Non diversamente dagli anni che lo hanno preceduto, il 2024 è stato un anno ricco di molta buona, ed anche ottima, musica a fronte di un’offerta smisurata e disorientante. È stato un anno di ritorni importanti, come quelli di Cure, Primal Scream e Beth Gibbons, ma anche di Smile e Vampire Weekend, un anno che ha più che mai confermato l’hyperpop come fenomeno globale e quella tendenza alla disgregazione per cui è sempre difficile, se non impossibile ricondurre all’unità.
Sono diversi i lavori che hanno catturato la nostra attenzione sia dal lato più coraggioso e sperimentale sia per un’impronta distintiva forte e riconoscibile. In un post dedicato trovate la nostra classifica completa dei migliori album del 2024 (200 posizioni in totale), e quella di redazione e staff, di seguito i primi cinquanta classificati.
50. Alessandra Novaga – The Artistic Image Is Always a Miracle
Continua il suo percorso dedicato alla settima arte, la chitarrista Alessandra Novaga e lo fa omaggiando il regista russo Andrej Tarkovskij e quel Johann Sebastian Bach che il russo utilizzò spesso per i suoi film. The Artistic Image Is Always a Miracle è l’ennesima prova magistrale della Novaga, in grado di intrecciare, con la sua musica, mondi apparentemente distanti con una sensibilità personale e una capacità evocativa di primo livello (Stefano Pifferi).
49. Landless – Lúireach
Lúireach è un disco intriso di tradizione ma che trova modi nuovi ed entusiasmanti per presentare canzoni dalla struttura e dal potere antichi, colme di malinconia, amore, morte e mistero (Beatrice Pagni).
48. Camera Obscura – Look to the East, Look to the West
Coltivata attentamente e sapientemente l’arte di infilarsi in chiaroscuri agrodolci, in delicato e patinato equilibrio tra gioia e dolore, la band ha saputo trovare la propria cifra. Una conferma che arriva 11 anni dopo l’ultima prova: l’indie pop dei Camera Obscura è tornato a splendere (Marco Boscolo).
47. Alan Sparhawk – White Roses, My God
Questo disco di Alan Sparhawk, il primo da lui inciso dopo la sua morte di sua moglie Mimi, può lasciare di stucco e commuovere, attrarre e disorientare. È un gesto creativo spontaneo, per quanto arduo da decifrare, in un certo senso nel più puro spirito dei Low (Tommaso Iannini).
46. King Hannah – Big Swimmer
Il secondo album degli inglesi King Hannah è un recupero del suono statunitense anni ’90. L’alt rock dei Sonic Youth, il country, l’americana. Il punto forte del disco è l’interpretazione vocale di Hannah Merrick, capace di spaziare fra più registri (Fernando Giacinti).
45. Eels – Eels Time
Quindicesimo album in studio per gli Eels, non proprio un concept sul senso del tempo ma quasi, di sicuro intriso di riflessioni sull’esserci ancora, lascito di un delicato intervento chirurgico che ha salvato la vita a Mark Everett. Dodici tracce ora intense e ora rarefatte, sorrette da un’ispirazione degna dei lavori migliori del Nostro (Stefano Solventi).
44. Karate – Make It Fit
Dopo la reunion dal vivo, lo storico trio guidato da Geoff Farina torna sulle scene discografiche dopo vent’anni con un nuovo, ottimo capitolo tra conferme, sorprese ed evoluzioni. Make It Fit riprende il suono distintivo dei Karate, arricchito da nuove influenze e una maggiore accessibilità melodica. Tra power pop, riff boogie e dissonanze jazz, il disco esplora temi di disillusione sociale, confermando la legacy della band (Antonio Pancamo Puglia).
43. Geordie Greep – The New Sound
Terminata l’avventura con i black midi, Geordie Greep debutta da solista sfidando i limiti della sperimentazione musicale con un disco gigantesco, complesso, eccellente. Con lui, più di 30 musicisti e un bagaglio di influenze stilistiche trasmutate, da provetto alchimista, in un originale nuovo suono (Nadia Merlo Fiorillo).
42. Still House Plants – If I Don’t Make It, I Love U
Il terzo album degli Still House Plants, If I don’t make it, I love u, è un’opera math rock dalle forti venature emotive con influenze no-wave, free jazz e una forte componente soulful nella voce di Jessica Hickie-Kallenbach. Tra poliritmie e dissonanze, il disco si mantiene in equilibrio tra fisicità e weirdness (Fernando Giacinti).
41. Tyler, The Creator – Chromakopia
Il settimo album di Tyler, The Creator è un mosaico sonoro frammentario ma esaltante. Un viaggio terapeutico in cui Tyler lascia cadere l’ultima maschera, quella del dittatore St. Chroma, mostrandosi come mai prima. Tra orgoglio sfrenato, provocazioni e riflessioni, si compone un’opera che fonde rap sperimentale, r&b, elettronica e alt-soul, consolidando Tyler come un pilastro dell’hip hop (Diego Muleri).
40. Arooj Aftab – Night Reign
Distribuito da Universal, l’album rappresenta la definitiva consacrazione di Arooj Aftab. La musicista pakistana di stanza a New York aveva già ricevuto endorsement importanti, nel nuovo album attiva una serie di collaborazioni e affina ancor meglio una forma canzone folk-jazz dagli accenti mediorientali che guarda a Sade e all’ormai storica collaborazione tra Lisa Gerrard e Pieter Bourke (Antonello Comunale).
39. Bianca Scout – Pattern Damage
Bianca Scout torna con un patchwork che potremmo descrivere come un “underworld” di ibridi formali, dove coesistono avanguardia, pop, ambient, musica da camera, weird folk, musica sacra. Collaborando con Darkmarik, NWAKKE e Mun Sing, la musicista e ballerina contemporanea esplora in musica concetti quali memoria, romanticismo e malinconia.
38. Hurray for the Riff Raff – The Past Is Still Alive
Un’ottima collezione di brani, caratterizzata da un incedere perfetto per le lunghe ore on the road, The Past Is Still Alive è probabilmente il lavoro più coeso e mirato degli Hurray for the Riff Raff. Sebbene manchi della forza melodica di artisti come Adrianne Lenker e della carica emozionale di Phoebe Bridgers, l’album sa conquistare con la sua atmosfera evocativa e il suo songwriting. La bellezza qui emerge nei dettagli, piuttosto che nelle esplosioni emotive, rivelando la maturità musicale di Alynda Segarra. (Riccardo Zagaglia).
37. Chat Pile – Cool World
Dopo God’s Country, i Chat Pile colpiscono ancora con Cool World, un album che esplora temi di violenza attraverso un suono granitico, mescolando noise rock, metal e post-hc. I richiami a Jesus Lizard, Cop Shoot Cop e Korn sono evidenti, ma l’album si arricchisce di elementi inaspettati, dipingendo un affresco di apocalisse quotidiana e tensioni globali (Edoardo Bridda).
36. Perila – Intrinsic Rhythm
Perila, originaria di San Pietroburgo e basata a Berlino, torna su Smalltown Supersound con Intrinsic Rhythm, un doppio album che esplora un movimento interiore e uno esteriore. Tra glitch, droni e elettroacustica, l’album è un’opera introspettiva che gioca con il cambiamento di velocità e la dissoluzione dell’interiorità (Pietro Leonardi).
35. Doechii – Alligator Bites Never Heal
Alligator Bites Never Heal di Doechii, sotto TDE, segna l’ascesa della rapper come nuova regina del rap femminile. Con un sound eclettico che mescola boom bap, r&b, trapsoul e house, la rapper mostra talento e personalità, evolvendo il suo stile in un mixtape maturo e ricco di sfumature (Diego Muleri).
34. Cass McCombs – Seed Cake On Leap Year
L’album pubblicato a sorpresa da Cass McCombs ci restituisce un’istantanea in scala di grigi dell’America polverosa, ma anche intima e rurale, che l’artista ha respirato a cavallo del nuovo millennio (Carmine Vitale).
33. Any Other – Stillness, Stop: You Have a Right to Remember
Adele Altro torna sulle scene a sei anni di distanza da Two, Geography, dando alla luce il suo album più maturo e completo. Una seduta di psicoterapia musicata da arrangiamenti delicati e fioriture orchestrali (Gioele Barsotti).
32. Tapir! – The Pilgrim, Their God and The King Of My Decrepit Mountain
L’esordio del collettivo inglese sorprende per la maturità dei contenuti e il modo in cui riescono a tradurla in musica. Inafferrabili eppure decifrabili come la più semplice delle narrazioni, The Pilgrim, Their God and The King Of My Decrepit Mountain sembra destinato a lasciare un segno deciso in questo 2024 (Carmine Vitale).
31. Astrid Sonne – Great Doubt
Il terzo disco della musicista danese – da anni a Londra – la vede per la prima volta mettere al centro la voce e una vena cantautorale che affronta e rilascia le tensioni di cui da sempre è fatta la sua musica (Mauro Bonomo).
30. Bill Ryder-Jones – Iechyd Da
Il lavoro s’inserisce nel solco definito dagli ultimi album del musicista di West Kirby – leggi alla voce: Mojave 3, Nick Drake, Beatles, I’m Kloot, Belle & Sebastian – ma ha anche la capacità di esaltarne le aspirazioni pop con una produzione ricchissima in bilico tra archi, pianoforte e moltissimi altri strumenti (Fabrizio Zampighi).
29. Chris Corsano – The Key (Became the Important Thing [and Then Just Faded Away])
In totale solitaria il batterista americano Chris Corsano sciorina quanto di meglio ha assorbito nella sua lunga e variegata carriera. Tra impro di batteria, gamelan alieni, noise e tirate free, The Key (Became The Important Thing [& Then Just Faded Away]) è un saggio (anti)accademico su come suonare la batteria non sia solo saper tenere il ritmo ma l’occasione per sperimentare anche all’interno dei recinti di genere (Stefano Pifferi).
28. Moin – You Never End
I Moin tornano con un album che affina il loro linguaggio post-punk/post-rock: tensioni introverse, voci sperimentali di ospiti come Olan Monk e Coby Sey, e una coerenza sonora che li consacra tra i profeti del “post-tutto” chitarristico contemporaneo (Stefano Pifferi).
27. Memorials – Memorial Waterslides
Un disco denso, a tratti impegnativo, non lineare, pieno di specchi e di vie di fuga. Contemporaneamente minimale e massimalista, brutalmente atonale e melodicamente aggraziato. La coppia formata da Matthew Simms e Verity Susman dopo aver composto varie colonne sonore ha deciso di scriversi la sceneggiatura del proprio film immaginario (Carlo Bordone).
26. 070 Shake – Petrichor
Il terzo disco di 070 Shake evolve ciò che di buono era stato fatto nei capitoli precedenti. Espressiva e a cuore aperto, la cantante statunitense si immerge in una pioggia sonora di psichedelia distorta ed elettronica. Tra elettronica nervosa, ballate nostalgiche e sfumature cantautorali, l’album si alterna in un’opera totale (Diego Muleri).
25. Jack White – No Name
Jack White non fa prigionieri e segna con No Name un parziale ritorno alle sue radici musicali, sorprendendo con un album diffuso in modo insolito attraverso la sua etichetta Third Man Records. Diviso in due parti, il lavoro unisce energia e intensità, mescolando blues, rock e folk con riff immediatamente memorabili. Tra canzoni dinamiche e testi diretti, White recupera la sua sfrontatezza, dimostrando ancora una volta che il rock intelligente e senza compromessi è possibile (Tony D’Onghia)
24. Godspeed You! Black Emperor – NO TITLE AS OF 13 FEBRUARY 2024 28,340 DEAD
Un ritorno urgente, ideologico, maestoso nei suoni e disperato nell’appello senza parole quello che ci offrono i canadesi Godspeed You! Black Emperor, mai accomodanti e sempre impegnati nel voler usare la musica come un grimaldello per risvegliare le coscienze. Post-rock esplosivo e riflessivo, monoliticamente massiccio e, insieme, complesso e sfaccettato, quello in No Title As Of 13 February 2024 28,340 Dead è al contempo un j’accuse e un invito all’umanità da riscoprire in questi tempi bui (Stefano Pifferi).
23. Arab Strap – I’m Totally Fine with It Don’t Give a F Anymore***
Un disco diversamente “generazionale”, ovvero uno sguardo sul presente da parte di chi ha vissuto il passaggio dalla socialità ai social. Un monito, se volete, a base di cantautorato rock, spettri post-wave e contagi sintetici, brodo di coltura schizoide per melodie ad alto tasso emotivo (Stefano Solventi).
22. MJ Lenderman – Manning Fireworks
L’esordio su ANTI- del musicista americano offre una narrazione intima, amichevole e familiare, che alterna la lingua asciutta dell’alt-country a quella tagliente e spigolosa dell’indie-rock. È un’altra ottima prova per Lenderman (Carmine Vitale).
21. Adrianne Lenker – Bright Future
Dopo un album trionfale come Dragon New Warm Mountain I Believe In You dei suoi Big Thief, Adrianne Lenker in versione solista riparte dalla sottrazione più totale e dall’arte di raccontarsi. Circondata da un clan di fidati collaboratori, immersa nella natura, la musicista statunitense maneggia tradizione alt-country e sonorità analogiche, per canzoni che veicolano melodie di malinconia a pacchi, per un songwriting dal movimento atemporale (Elena Raugei).
20. Lolina – Unrecognisable
Unrecognisable è il terzo capitolo di un racconto multimediale di sua invenzione ambientato in una Londra distopica in cui la proprietà privata diventa un’arma da guerra tra governo e resistenza (Giuseppe Zevolli).
19. Zuli – Lambda
Lambda segna un allontanamento dalle sonorità dance di Zuli, esplorando invece glitch e distorsioni in un contesto iperrealista. Il disco mescola influenze da Fennesz e Oneohtrix Point Never, creando un’atmosfera grottesca e liminale (Fernando Giacinti)
18. English Teacher – This Could Be Texas
Fra math pop, minimalismo e poesia urbana, This Could Be Texas è un album che si svela ad ogni ascolto: l’istantanea di una band in rapida evoluzione ma per la quale, già da adesso, si può intravedere un futuro artisticamente scintillante (Diego Ballani).
17. Fontaines D.C. – Romance
In Romance, il quarto album dei Fontaines D.C., ci sono le chitarre degli anni ’90, psichedelia, shoegaze, teatralità, momenti orchestrali, elettronica. Ma, soprattutto, un talento cristallino. Il disco esplora temi di crisi, distacco e introspezione con un sound eclettico che mescola influenze da Depeche Mode, Pixies e Stone Roses. I testi, personali e politici, trattano alienazione e speranza, culminando in un finale di rinnovata bellezza. (Fernando Rennis).
16. Oneida – Expensive Air
Nelle parole di Kid Millions è un disco più scuro e rabbioso del suo diretto predecessore. Se lì era come farsi una risata mentre la macchina sta per finire dentro una tempesta di ghiaccio, questo inquadra l’espressione del guidatore mentre sta per schiantarsi contro un albero. La verità è che valgono entrambe le metafore, perchè dicono di una band in ottima forma da due prove a questa parte (Stefano Pifferi).
15. The Smile – Wall Of Eyes
Un lavoro ricco, intenso e indubbiamente di peso che al contempo riesce a rivelare la giocosità e la leggerezza con cui è stato realizzato, ovvero l’autentica essenza della creatura musicale chiamata The Smile (Antonio Pancamo Puglia).
14. Vampire Weekend – Only God Was Above Us
Dieci canzoni per circa quarantacinque minuti di musica, a cinque anni di distanza dal lungo, folle ma più levigato Father of the Bride“. Niente t-shirt stampate o jeans strappati, quello dei Vampire Weekend è sempre un indie rock a tinte beige e khaki: il neoquarantenne Ezra Koenig “torna” a New York ma la scruta da lontano, e tira in ballo Steven Siegel per la copertina e figure iconiche come Mary Boone (Alessandro Liccardo).
13. Peter Perrett – The Cleansing
Illustre rampollo di quella stirpe maledetta che discende direttamente da Lou Reed, Jim Carroll e Johnny Thunders, con il suo terzo album solista il leader degli Only Ones offre la summa definitiva di una carriera – e vita – rock’n’roll, spesa rigorosamente sul lato selvaggio. Venti canzoni dense di ironia, sarcasmo e poesia urbana, in un doppio ricco e pieno di sorprese (Antonio Pancamo Puglia).
12. Beth Gibbons – Lives Outgrown
L’esordio da solista di Beth Gibbons mette in fila dieci canzoni scritte nell’arco di dieci anni: tempi carsici, un lento processo di stratificazione e distillazione che ha fruttato un suono costantemente sul punto di tradire il sentiero già battuto, sempre sul filo di un cambio di stato emotivo, in bilico tra tumulto irrequieto e incanto ombroso, immerso nella tradizione ma in grado di levitare anomalo, struggente e inafferrabile, ora caldo e l’attimo dopo spettrale (Stefano Solventi).
11. The Lemon Twigs – A Dream Is All We Know
A un anno dal già eccellente “Everything Harmony”, i fratelli D’Addario tornano a cimentarsi con il pop classico anni ’60. A Dream Is All We Know è un album destinato a fissare in alto l’asticella per chiunque voglia cimentarsi con il vocabolario dei Beatles e Beach Boys, e non solo. Disco pop-rock dell’anno? (Antonio Pancamo Puglia).
10. Jessica Pratt – Here in the Pitch
Col quarto lavoro Jessica Pratt ci invita a immergerci nelle profondità del suo mondo interiore, uno spazio in cui convergono influenze vintage, maestria compositiva e sensibilità contemporanea (Beatrice Pagni).
9. Primal Scream – Come Ahead
Dopo otto anni i Primal Scream tornano col disco in studio numero dodici e una rinnovata verve espressiva: varie declinazioni black (funk, soul, disco, blaxploitation, gospel…), psichedelia, elettricità ed elettronica al servizio di un flusso sonoro turbolento e contagioso, mentre i testi mettono nel mirino senza indugio né riguardo le storture politiche, sociali e culturali del presente. Come dire: non può esserci impegno senza l’ingaggio del corpo. Bentornati (Stefano Solventi).
8. Father John Misty – Mahashmashana
Mr. Josh Tillman torna a vestire i panni del profeta in un album massimalista, visionario, eccessivo, musicalmente ricco ed eccellente e liricamente denso e sovraccarico di significanti e significati, confermandosi songwriter di primissimo livello (Antonio Pancamo Puglia).
7. Clarissa Connelly – World Of Work
Tra folk bucolico, art pop, estro cantautorale e turbe celtiche, il primo album di Clarissa Connelly per Warp definisce un “luogo” espressivo ben definito e coinvolgente. Una strana, intensa, suggestiva alterità (Stefano Solventi).
6. Charli XCX – Brat
Brat consacra la libertà creativa della popstar attraverso un sound che si ricollega al filone club con cui ha debuttato unendolo idealmente i capitoli più sperimentali della sua discografia. E naturalmente all’estetica PC Music. C’è anche un lato più introspettivo, con qualche forzatura, ma non vi è dubbio: nella sua “Brat era” suona più carica e libera di sempre (Giuseppe Zevolli).
5. Laura Marling – Patterns in Repeat
Nel suo ottavo disco da studio Laura Marling trova una vena poetica e musicale limpida ed efficace per descrivere la maternità, in un dialogo costante con se stessa, i sentimenti e le (nuove) situazioni capace di generare alcune tra le migliori canzoni della sua carriera (Fabrizio Zampighi).
4. Jlin – Akoma
Il nuovo lavoro della produttrice americana è l’ennesimo scrigno di gemme preziose, digitalmente scintillanti e ritmicamente vitali. La vena pulsante resta quella della footwork ma tra avant pop, minimalismo, classica e trap le porte che attraversiamo durante l’ascolto sono molteplici. L’edificio è quello di un’artista rivoluzionaria capace di immaginare e costruire nuove connessioni, visioni, futuri (Mauro Bonomo).
3. Mount Eerie – Night Palace
Night Palace di Mount Eerie riflette un viaggio tra misticismo, radicamento e le contraddizioni del presente, tra natura e colonialismo. Con una visione twinpeaksiana della foresta e una critica al territorio, Elverum distrugge certezze, cercando uno sguardo nuovo (Fernando Giacinti).
2. Cindy Lee – Diamond Jubilee
Autoprodotto e autodistribuito, il nuovo disco di Cindy Lee assembla 32 canzoni per più di due ore di indie-pop lo-fi che guarda alla tradizione degli anni ’60, ’70 e ’80 con un occhio fuori dal tempo, in aperta collisione con i giganti dello streaming business contemporaneo (Antonello Comunale).
1. The Cure – Songs of a Lost World
Cure che ritornano a sedici anni dall’ultimo disco di studio e sono in forma come li avremmo voluti sentire. Un’ispirazione vera, profonda, un repertorio solido, emozionante, di nuove canzoni, un’autorevolezza che li avvicina ai loro momenti migliori, con la curiosità di qualche deviazione “rumorosa” sul loro classico – e altrettanto solido – impianto sonoro (Tommaso Iannini).
Daniel D`Amico for SANREMO.FM