Progetti sotto il nome di Martarosa, altri condivisi con Fossick Project e Mos Ensemble sono alcuni elementi del passato non a tutti noti del percorso creativo della Del Grandi, giunta a un primo progetto per Fire Records nel 2021, “Until We Fossilize”, un concentrato di talento e ambizione che in “Selva” offre tutte le risposte alle attese e alle poche perplessità che avevano accompagnato l’ascolto di quelle otto canzoni. Otto brani che, seppur non concepiti in un unico lasso di tempo, beneficiavano di un filo comune: elettronica, folk, musica da film e romantiche dissonanze.
Con la foto e i dischi di Norma Winston sul comodino, Marta Del Grandi non lesina né grazia né ispirazione, alternando robuste contaminazioni con ritmiche ed esplosioni elettroniche (“Mata Hari”), modellando synth e voce con lo struggente suono di un violoncello per un viaggio ai confini del dream-pop e del post-rock (“Marble Season”). C’è molta carne al fuoco in “Selva”, materie difformi che l’artista domina con geniali intuizioni. L’attitudine jazzy primeggia nella splendida ballata dalla natura cangiante tra antico e moderno incorniciata da contrappunti di sax, contrabbasso e chitarra acustica di “Eye Of The Day”, ma anche nella commistione tra sacro e profano di “Snapdragon”, autentica festa di suoni tribali, cori e vocii, avvolti da una danza rituale affine a un rito propiziatorio.
Non c’è spazio per la banalità, nel nuovo album di Marta Del Grandi: anche la ballata acustica più tipicamente folk, “Two Halves”, ha una propria personalità e non manca di improvvisi guizzi armonici e vocali di rara bellezza.
L’aspra dolcezza dell’ambizioso post-rock-jazz-noir di “End Of The World Pt 1” e il singolare minimalismo alla Steve Reich/Philip Glass in chiave barocca di “Polar Bear Village” danno forma a canzoni quasi aliene, con melodie che sembrano uscire da una dimensione parallela, inesplorata, la stessa dalla quale sbuca la title track, unico brano con testo in italiano e ulteriore dimostrazione di audacia e talento: un onirico folk-noise in cui il ronzio di un insetto diviene suono, mentre la voce ipnotizza l’ascoltatore con pochi, intensi versi.
A fare da sintesi alla sfaccettata e originale personalità dell’autrice ci pensa la splendida “Good Story”, un brano che si evolve su una serie di accordi elettronici sospesi, che prendono forma e corpo grazie a raffinati tempi trip-hop e a una progressione armonica che lascia il segno, confermando Marta Del Grandi come una delle voci più autorevoli del moderno art pop.
Antonio Santini for SANREMO.FM