Un ritorno ambizioso e sostanzioso, per il primo disco di composizioni originali da un decennio a questa parte. Natalie Merchant, musa del folk-pop più raffinato a stelle e strisce, ha da poco pubblicato “Keep Your Courage”, un album che trasuda coraggio e amore da tutti i pori. Un’opera nella quale si ritrovano il valore simbolico della mitologia – Narciso, Valentino e Afrodite – e il già noto amore per la letteratura e la poesia (Walt Whitman e William Blake), oltre a una spiccata sensibilità sociale. Si è trattato però di un parto doloroso per l’ex-voce dei 10,000 Maniacs: alcuni seri problemi fisici, infatti, l’hanno costretta a un intervento chirurgico che ha rischiato di comprometterne le corde vocali. Alla fine, però, anche questa volta la voce di “Can’t Ignore The Train” è riuscita a raggiungere lo scopo, coniando un sound denso e raffinato che strizza l’occhio anche alle più ambiziose evoluzioni della musica folk. In previsione delle due date italiana del suo tour (17 novembre al Teatro Dal Verme di Milano e il 18 novembre al Palazzetto San Bernardino di Chiari, in provincia di Brescia), l’abbiamo raggiunta per una chiacchierata a tutto tondo, che spazia dal nuovo disco ai ricordi dell’era dei 10,000 Maniacs, dal suo stile compositivo alla politica e alla passione per la poetessa e scrittrice per l’infanzia del primo Novecento Lina Schwartz, alla quale sarà dedicato il suo prossimo album (in italiano!).
Il tuo nuovo album, “Keep Your Courage”, appare come un vero inno al coraggio femminile, a cominciare dalla statua di Giovanna d’Arco in copertina. Che coraggio devono avere oggi le donne, in particolare, e davanti a quali comportamenti?
Sì, ho scelto la fotografia di una scultura di Giovanna d’Arco come copertina del mio album, “Keep Your Courage”. Per me è un potente simbolo di coraggio ed è facilmente riconoscibile come tale. Non solo il coraggio femminile, ma il coraggio in generale. Le donne hanno bisogno di forza per combattere le stesse battaglie che hanno sempre dovuto combattere… per la loro sicurezza e indipendenza, principalmente contro gli uomini che vogliono privarle di entrambe.
L’album è arrivato dopo un periodo difficile, tra la pandemia e il problema alla colonna vertebrale che ti ha costretto a un intervento chirurgico. Un momento molto doloroso. Come si è riflesso questo dolore nelle tue nuove canzoni? In una recente intervista hai detto: “Non poter suonare il piano e cantare, mi ha fatto venire voglia di suonare il piano e cantare”.
I mesi di lockdown per la pandemia sono stati difficili perché ho subito un intervento chirurgico importante alla colonna vertebrale ed ero in convalescenza senza il supporto di cure mediche e ho temporaneamente perso la capacità di cantare con la mia vera voce. Ma una volta che la mia voce è stata ripristinata, penso che la pandemia e la crisi sanitaria, rimuovendo quasi tutte le distrazioni, mi abbiano consentito di rallentare un po’ il ritmo e di riuscire ad avere un atteggiamento più contemplativo,. Ho potuto scavare nel profondo del mio cuore e della mia mente per diversi mesi e riscoprire tutte le parti del songwriting che amo.
Nel tuo ultimo album è anche evidente una maggiore attenzione alle radici musicali delle altre culture, è forse il più ecumenico della tua lunga carriera. È sintomo di ricerca o pura casualità creativa?
Hmmmmmm… ho sempre avuto in realtà una grande curiosità per le altre tradizioni musicali e nel corso degli anni le ho incorporate nella mia musica. Penso che “Leave Your Sleep” sia stato molto più sperimentale, a questo proposito. Per quell’album ho collaborato con 135 musicisti diversi in almeno 20 stili musicali diversi (klezmer, cajun, reggae, cinese, musica sinfonica ed europea antica, musica d’altri tempi, celtica ecc.). Con “Keep Your Courage” ho attinto a molte delle lezioni musicali che ho imparato da “Leave Your Sleep” e le ho messe di nuovo in pratica. Ho lavorato con sette diversi arrangiatori-compositori su questo album e 35 musicisti. Questa varietà di collaboratori ha donato anche una maggior varietà al lavoro.
Mitologia, letteratura e poesia sono sempre stati riferimenti nel tuo songwriting. Cosa ti affascina particolarmente della mitologia? E in generale, come riesci a esprimere questi temi ambiziosi in una forma sintetica come il formato-canzone?
Ho sempre usato riferimenti culturali nel mio songwriting. Ad esempio, ho citato personaggi storici famosi come Jack Kerouac, Henry Darger, Andrew Jackson e Louise Brooks, eventi storici, il sentiero delle lacrime, la guerra del Vietnam o personaggi biblici come Adamo ed Eva, Giuda e Jezebel. Ogni volta che uso uno di questi riferimenti, porto una ricchezza di associazioni alla canzone (mia e dell’ascoltatore). Le canzoni sono molto brevi, solo una manciata di strofe e un ritornello ripetuto. Se posso usare una singola parola o frase in grado di espandere il significato della canzone, ho sempre voglia di farlo.
È vero che stai imparando l’italiano perché hai in mente un progetto dedicato alla poesia italiana? Puoi raccontarci di che si tratta?
Sì, sto lavorando a un progetto che prevede l’adattamento dell’opera di una poetessa ebrea italiana dell’inizio del XX secolo, di nome Lina Schwarz. Scriveva principalmente per bambini, il che è appropriato perché la mia comprensione dell’italiano è al livello di un bambino. Le poesie sono bellissime celebrazioni della natura, dell’infanzia, dell’amore e una buona dose di componimenti nonsense nello stile di Edward Lear, poesia scritta solo per il piacere che si prova ad ascoltare il suono delle parole. Ho fatto delle ricerche sulla vita di Lina e ho collaborato con una band della zona di Milano chiamata Domo Emigrantes. Speriamo di registrare queste poesie-canzoni prima possibile. (Il 28 gennaio 2024, Natalie Merchant terrà un nuovo workshop, dal titolo “Sotto il lume delle stelle”, presso l’Accademia dei bambini della Fondazione Prada a Milano. Il laboratorio per bambini sarà gestito dalla stessa Merchant e prevederà un concerto di nuove canzoni da lei adattate da poesie della scrittrice ed educatrice italiana Lina Schwarz (1876-1947). Tutti i dettagli saranno annunciati a breve su fondazioneprada.org.)
Su OndaRock amiamo molto anche i dischi dei 10,000 Maniacs, in particolare “The Wishing Chair” e “In My Tribe”. Cosa conservi di quella esperienza, capace di fondere insieme background musicali diversi (folk, pop, wave, college rock) con grande eleganza?
Ho incontrato gli altri membri dei 10,000 Maniacs quando avevo solo 17 anni e abbiamo realizzato il nostro primo album l’anno successivo, cioè all’inizio degli anni 80. Tutte le mie prime nozioni su come scrivere canzoni, esibirmi, registrare, promuovere la musica ecc. le ho apprese in quelle esperienze giovanili nella band. Ma ho lasciato i 10,000 Maniacs trent’anni fa e la mia carriera si è sviluppata notevolmente. Ho imparato molto di più nei decenni successivi.
Penso che anche Maniacs avesse un legame naturale con i Rem. Ho letto una tua dichiarazione in cui dicevi che c’era qualcosa nella voce di Michael Stipe da cui eri davvero attratta, “qualcosa di primordiale che ti faceva sentire legata a lui ”. Poi siete diventati amici e siete anche andati in tour insieme. Quali sono i tuoi ricordi di quel periodo?
Ho incontrato Michael Stipe nel 1983, mio Dio, sono passati 40 anni! I primi lavori dei R.E.M. e dei 10.000 Maniacs si potrebbero definire “Americana”, ma non credo che il termine fosse già stato inventato. Condividiamo lo stesso background musicale, essendo cresciuti negli Stati Uniti negli anni 60 e 70. Penso di essere stata attratta dall’onestà e dalla crudezza della voce di Michael, oltre che dalla sua presenza scenica carismatica. Lui e la band erano dei nostri grandi sostenitori. Quei primi tour furono davvero divertenti, grandi avventure per la nostra band, dato che loro erano molto avanti a noi in termini di popolarità.
I musicisti della tua epoca, inclusi lo stesso Stipe, Billy Bragg, gli U2, Paul Weller e molti altri, hanno fatto dell’attivismo una loro caratteristica peculiare. So che anche per te l’attivismo politico è sempre stata una parte importante della tua vita. Credi che i musicisti possano ancora influenzare la vita sociale e politica in questi tempi attuali?
Per me era inconcepibile essere un personaggio pubblico e non essere disposta a prendere posizione su questioni cruciali del giorno o ad attirare l’attenzione sul lavoro degli attivisti che si battono duramente per le loro cause. La raccolta di fondi per varie cause è stata una parte molto importante del mio lavoro sin dall’inizio. Per me, l’attivismo, la creatività e la celebrità sono tutti elementi combinati tra loro.
Dopo la conversione all’Islam di Cat Stevens, con i colleghi di 10.000 Maniacs avete deciso di eliminare “Peace Train” dalle ristampe dell’album “In My Tribe”. Pensi che quel gesto sia stato importante e lo rifaresti oggi?
All’epoca aveva un senso. Poi lui ha negato di aver sostenuto la fatwa contro Salman Rushdie nel 1989. Non ho mai avuto l’opportunità di discuterne direttamente con lui.
“Keep Your Courage” è un album che parla di sentimenti, di amore, argomento che oggi è ridotto a puro prodotto da vendere e sacrificare sull’altare del successo. L’amore che esprimi nel tuo ultimo album ha invece qualcosa di rivoluzionario, di autentico, come se per te l’amore in senso spirituale e universale rappresentasse l’unica via di fuga dall’orrore della società moderna. Pensi che l’amore ci salverà?
Più passano gli anni, più mi rendo conto che l’amore e la bellezza sono le uniche cose che contano davvero, per quanto intangibili possano essere. Aggiungerei anche la salute!
Daniel D`Amico for SANREMO.FM