Si svolge a Modena, dal 6 al 9 dicembre 2023, la nuova edizione di Node, festival dedicato all’incontro delle arti visive con la musica, il cinema e le nuove tecnologie. L’undicesima edizione dell’evento porta con sé alcuni dei più interessanti nomi di ricerca sul sonoro e l’audiovisivo tra lavori site specific e performance pensate in sinergia con le loction che le ospitano.
Quest’anno sul palco troveremo l’artista svedese Ellen Arkbro, che creerà una composizione partendo dalle caratteristiche dell’organo della chiesa di Gesù Redentore, ma anche l’interazione audio visiva generata dal duo Gábor Lázár e Alex Guevara, così come il piano preparato di Kelly Moran e il sax circolare di Bendik Giske. Grande attesa anche per coppia formata da Caterina Barbieri e l’acclamato duo mancuniano Space Afrika, con MFO e Ruben Spini ad occuparsi degli interventi scenografici.
Una curatela studiata e attenta che abbiamo approfondito in un articolo dedicato e che ci ha inoltre dato la perfetta scusa per scambiare due chiacchiere con Filippo Aldovini, fondatore e direttore artistico di NODE, e Riccardo La Foresta, curatore del programma musicale.
1) Node ha ormai accumulato una certa esperienza. Se dovessi tracciare un filo rosso tra i protagonisti più importanti delle passate edizioni, e quelli che hai amato di più, da dove partiresti?
Filippo Aldovini: Nel corso dei quindici anni di vita del festival ci sono diversi artisti su cui il festival è tornato e con cui ha costruito relazioni di forte scambio sia umano che artistico. Primo fra tutto è sicuramente Ryoichi Kurokawa che con NODE ha intrecciato in maniera simbiotica la propria carriera lasciando una traccia indelebile sull’identità del festival e, mi piace pensare, sulle migliaia di persone che ha toccato con le sue performance ed installazioni multimediali. La sua pratica artistica continua a rappresentare una delle forma che più si avvicina al concetto di sinestesia, da sempre il fine ultimo della ricerca curatoriale che portiamo avanti.
Un altro artista che è sempre garanzia di assoluta qualità, oltre che una persona di rara sensibilità, è Robert Henke. Con lui quest’anno collaboreremo ad un progetto speciale per l’evento di Capodanno della nostra città che sarà presentata in anteprima mondiale. Sarà il coronamento del rapporto pluriennale tra Robert e Modena, città dove l’artista ha presentato alcune delle sue creazioni più importanti (Lumiere II nel 2016 e CBM 8032 nel 2021), riuscendo sempre nel difficile compito di creare un’autentica connessione con il pubblico, grazie alla natura profondamente inclusiva della sua arte.
Poi sicuramente Asuna, Mount Kimbie, Ryoji Ikeda, Roly Porter, Hiroaki Umeda, Paul Jebanasam, Tape, Eli Keszler, Emptyset… ognuno di loro ha segnato un prima ed un dopo nel mio personale percorso.
2) Qual è il tipo di ricerca sull’audiovisivo che ti intriga di più attualmente? E in che live show la vedremo applicata? Che futuro avrà l’AI?
Filippo Aldovini: Sull’audiovisivo continuano ad interessarci le ricerche che mettono al centro la creazione di esperienze multisensoriali che trattano il suono e le immagini in maniera paritaria esplorandone le qualità percettive.
In questo senso mi aspetto molto dalla performance di Alex Guevara, artista abituato a lavorare all’interno di ambienti controllati con installazioni audiovisive, a NODE si confronta con la dimensione del live e con il rapporto con il pubblico, alla sua prima apparizione in Italia.
Un’altra pratica che ci affascina e che osserviamo con curiosità e prudenza è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei processi creativi, sicuri del fatto che l’incontro tra queste tecnologie e l’intuizione umana abbia ancora molto potenziale inesplorato.
Questo tipo di tecnologia è ampiamente utilizzata nel set del collettivo italiano SPIME.IM, in particolare in riferimento al contributo del visual artist Akasha, con cui avremo anche modo di dialogare in un talk aperto al pubblico sabato 9 dicembre alle 11:30 presso il Ridotto del Teatro Comunale moderato da Valentino Catricalà, docente e curatore d’arte contemporanea specializzato nell’analisi del rapporto degli artisti con le nuove tecnologie e i nuovi media.
3) Le location hanno un’importanza non secondaria rispetto alle performance che le abitano, ci racconti i live site specific di questa edizione?
Riccardo La Foresta: il dialogo con gli artisti parte sempre dalla location che ospiterà il loro lavoro, in particolare nei teatri e nelle chiese, che sono le location più delicate e speciali dove ospitare e ripensare allestimenti. Luoghi fortemente connotati, che necessitano di cura ed attenzione per il dettaglio nel modellare quella forma, sia visiva che sonora, che contraddistingue NODE. Ad esempio, Ellen Arkbro creerà una composizione partendo dalle caratteristiche dell’organo della chiesa di Gesù Redentore, lavorando già nei giorni precedenti al live all’interno dello spazio ed indagando il confine tra ritualità ed architettura strumentale e sonora. Oppure Cevdet Erek, che sfrutterà angoli inusuali del Teatro Comunale nella sua performance con il Davul, scardinando le dicotomie tra acustico ed amplificato, tra platea e palco.
4) Hai già avuto modo di vedere il live di Space Afrika e Caterina Barbieri al Berlin Atonal?
Riccardo La Foresta: non abbiamo avuto l’occasione di vedere l’anteprima ad Atonal, quindi abbiamo approfittato di questa nostra “assenza” per creare con gli artisti un allestimento site-specific, modellato sul Teatro Comunale Pavarotti, una venue diametralmente opposta al Kraftwerk di Berlino. I live di Caterina Barbieri hanno sempre una forte componente scenografica e teatrale, che in questo contesto sarà ancora più amplificata dall’allestimento curato da MFO e Ruben Spini. Questa nuova collaborazione con Space Afrika sarà l’occasione per consolidare un percorso iniziato con Caterina nel 2018, quando è stata ospite a NODE per la prima volta.
5) Node 2023 presenta sia artisti che amano la fisicità del suono come Ellen Arkbro e Bendik Giske ma anche astrattisti che sanno “affondare il colpo” come Gábor Lázár. In generale, in che direzione sta andando la ricerca sonora? Sempre se ha ancora senso ragionare in questi termini, è sempre intrigante domandarsi queste cose. Tipo: dopo l’HD e Max MSP cosa si sta o cosa si profilerà all’orizzonte? Gli strumenti del passato anche antico sono già stati ripresi, dall’organo a canne ai modulari di Barbieri, cosa ci sarà poi?
Riccardo La Foresta: mi piacerebbe aver la sfera di cristallo (!) ma posso solo interpretare quello che vedo come artista e curatore, cercare tra le varie sfumature quei confini intangibili nei movimenti di ricerca più ampi, dove tutto sembra influenzato da tutto, e che non ha senso cercare di catalogare. Mi piace pensare che sia così, che la ricerca sonora sia per natura tanto astratta e viscerale, quanto frutto di riflessioni sull’impossibile.
NODE si alimenta della vastità degli approcci creativi contemporanei, ed è maturato senza restare incatenato a tecnologie o verità assolute; è un percorso di riflessione costante su quella che è la personalità del festival, su chi è e chi siamo, quello che ci porta ogni anno a selezionare gli artisti con cui vogliamo collaborare.
La componente audio-visiva, la musica elettronica ed il rapporto con le arti visive non sono solo le fondamenta del festival, ma anche l’occasione per immergerci in percorsi di ricerca strumentali, architetturali e performativi in un’ottica di inclusione e di ricerca curatoriale.
6) Come vedi l’esperienza Node in prospettiva? Il percorso che avete fatto finora come si snoderà in futuro?
Filippo Aldovini: NODE in questi 15 anni è riuscito a crescere, trasformarsi, percorrere strade che ci hanno sorpreso. Con questa mente curiosa vorrei pensare il futuro del festival, che sa anche cambiare e acquisire nuove forme. Al momento siamo immersi nel qui ed ora di questa edizione e consapevolmente cerchiamo di goderci questo percorso.
Antonio Santini for SANREMO.FM