A un mese dall’annuncio di Amadeus di chi parteciperà a Sanremo 2024 c’è ancora chi, sui social e non solo, continua a chiedersi: ma chi è Maninni? Di certo è un nome arrivato a sorpresa, anche se la sua storia in musica non nasce pochi giorni prima della lista dei 30 big che si contenderanno la vittoria all’Ariston. Passato attraverso Amici, arrivato l’anno scorso a contendersi la vittoria di Sanremo Giovani con Sethu (persa al fotofinish), ha alle spalle alcune collaborazioni di tutto rispetto. Forse non lo ha aiutato neppure quel nome d’arte che è diventato lo spauracchio di tutti i giornalisti, tra chi l’ha subito etichettato come Mannini e chi si è confuso con il suo cognome. Sì, perché all’anagrafe si chiama Alessio Mininni. Ha 26 anni, è di Bari, e abbiamo provato a conoscerlo meglio. Cantautore e polistrumentista (suona chitarra, piano, batteria e basso, oltre a produrre), all’Ariston porterà una canzone «ottimista» che si intitola Spettacolare e racconta le cadute e le risalite. In buona sostanza il suo percorso finora. Con una certezza, che manterrà comunque vada: «Non riuscirei a pensare alla mia vita senza la musica».
Intanto sai di essere diventato l’incubo di ogni giornalista a causa dei refusi?
L’ho notato. Pensavo di aver risolto cambiando il mio cognome con una vocale. C’erano troppe i, però adesso ho capito che il problema non erano le vocali, ma le consonanti…
A parte gli scherzi, sei diventato la grande incognita di Sanremo. Secondo te è un bene partire da outsider o uno svantaggio?
Nel mio percorso musicale ho fatto diverse esperienze, alcune importanti e altre meno. A parte questo l’ho presa positivamente. Mi è piaciuto che la gente si chiedesse «ma chi è Maninni?». Di certo non sono notissimo tra la gente, però ho la carica in più per affrontare quel palco e mi piacerebbe far vedere chi è davvero Maninni.
In fondo a Sanremo la vittoria ormai conta relativamente, come ha dimostrato nel 2022 Tananai. O per te la classifica ha un valore?
A livello psicologico, su alcuni, può avere una influenza. Non per me, che non ho mai considerato la musica come qualcosa di competitivo. L’importante è cosa arriva agli ascoltatori oltre i numeri. Sento parlare tanto di streaming, ma non è importante un numero come simbolo. Come accadeva a scuola non conta il voto, conta cosa poi farai nella vita. Io faccio musica per portare qualcosa alle persone. Di Tananai mi era piaciuto lo spirito con il quale aveva affrontato quella che poteva tramutarsi in una delusione. Sanremo è una vetrina importante, te la devi giocare bene ed è solo un punto di partenza. E ci sono altri esempi come Vasco o Zucchero, arrivati ultimi, che dopo hanno avuto grandi carriere.
Che effetto fa essere in gara con i tuoi conterranei Negramaro?
Io e Giuliano ci eravamo scritti in direct perché avevo provato a mandargli dei messaggi su Instagram e poi ci siamo incontrati nel backstage di Sanremo Giovani. Appena mi ha visto si è ricordato di me e questo mi ha stranito. Ci siamo abbracciati, gli ho detto che li seguo da una vita e che fa parte del mio background artistico. Ritrovarmi in gara con loro non è una sfida, ma un onore. Così come con Loredana Bertè e tanti altri che stimo.
Tra gli altri ci sono i Kolors, con i quali hai già collaborato.
Ho condiviso delle esperienze live, ho aperto alcuni loro concerti e si è creata una bella amicizia con Stash. Abbiamo riferimenti simili dal punto di vista musicale, come i Pink Floyd e David Gilmour, che è il mio chitarrista preferito. Anche lui, oltre che musicista è produttore e quindi parliamo tanto di cose tecniche e quando iniziamo non la finiamo più.
A 9 anni la folgorazione per la musica dopo che tuo padre ti portò a un concerto degli U2. Cosa ti colpì di quell’esperienza?
Il concerto era a Milano, a San Siro, quindi era la prima volta di un live in uno stadio. Certo, quando ho sentito l’assolo di chitarra di The Edge in Sunday Bloody Sunday è stato un colpo di fulmine. Siamo tornati a casa e ho detto a mio padre che avrei voluto iniziare a suonare. Sognavo il palco e fare qualcosa che trasmettesse a me e agli altri le stesse emozioni. Ho iniziato a scrivere le mie canzoni a 15 anni perché quando suonavo con la prima band avevo sentito l’esigenza di non suonare più i brani di altri. All’inizio non sapevo cantarli e non volevo neanche, però qualcuno doveva pur farlo.
Suoni chitarra, pianoforte, batteria e basso, oltre a cantare e scrivere i testi. Hai un profilo inusuale rispetto ad altri cantanti della tua generazione.
Effettivamente c’è una saturazione dal punto di vista musicale di certe sonorità, perché avere così facile accesso alle opportunità di farsi conoscere, rispetto alla gavetta nei club e allo scouting come in passato, ha permesso a moltissimi di proporre la propria musica direttamente da casa. Così, con la possibilità di esprimersi, sono aumentati anche i ragazzi che non sono appassionati di musica, ma vogliono soltanto dire qualcosa attraverso una canzone. Però vedo sempre più gente che ha voglia di mettersi in gioco studiando musica, perché in fondo è un territorio infinito che non si riesce mai a conoscere appieno.
Prima della finale di X Factor ho avuto la possibilità di conoscere meglio Sarafine, che poi ha vinto, e mi raccontava la sua storia di emigrazione dalla Calabria al Belgio e la successiva decisione di lasciare tutto per la musica. Tu hai mai pensato di andartene da Bari?
Ci sono stati momenti in cui ci ho pensato, eccome. In particolare quando ho visto un documentario su Mark Ronson, un produttore che stimo tantissimo. Prima di tutto ho deciso di rimanere a Bari perché sono legato alle mie radici e mi piaceva l’idea di rompere quei pregiudizi, cioè che se non vai a Milano non fai carriera. Inoltre non nascondo che dietro certe scelte c’è stata anche un po’ la paura in termini economici di fare un passo più lungo della gamba. Lasciare il proprio Paese senza un’ottima base economica è complicato.
Te lo chiedevo perché le porte in faccia non ti sono mancate. Ad Amici sei stato eliminato per non aver superato l’esame di sbarramento, mentre a Sanremo Giovani nell’ultima votazione ti è stato preferito Sethu. La voglia di mollare ti ha sfiorato?
A essere sincero sì, sono stati passaggi difficili nei quali ho pensato di mollare tutto, ma non la musica. Cioè di restare comunque dietro le quinte a causa di queste delusioni. Sai, spesso è più facile puntare il dito contro gli altri e recriminare per non essere passato. Ma poi ho pensato: «Ho fatto davvero tutto quello che potevo?». Mi è venuta la tentazione di lasciare il palco e provare a raggiungere la gente come autore, anche se la strada era sempre scrivere, produrre o collaborare con altri artisti. Non riuscirei a pensare alla mia vita senza la musica.
Qual è stato invece il tuo momento migliore, a parte Sanremo?
Una canzone che mi ha segnato molto. Si intitola Vaniglia. L’ho scritta in un periodo particolare della mia vita e mi ha permesso di avere un contratto manageriale. Un pezzo che, quando l’ho scritto, mi sono detto subito: questa è una canzone importante. Credo sia stata anche quella che mi ha fatto cambiare l’approccio verso il modo di fare musica.
Ora però è il momento di pensare a Sanremo dove porterai Spettacolare, che già dal titolo sembra una canzone piuttosto ottimista. Tu come la definiresti?
Come hai detto tu, ottimista, perché parla di come a volte si incontrino delle cadute e di come le risalite possano diventare spettacolari. Non è una canzone strettamente d’amore, ma può essere accostata anche a quel sentimento. Racchiude gli ultimi anni che ho vissuto.
Amadeus ha detto che, quando l’ha sentita, non ha potuto far altro che inserirla.
Vorrei abbracciarlo e ringraziarlo. Mi sta dando un’opportunità enorme e non scontata. Non ne ho ancora avuta la possibilità perché quando ci siamo visti c’erano tempi troppo stretti per farlo. Lo rivedrò a Capodanno, visto che sarò ospite su Rai 1, e mi auguro che ci sarà la possibilità di fare due chiacchiere con lui e capire come mai ha puntato su questa canzone. Se mi avessero chiesto prima quante chance avevo di andare a Sanremo avrei risposto nessuna.
Come te lo aspetti il palco dell’Ariston?
Ho cominciato a rimuginare già dal 4 dicembre quando sono stati diffusi gli annunci. Del temutissimo palco dell’Ariston tutti mi dicono che è piccolo, ma che mette una paura incredibile. Alcuni mi hanno suggerito di studiare bene l’esibizione, ma so che quando ci arriverò farò l’esatto contrario. Voglio entrare nella canzone in quel momento e provare a far percepire quello che esprime ai presenti e a chi segue il Festival da casa.
Sei scaramantico?
(Sposta la camicia e mette in mostra due cornetti) Sono sia qui al collo che nel portafoglio. Sono scaramantico e, anche se per ora non ho un rito, appena lo trovo lo farò sicuramente.