Il 2023, l’anno degli scioperi, del Barbenheimer e del tracollo dei supereroi. Sono stati mesi particolari per il cinema, in cui sembra si sia parlato tanto di “fenomeni” e poco di film. Ed è un peccato, perché al di là del chiacchericcio online, delle mille riflessioni sullo stato della Settima Arte e della sua industria, in sala sono arrivate opere belle. Magari non in tutti i cinema, magari non per troppe settimane. Basti pensare a La Chimera di Alice Rohrwacher, proiettato in pochissimi cinema fino a che il passaparola sui social e gli appelli della regista hanno portato la pellicola in top 10 al box office, anche se per pochi giorni.
Se negli anni passati si è posta sempre maggior enfasi nella crisi delle sale cinematografiche e dell’esperienza in sala in termini di numero di spettatori e introiti economici, mai nessun anno come il 2023 è andato nettamente in controtendenza. Il Barbenheimer, certo, ha contribuito alla svolta in positivo del box-office mondiale (e italiano), ma non solo. Questo fenomeno pop e tutto contemporaneo in grado di fagocitare la discussione ed estenderla praticamente a ogni settore dell’informazione (dai social al merchandise), rivela anche molto altro, ma soprattutto un fattore chiave che prima non era stato considerato e che Christopher Nolan ha evidenziato in una recente intervista: il pubblico non ha bisogno di un blockbuster generato da un algoritmo, ma di storie avvincenti che sappiano ricompensarlo dell’esperienza in sala.
In questo senso, anche un film di tre ore girato per metà in bianco e nero e ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale (Oppenheimer) può aspirare a diventare un grande successo di pubblico (lo stesso Nolan non ha esitato a definirlo il suo maggior successo). Oppure, un film interamente in bianco e nero come C’è ancora domani è riuscito a conquistare il pubblico italiano grazie alla sua capacità di portare in sala diverse generazioni di spettatori risultando “popolare” nell’accezione migliore del termine.
La Chimera – Alice Rohrwacher
La Chimera è stato uno dei titoli più belli di quest’annata, un film dal sapore internazionale con Josh O’Connor nei panni di Arthur, un archeologo britannico che viene coinvolto nel mercato nero di reperti storici preziosi. Al suo quarto lungometraggio, una cosa è certa su Alice Rohrwacher: il suo universo è già iconico e riconoscibile, il suo corpus è definibile non solo per dei precisi stilemi visivi, ma anche per quel substrato poetico che pervade le pellicole con timidezza, mai in maniera didascalica o troppo d’impatto. Con lei tutto sembra un quadro, fermo nel tempo, dalla fotografia ai visi degli attori che la regista sembra tirare fuori da un’altra epoca. Una dimensione quasi verghiana, che si immerge nei substrati della società ma porta i protagonisti in storie fuori dall’ordinario. La chimera che Arthur insegue è, appunto, un fantasma, il ricordo di un amore ormai lontano che vuole raggiungere a tutti i costi. In questa ricerca Rohrwacher svela un mondo nascosto, pieno di tesori d’arte, di miti e tradizioni, ma che non vuole essere soltanto – a dispetto del titolo – un mero vagheggiamento. Sembra un film mistico invece è avventuroso e goliardico, misterioso e poetico.
Misericordia – Emma Dante
Se Alice Rohrwacher è riuscita a contare sul popolo del web per riuscire a tirar fuori La Chimera dall’oblio in cui rischiava di cadere, Emma Dante non è stata altrettanto fortunata con il suo Misericordia. Proiettato in pochissime sale, “cannibalizzato” dal cinema pop, la regista ha dato vita a un dibattito con uno sfogo pubblicato su Facebook (“Non ci dormo, non mi rassegno, dopo il primo week end le copie del mio film sono state dimezzate”). Non è questo lo spazio adatto per analizzare le logiche di mercato, ma una cosa è certa: Misericordia merita di essere in questo bilancio di fine anno. Emma Dante si muove tra cinema, teatro, lirica e letteratura regalandoci, come già con il bellissimo Le sorelle Macaluso (2020), una storia di donne, di sangue, di autenticità, di morte, di una Sicilia triviale ma mai stereotipata. Tratto dall’omonima opera teatrale da lei scritta e diretta tre anni fa, Emma Dante ci conduce nel mondo di un gruppo di prostitute, che vivono una vita degradata insieme ad Arturo, un ragazzo con disturbi psichici e fisici. Il padre di Arturo, nonché protettore-padrone delle prostitute, è Polifemo, un guercio violento e volubile che ha ucciso a botte la madre di suo figlio e che sembra voler fare lo stesso ad Arturo. Le donne, tuttavia cercano di creare una via di fuga da questo incubo di mare e violenza al ragazzo che hanno cresciuto come madri putative, nella speranza incerta di un futuro migliore. Forse non tornerà mai in sala perché “troppo di nicchia”, ma se mai dovesse accadere vale sicuramente la visione (anche se la visione potrebbe essere disturbata da Wonka a tutto volume nella sala accanto…).
Anatomia di una caduta – Justine Triet
Restando nell’ambito di regia al femminile, è un altro il titolo che entra di diretto nei migliori film del 2023: è il vincitore della Palma d’oro di Cannes 76, il bellissimo Anatomia di una caduta di Justine Triet. Una sceneggiatura tagliente e performance da Oscar per un thriller legale che rimanda, ovviamente, ad Anatomia di un omicidio di Otto Preminger, portando sul tavolo nuovi temi e nuove sensibilità. Sandra, Samuel e il loro figlio di 11 anni, Daniel, ipovedente, vivono da un anno in una località remota in montagna. Un giorno Samuel viene trovato morto ai piedi della loro casa e Sandra diventa una sospettata: nell’aula di tribunale si sviscerano argomenti come gelosia, letteratura, genitorialità, femminismo e tanto altro ancora, in un labirinto che tiene alto il battito dello spettatore a colpi di retorica forense. E di P.I.M.P. di 50 Cent sparata a tutto volume (una delle scelte musicali più spiazzanti e ironiche degli ultimi anni). Insomma, il “courtroom drama” è solo il pretesto per parlare di altro, in particolare di come realtà e finzione si alterano a vicenda, e per giocare con la nostra sensibilità e le nostre credenze. Nel cast un’incredibile Sandra Huller, alla seconda collaborazione con Triet dopo Sibyl – Labirinti di donna (2019), e Swann Arlaud.
Sick of Myself – Kristoffer Borgli
Sempre in Europa c’è un nuovo autore che rappresenta una voce a dir poco elettrizzante: Kristoffer Borgli. Quest’anno ha raggiunto il grande pubblico con Dream Scenario, una commedia surreale con Nicholas Cage che merita una menzione nel meglio del 2023. Ma prima di Dream Scenario ha convinto tutti con Sick of Myself, film del 2022 uscito nelle sale italiane solamente quest’anno. In Sick of Myself Borgli affronta alcune delle tematiche riprese poi in Dream Scenario, riflettendo in chiave assurda e tragicomica sulla ricerca ossessiva di visibilità. Ma lo fa con una scrittura più tagliente e una pungente satira dalle tinte horror, che rende Sick of Myself una delle opere prime più interessanti degli ultimi anni. La giovane protagonista, Signe (Kristine Kujath Thorp), scopre gli effetti devastanti di un farmaco, il Lidexol, che in breve la trasforma in una creatura grottesca, in una giovane donna dal volto deturpato che sfrutta la malattia auto-indotta per il famoso quarto d’ora di celebrità di cui parlava Andy Warhol. Più che un film una lente di ingrandimento sulle ossessioni dei millennial del terzo millennio, da recuperare e da vedere – se potete – prima di Dream Scenario.
Passages – Ira Sachs
E a proposito di unromantic comedy: Passages, film diretto da Ira Sachs, non è una semplice storia di sesso e tradimenti. Tomas (Franz Rogowski) è un regista a cui piace far festa, è sposato da moltissimi anni con Martin (Ben Whishaw) e, una sera, va a letto con una donna, l’insegnante Agathe (Adèle Exarchopoulos). Tomas lo confessa a suo marito, che però fatica a digerire la cosa. È l’inizio di un ménage à trois. Nei suoi precedenti film, Sachs non ha mai rinunciato a quel realismo un po’ edulcorato, morbido, che tanto ricordava i film di Éric Rohmer, ma in questo caso più che una carezza il film assomiglia a un graffio che apre la strada a un’analisi più lucida e spietata delle relazioni. Un manuale di psicologia, si potrebbe azzardare a dire. Perché quelli messi in scena sono personaggi complicati, ritratti in maniera credibile, ma senza la gravità filosofica delle storie di matrimoni che appartenevano a Ingmar Bergman.
Un Bel Mattino – Mia Hansen-Løve
Sempre su Mubi è uscito un altro film che va incluso in questa lista: Un Bel Mattino di Mia Hansen-Løve, passato prima in sala a gennaio 2023. Anche questa una storia di tradimenti e amori, ma con un piglio decisamente più romantico di Passages. Sandra (Léa Seydoux) è una giovane madre single che inizia una relazione con Clément (Melvil Poupaud), un amico perso di vista da molto tempo. Peccato che lui sia sposato. È un film che sa essere toccante e doloroso e ci porta mano a mano per le strade di Parigi, girato su pellicola 35mm per conferire quella dimensione di intimità che tanto piace a Mia Hansen-Løve.
Bottoms – Emma Seligman
L’amore è anche il motore del Fight Club tutto al femminile di Bottoms, la seconda pellicola di Emma Seligman che dopo Shiva Baby punta su una commedia che pesca dall’immaginario di Wright, Fincher, Kusama e tanto altro ancora. Seligman ha scritto il film assieme all’attrice e comica americana Rachel Sennott (Bodies Bodies Bodies), anche nei panni della protagonista PJ, affiancata come spalla principale da Ayo Edebiri (The Bear). Meno introspezione di Shiva Baby, ma più divertimento e azione: la pellicola è una sex comedy satirica adolescenziale sulle imprese di due amiche queer dell’ultimo anno delle scuole superiori, che fondano un fight club per rimorchiare le cheerleader. Bottoms è una dinamica esplosione di colori e citazioni, spassosa eppure capace di rispecchiare con naturale leggerezza – una leggerezza che a tratti sfiora la superficialità ma risulta più unpolitically correct che mai – realtà che esigono ormai una rappresentazione e di sfiorare interrogativi nient’affatto scontati mantenendosi alla larga dalla retorica di univoca lettura.
Aftersun – Charlotte Wells
In Italia Aftersun ha fatto il suo debutto alla Festa del cinema di Roma del 2022, ma è uscito su Mubi a gennaio 2023. Quello della regista Charlotte Wells è stato uno dei debutti più interessanti dell’anno scorso: il film mette al centro della scena l’ultima estate di un padre e sua figlia, offrendoci un ritratto potente e straziante del loro rapporto. Paul Mescal, che si è fatto conoscere al grande pubblico per il suo ruolo in Normal People, interpreta il papà di Sophie in una pellicola costruita da ricordi in cellulosa, con videotape anni ’90 che svelano verità celate agli occhi della bambina. Un processo di antoniana memoria in cui gli occhi della figlia sono anche i nostri, e insieme scopriamo per la prima volta dettagli sulla vita misteriosa e straziante di questo giovane padre.
Decision to Leave – Park Chan-wook
Il ritorno al cinema di uno di quelli che può essere definito senza dubbio alcuno un maestro contemporaneo. Decision to Leave è la quintessenza del cinema di Park Chan-wook, delle sue ossessioni, del suo stile visivo che imparando dal cinema di Alfred Hitchcock ha a sua volta iniziato a fare scuola. Come scriviamo in sede di recensione, il film è un vero e proprio «valzer dei sensi, un noir in cui la vera indagine non è sulla scena del crimine, ma si muove su un piano ben più intimo ed esistenziale».
Killers of the Flower Moon – Martin Scorsese
Quattro anni dopo The Irishman, Martin Scorsese non abbandona la narrazione dal respiro lungo e ponderato per riflettere ancora una volta sugli orrori compiuti dagli Stati Uniti d’America per diventare la potenza mondiale che tutti consociamo oggi. Il resoconto dello sterminio degli Osage è un atto di doverosa ammissione di colpa, in cui il regista italo-americano sfodera tutta la sua precisione chirurgica sia a livello visivo che – per estensione – in termini di racconto volutamente anti-enfatico e anti-spettacolare. Gli uomini – o lupi – che popolano le sue sequenze sono imbruttiti dalla stessa scelta fotografica oltre che da un trucco che riprende in qualche sorta di continuità stilistica il lato più grottesco del film precedente. Scorsese mette alla berlina non solo l’uomo bianco ma anche la stessa Hollywood che gli permette di realizzare il suo film più ambizioso di sempre, con quel finale amarissimo, agghiacciante e semplicemente perfetto, in cui il regista entra in scena per sbeffeggiare se stesso perché parte integrante del sistema.
Io capitano – Matteo Garrone
Impossibile non includere anche l’ultima regia di Matteo Garrone, che con Io Capitano mette al centro il team scottante e profondamente e tragicamente attuale dei migranti e delle morti infinite in mare aperto. Dalla nostra recensione: «il film diventa un grido ancor più esplicitamente politico sia nei confronti di un’Europa che si professa ipocritamente globalizzata e aperta, sia per tutti coloro che decidono di partire da situazioni non facili non essendo minimamente consapevoli degli orrori che li attendono durante il viaggio». Io Capitano è stata selezionato dall’Italia per concorrere all’Oscar per il miglior film internazionale 2024.
C’è ancora domani – Paola Cortellesi
Se ne parlava nella intro a questa selezione. La prima regia di Paola Cortellesi non solo è un segnale importante per tutto il cinema nostrano, ma è riuscito in un modo che solo i più grandi sono stati in grado di fare (pensiamo al successo popolare di Roberto Benigni con La vita è bella o al cinema di Lina Wertmüller) a parlare a più generazioni diverse nello stesso momento, inquadrando lucidamente il contesto attuale e costruendo un dialogo con il passato e il nostro scendere a patti con esso oggi più necessario che mai. Non era affatto scontato, nonostante il successo popolare raggiunto da Cortellesi nei film in cui era solo protagonista. C’è ancora domani è stato il film col maggiore incasso al box-office italiano nel 2023, davanti a colossi come Barbie e Oppenheimer.
Le vele scarlatte – Pietro Marcello
Con Le vele scarlatte, il suo esordio in lingua francese, Pietro Marcello continua il suo discorso cinematografico e autoriale sulla potenza delle immagini – qui davvero sempre più ancorate a un immaginario tipicamente pittorico e impressionista – dove il passato è continuamente contaminato da suggestioni di oggi e di domani, come in una perenne trance spazio-temporale. Dalla nostra recensione: «Marcello confeziona quella che solo all’apparenza è una piacevolissima favola senza tempo, ma che a un’analisi più approfondita assume i contorni di una disamina del mondo contemporaneo, in cui il passato non è più passato ma è il presente in cui ci muoviamo».
Oppenheimer – Christopher Nolan
Il grande ritorno di Christopher Nolan, dopo il più deludente Tenet – è ancora una volta un film di genere storico (che il regista ha dimostrato già di saper padroneggiare e rielaborare nel migliore dei modi già con Dunkirk), ma ancora una volta profondamente un film alla Nolan per tono, ritmo e stile visivo. Dalla nostra recensione: «apparentemente lontano dai suoi leitmotiv più noti e di cui abbiamo parlato poc’anzi, Oppenheimer è invece un film che trasuda tutto quello che il regista angloamericano ha messo in scena e raccontato fin dal suo esordio, dove il senso di colpa qui è come un peccato originale dal quale non si può più tornare indietro».
Barbie – Greta Gerwig
Quest’anno il botteghino italiano è stato in mano alle registe (finalmente), perciò in una classifica dei migliori film non poteva non esserci Barbie di Greta Gerwig che, insieme al sopracitato Oppenheimer, ha accesso il dibattito durante tutta la stagione estiva (e oltre). Il terzo lungometraggio della regista di Sacramento ha almeno due grandi pregi: il primo è l’effetto sorpresa, dato che nessuno si immaginava un film così tematicamente complesso sulla bambola più famosa (e stereotipata) al mondo; il secondo è l’aver diffuso a macchia d’olio i pilastri concettuali del femminismo, sfruttando in maniera intelligente la natura politica dell’arte cinematografica.
Tár – Todd Field
In un certo senso, sebbene sia uscito nei cinema italiani mesi prima, Tár può essere considerato l’anti-Barbie (ovviamente è una provocazione… o forse no). Al di là dei tantissimi meriti che ha, il film di Todd Field riesce a rappresentare su schermo gli angoli bui del politicamente corretto e del politicamente scorretto. E lo fa non solo con la parola, grazie ad una sceneggiatura di ferro e ad un’attrice divina (Cate Blanchett insuperabile), ma anche con l’immagine, misteriosa ed affascinante. Durante la visione lo spettatore sta scomodo ed è un bene, essendo l’unica posizione che permette la riflessione.
Rotting in the Sun – Sebastián Silva
Disponibile su MUBI, l’ultimo film dell’artista cileno Sebastiàn Silva è un’opera di difficile categorizzazione e per questo è una delle più curiose che potete recuperare di questo anno cinematografico (se non l’avete ancora visto). Rotting in the Sun parte come un documentario sui problemi di dipendenza del regista, si sviluppa come un mockumentary dal contenuto sessualmente esplicito, e finisce per essere un thriller di finzione con un diverso protagonista. In quest’ultimo passaggio troviamo il genio: dal The Artist is Present di Marina Abramović si arriva al The Artist is Dead di Sebastiàn Silva.
As Bestas: La terra della discordia – Rodrigo Sorogoyen
Con sei lungometraggi in carriera, e svariati premi Goya sullo scaffale, Rodrigo Sorogoyen è diventato il regista spagnolo più importante della sua generazione. Ad oggi, As bestas – La terra della discordia è il suo film più riuscito (ed è uno dei più interessanti dell’anno). La storia segue la vicenda di due coniugi francesi che si trasferiscono in un paesino della Galizia per dedicarsi all’agricoltura sostenibile; questo scatena la diffidenza, l’insofferenza e, in seguito, la violenza degli altri abitanti. As Bestas è un trattato sull’odio generato dall’ignoranza, dalla “chiusura” e dagli stereotipi culturali.
The Old Oak – Ken Loach
Lo scontro tra culture è il centro dell’ultimo film del combattente Ken Loach, dopo il quale potrebbe davvero ritirarsi dalle scene (all’età di 87 anni). Con The Old Oak il regista inglese prende di mira la vecchia classe operaia, quella che negli ultimi decenni si è spostata su posizioni xenofobe (in Gran Bretagna come in tutta Europa), e la invita al dialogo con il “diverso” per riconoscersi in esso. «Chi mangia insieme, resta unito» recita il motto del film. Semplice, diretto, commovente, magistrale.
Gli Spiriti dell’Isola – Martin McDonagh
Dopo il capolavoro Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, Martin McDonagh è tornato con un altro grande film, Gli Spiriti dell’Isola. Un’opera “teatrale” che gode di due grandi interpretazioni (Colin Farrell e Brendan Gleeson) e che condivide alcuni punti in comune con il sopracitato As Bestas. Dalla nostra recensione: «Gli spiriti dell’isola è una grande opera cinematografica sulla nascita dei conflitti e sugli istinti più brutali dell’essere umano, una commedia nerissima sull’importanza del dialogo e del senso comunitario laddove la violenza appare l’unica via percorribile».
Close – Lukas Dhont
Secondo lungometraggio del giovane regista belga Lukas Dhont, Close è sicuramente uno dei film a tematica LGBTQ più importanti dell’anno. Léo e Rémi hanno tredici anni e sono legati da sempre; la loro amicizia si spezza quando il primo allontana il secondo a causa delle malelingue dei compagni di scuola (tutti pensano che siano una coppia). Con Close, potente opera sulla fine dell’innocenza e sulle drammatiche conseguenze del pregiudizio, Dhont si conferma una delle voci più promettenti del cinema europeo. Ma l’avevamo già intuito con il suo film d’esordio, il bellissimo Girl.
John Wick 4 – Chad Stahelski
Dalla nostra recensione: «Davanti agli occhi dello spettatore va in scena l’Arte degli stuntmen (e del combattimento scenico) alla sua massima potenza, rendendo John Wick 4 un’opera capace di impostare un modus operandi che farà sì scuola, ma che sarà anche molto difficile da ricreare (come ogni grande film che si rispetti). E il merito non può che andare alla regia rivoluzionaria di Chad Stahelski, consapevole di cosa e come dovrebbe essere oggi l’intrattenimento mainstream (ovvero una sintesi perfetta di suggestioni, media, filosofie), e alla recitazione di Keanu Reeves, che ha messo il proprio corpo al completo servizio di un’idea, di un simbolo, di un’arte, del Cinema».
The First Slam Dunk – Takehiko Inoue
Nel 2023 l’animazione giapponese ci ha regalato molti film degni di nota, ma ad emergere sono stati senz’altro Suzume di Makoto Shinkai, un bel fantasy che riflette sulle ferite del Giappone novecentesco (Miyazaki docet), e The First Slam Dunk di Takehiko Inoue. Quest’ultimo è da considerarsi una vera e propria chicca, un inaspettato trionfo di regia. Realizzato in tecnica mista, ovvero con l’utilizzo di modelli in 3D tratteggiati poi a mano, il film riassume la parte finale dell’omonima serie di manga (firmata sempre da Inoue): la partita di basket delle squadre scolastiche dei licei Shōhoku e San’nō. The First Slam Dunk è due ore di pura adrenalina, un film sportivo unico nel suo genere.
Spider-Man: Across the Spider-Verse – Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson
Nell’anno della caduta (al botteghino) dei supereroi, a farla franca ancora una volta è la versione animata di Spider-Man, tornata con il secondo capitolo della trilogia su Miles Morales. Across the Spider-Verse è tutto quello che un film Marvel dovrebbe essere e, soprattutto, è tutto quello che un film sul complicato tema del Multiverso dovrebbe essere (se la gioca con il pluripremiato Everything Everywhere All At Once dell’anno scorso). Animazione ad altissimo livello (tecnica mista), personaggi indimenticabili (Spider-Gwen ruba la scena a tutti) e tanto tanto tanto amore per il materiale di partenza.
Il Sol dell’Avvenire – Nanni Moretti
Dopo il poco riuscito Tre Piani, sua prima opera non originale, Nanni Moretti ci ha consegnato un film con cui guarda al passato – criticandolo quando necessario – per aprirsi al futuro. Il Sol dell’Avvenire è infatti la summa del cinema morettiano, ma non è assolutamente un film-testamento. Qui Moretti mette in scena la paura del tempo che passa e dei tempi che cambiano, ma lo fa per raccontarci di contrasto la gioia del vivere e dell’andare avanti. Da applausi il finale: un corteo con (quasi) tutti gli attori e le attrici che hanno reso possibile la sua indimenticabile filmografia.
La primavera della mia vita – Zavvo Nicolosi
Colapesce e Dimartino hanno debuttato al cinema con La primavera della mia vita, film da loro scritto, interpretato e musicato. Alla regia c’è invece Zavvo Nicolosi, già autore del fortunato videoclip di Musica Leggerissima e del più recente Splash! Per Nicolosi, co-autore del soggetto e della sceneggiatura con il duo, questo è il primo lungometraggio in sala. Questo road movie è la storia di due amici, con un passato musicale in comune e un futuro tutto da scrivere. Dopo la rottura del loro sodalizio professionale e un lungo periodo di silenzio, Antonio (Dimartino) ricontatta Lorenzo (Colapesce) per un nuovo e misterioso progetto. Il film porta i due artisti sulle strade più remote della Sicilia, in un viaggio di riconciliazione e sulla scoperta di sé, sull’imparare ad ascoltare gli altri e comprendere gli orizzonti di vita diversi dal nostro. Nel film ci sono anche ospiti musicali, come un Roberto Vecchioni complottista che crede nelle origini siciliane di William Shakespeare, Brunori Sas della cricca dei fan di Jim Morrison, c’è Erlend Øye dei Kings of Convenience e un’esibizione di Madame. Tra teiere giganti, creature mitologiche, suore sommozzatrici e pirati, La primavera della mia vita è una pellicola che fa del surrealismo il suo tratto distintivo, con tanta ironia interrotta, qui e là, da momenti di introspezione che arrivano lapidari sotto forma di aforisma.
Antonio Santini for SANREMO.FM