di “Sorry”, nella quale è possibile captare immediatamente Olivia Rodrigo tra le principali influenze, proseguendo con le chitarre in primo piano della veloce e orecchiabile “Exoskeleton”, che rimanda parzialmente ad alcune produzioni dei Black Honey di Izzy Baxter Phillips.
She built a shield to be unbreakable
Forgetting that things can explode
Pressure building from the inside
An explosive hidden parasite
Spiccano le linee di basso di “Bittersweet”, che nelle strofe richiama l’operato delle Wet Leg, e sui cui ritmi è impossibile stare fermi, mentre “Bella Fever” devia leggermente in direzione delle Last Dinner Party, mantenendo un piglio risoluto in vista della successiva e sfacciata “Just (Good) Enough”. Uno dei momenti migliori è rappresentato dalla dinamica e distruttiva “Red Dress”, che pone in equilibrio quota pop e sferzate punk prendendo a modello la “Stutter” degli Elastica, e dai riff grossolani di “RUN”, che traggono invece ispirazione dai primi Paramore. Si placano leggermente gli animi su “Cool Girl”, per poi rialzare i toni subito dopo con i cori coinvolgenti (a tratti forse anche un po’ cringe, ma in fin dei conti fanno parte del gioco) e la sezione ritmica preminente di “Together We Go”, e la cinica “Kim”. Il rush finale dell’esibizione vede susseguirsi una serie di cavalli di battaglia del gruppo, ovvero “Piglet”, la valida accoppiata indie-rock screziata di garage composta dalla radio-friendly “Earth Sick” e dalla più nota “Down The Rabbit Hole”, lasciando la chiusura e gli ultimi balli sfrenati a “Eat Me, I’m Sad” e all’ottima “Deadly Sins”.
La bella energia sprigionata dai POM si traduce in una performance grintosa e divertente, senza il minimo errore o momento di vuoto nell’arco di un’ora di orologio, tuttavia sarà (purtroppo) difficile che riescano ad emergere concretamente dalla nicchia pop che vede in questo momento in pole position, tra i tanti progetti, le già citate Last Dinner Party e Olivia Rodrigo; destinati probabilmente a rimanere poco distanti dal confine con il versante underground, a meno di altri miracoli “virali”, come quello avvenuto almeno in parte con il primo singolo “Down The Rabbit Hole”.
Antonio Santini for SANREMO.FM