I fatti dovrebbero essere ormai noti. Nella prima puntata live di X Factor dello scorso 26 ottobre, commentando l’esibizione del concorrente Matteo Alieno con una cover di Bellissima di Annalisa, il giudice Morgan ha commentato l’onnipresente hit del 2022-2023 dichiarando di non averla mai sentita prima di allora e definendola come banale e “armonicamente inesistente”. La lapidaria e sprezzante risposta del produttore e co-autore della canzone, Davide Simonetta, non si è fatta attendere: “Mai un successo e spiega cose. Che mondo splendido”. In un successivo articolo, pubblicato su Rolling Stone Italia sabato 28 ottobre, Castoldi ha invece, lungamente, continuato a spiegare, toccando diversi punti e togliendosi più di un sassolino dalla scarpa, come da suo costume.
Senza eccessivamente entrare nel dettaglio di un rant che certamente ha le sue basi (siamo qui per questo) ma che, nella natura del personaggio, tende un po’ troppo alle divagazioni e alla personalizzazione della questione, basti dire che l’ex Bluvertigo ha ribattuto il suo convincimento, da un lato difendendo la sua statura di autore di successi (citando composizioni come Altrove, La crisi, Discolabirinto e Altre forme di vita) e dall’altro contrattaccando Simonetta (e altri suoi colleghi come Dardust), definendolo tra le altre cose “un compilatore” e non un autore, “un imprenditore che cerca il danaro con le dita sulla master keyboard”; poi, tornando su Bellissima, rincara la dose chiamandola “canzonetta invisibile esercizio di industria del mercato più infimo usa e getta”.
Volendoci fermare intanto al casus belli, alla proverbiale mela della discordia, con quell’ “armonicamente inesistente” Morgan sembra toccare un punto cruciale, ovvero la distinzione all’interno del pop tra canzone d’autore (nel suo discorso vengono citati Beatles, Bowie, Springsteen) e canzone seriale, intesa come prodotto industriale fabbricato in serie. In questa visione dicotomica, da un lato ci sarebbero gli autori (tra cui, oltre ai summenzionati, rientrerebbe appunto Castoldi – uno che, innegabilmente, conosce l’arte della composizione e ha una solida formazione musicale), dall’altro i meri compilatori, che scrivono a getto continuo.
Ora, addentrarsi in questa sede in ragionamenti e teorie relative all’annosa distinzione tra opera d’arte e opera di consumo – e alle possibili interrelazioni e sovrapposizioni tra le due – è forse un esercizio retoricamente affascinante, che tuttavia preferiamo evitare anche perché ci allontanerebbe dal centro del discorso, che non è – proprio – questo. Sia come sia, a suffragio della propria tesi Morgan tira in ballo l’armonia, ovvero quell’aspetto della composizione relativo alla successione degli accordi, che crea movimento, tensione e rilascio e può in effetti rendere un brano più o meno engaging nei confronti del destinatario, cioè più o meno efficace e/o soddisfacente all’ascolto (le aspettative dell’ascoltatore, attese o disattese, svolgono un ruolo altrettanto importante).
Ora, per quel che vale (ci perdoneranno i lettori più oltranzisti), chi scrive ritiene che la canzone Bellissima sia riuscita ed efficace sotto molteplici punti di vista; il titolo (che richiama la Bertè), i riferimenti smaccati e retromaniaci alle produzioni anni ’80 (dalla Nada di Amore Disperato a Flashdance e la Maniac di Michael Sembello), gli hook della melodia (gli oh oh e ah ah assortiti), la giusta interprete (vocale e fisica). Se c’è una cosa che è davvero inesistente quello è il testo – piuttosto, un pretesto per lanciare il nuovo personaggio Annalisa; che poi ci si appoggi su una struttura armonica standard senza alcuna sorpresa o particolare sforzo compositivo è altrettanto vero.
Ma ricordiamolo: si tratta di pop, di musica che nasce con ambizioni puramente commerciali e, da che pop è pop, le formule si sono sempre usate. La ripetizione di stilemi, di suoni, di sequenze armoniche efficaci è alla base della composizione pop. Anzi, è proprio quella l’essenza primaria dello scrivere una canzone che piaccia a tutti: usare qualcosa di familiare, di facile, di accattivante, di immediatamente riconoscibile. La progressione armonica di Bellissima, ovvero i suoi accordi, sono conosciuti nel gergo popolare come il famigerato “giro di Do” (o, per chi è avvezzo ai tecnicismi, I-vi-ii-V). Se avete mai imbracciato una chitarra sapete bene di cosa parliamo; se avete suonato a malapena il campanello e il vostro orecchio è prossimo a zero, basti dire che letteralmente milioni di canzoni sono costruite su questa progressione, in diverse variazioni, da Sapore di Sale a Octopus’s Garden, per dire le prime due che ci vengono in mente mentre scriviamo.
E fin qui, in teoria, niente di male. Si è sempre fatto, è sempre stato così. La prima opera d’ingegno della cultura occidentale, i poemi omerici, si basava sulla ripetizione e sulla combinazione di formule (poetiche, metriche e anche musicali, dacché la poesia nasceva come canto). Qualora si volesse opporre a tale ragionamento il punto di Morgan, il vero autore cercherebbe invece soluzioni sempre originali e mai banali (bussare Paul McCartney e discendenti). E se si vuole giudicare chi parla, chi è musicista o avvezzo alla teoria musicale vada a vedere la struttura armonica di Altrove e i suoi richiami al genio di Brian Wilson; ineccepibile, non si può dargli torto.
Ma allora, come mai sono considerati classici immortali della canzone pop italiana, cantati da generazioni di ascoltatori, sia il giro di Do della summenzionata Sapore di Sale che le vertiginose modulazioni approntate dal Maestro Morricone in Se telefonando? Si potrebbe discuterne a favore e contro all’infinito, e la ragione starebbe sempre, probabilmente, nel mezzo, concludendo che magari a rendere una canzone efficace, che sia essa scritta da un autore o un artigiano, non sono solo gli accordi o la presunta originalità/non banalità della composizione ma anche altre, numerose variabili (musicali, sociali, culturali e così via).
Ma andiamo avanti. Questi passaggi del discorso di Morgan ci sembrano rivelatori su quale sia il reale nocciolo della questione da lui sollevata.
Vai a scoprire che (Simonetta) si vanta di aver scritto delle grandiose hit per tutti i beniamini del nostro firmamento pop. Ma guarda un po’ che strano! […] nessun altro vero genio ha scritto le canzoni di sei, sette, otto concorrenti di uno stesso concorso come invece capita qui in Italia alla luce del sole […] Non sarà che forse ci sono delle lobby? O semplicemente un’industria discografica limitata e clientelista che proprio perché gestita da chi non distingue musica dal farci-toast commissiona la scrittura delle canzoni sempre agli stessi quattro, con tutta la gente che c’è in giro, ma quei quattro gli fan comodo perché magari si mette pure nel toast una fettina di ritorni di diritti editoriali, e poi come per magia diventano delle grandiose hit in un battibaleno pezzi che molto sinceramente non sanno di nulla ma vengono pompati in radio? […] io a De Gregori o a Battiato non è che gli ho visto firmare pezzi di Raffaella Carrà, di Pippo Franco, di Al Bano, di Gigliola Cinquetti e tutti i cantanti di un’epoca contemporaneamente
A questo punto, diventa evidente che il vero punto sia – ehm – altrove. Di fatto Davide Simonetta, già noto come d. Whale, è autore (spesso in tandem con Davide Petrella o Paolo Antonacci, figlio di) tra le altre di Mille (Orietta Berti, Fedez, Achille Lauro), Disco Paradise (Fedez, J Ax, Annalisa), Pazza Musica (Mengoni e Elodie), Destinazione Mare (Tiziano Ferro), Mon Amour (ancora Annalisa) … tutte le hit estive e non solo degli ultimi anni. E se ad orecchio (non ci vuole molto) vi sarete accorti che due tormentoni sanremesi dell’edizione passata, Due Vite di Marco Mengoni e Tango di Tananai suonano uguali è perché lo sono: le ha scritte lui. Una sorta di Max Martin italiano, un re Mida che agisce nell’ombra e che Morgan va, polemicamente, a stanare, la cui reazione (quel tweet sprezzante e puerile) la dice lunga.
Qualsiasi cosa si pensi riguardo al pop di oggi, l’innegabile livellamento verso il basso di tutta la musica da classifica (a livello globale, non solo italiano) è sotto gli occhi di tutti: suoni e beat prodotti in serie, sviluppo armonico e melodico tendenti al semplice e al ripetitivo, con tutte le canzoni che finiscono davvero per assomigliarsi, fino a sovrapporsi. La tematica è reale ed è ricchissima e coinvolge una moltitudine di ambiti: entra in ballo la tecnologia, l’uso degli algoritmi, il ruolo dell’AI, un’industria che si appiattisce e si livella verso le aspettative di un pubblico ormai passivo, profilato.
E poi c’è la questione del lobbysmo e del monopolio, che si lega alla precedente: i veri autori (a prescindere dal valore e dalla bontà in sé dei vari Dardust o Simonetta o tutti gli altri producer del momento), come li intende Morgan, forse non servono più e allora è facile e conveniente far lavorare sempre gli stessi. Al netto delle considerazioni su un sistema Italia in cui dai, lo sappiamo, ha sempre funzionato così e allora tutti in galera.
Ad ogni modo e comunque la si pensi, difficile negare che all’interno dell’industria le cose stiano in questo modo. La questione è aperta: il re è nudo, il vaso di Pandora scoperchiato, il velo di Maya squarciato. Qualcuno potrebbe obiettare che Castoldi critica in modo falso e ipocrita un sistema di cui è parte in quanto volto di un talent. Qualcun altro potrebbe, giustamente, dire che il pop è specchio dei tempi e del pubblico che li vive – quindi, tutto regolare: ce la meritiamo, Bellissima. Qualcun altro ancora potrebbe notare che un minimo di autorialità nel pop italiano sopravvive grazie agli sforzi di gente come lo stesso Morgan (che firmerà, come ha rivelato lui stesso nel suo articolo, un brano per Patty Pravo) o Bianconi, per dirne un paio.
Sia come sia, le questioni relative alla standardizzazione, alla serializzazione, al livellamento qualitativo verso il basso e al monopolio sono così evidente che, per quanto sia facile andare contro Morgan qualunque cosa dica o faccia (spesso lui compiacente), stavolta è davvero dura dargli torto.
(Sì, Morgan, abbiamo anche letto la parte del tuo sfogo su Rolling Stone in cui te la prendi con i “critici musicali” improvvisati che ti attaccano di continuo, e per qualche motivo ci siamo anche sentiti un po’ in colpa per quella volta che ti abbiamo fatto notare quella cosa di Eno e Byrne… anche se poi ci siamo capiti, no? Basta fare, come fai tu, i dovuti distinguo – o, almeno, provarci).
Antonio Santini for SANREMO.FM