Ci vogliono un po’ di simpatia e un po’ di calore per fendere le nebbie scozzesi. Ci vuole un tocco moderno per mantenere il folk vivo e vitale. Ci vuole un po’ di autoironia per cantare con onestà la propria visione di una contemporaneità complicata come la nostra. Potrebbero essere su per giù questi i dettami del canzoniere di King Creosote, una delle voci più emozionanti e personali del panorama folk odierno. Una faccia di bronzo da pescatore delle Highlands che in passato ha immerso la sua voce da bardo nell’elettronica di Jon Hopkins, ha cantato la sua terra natia con fare cinematico tra guizzi post-rock, nonché shakerato nello stesso bicchierone cornamuse ancestrali e sintetizzatori. E queste sono soltanto alcune facciate delle sue ultime tre imprese.
A questo punto della sua carriera, Kenneth Anderson non ha nulla da dimostrare o temere. E allora eccolo qui, ripresentarsi a ben sei anni dal buffo capolavoro “Astronaut Meets Appleman” con dieci nuove canzoni, che tutte insieme ammontano alla bellezza di un’ora e venticinque minuti – gli ultimi trenta e rotti dei quali sono un avventuroso drone in Si diesis che si cimenta in scorribande kraut, incontra suadenti cori femminili e serpeggia tra beat incalzanti. Ed è proprio nei quasi 37 minuti di “Drone In B#” che è racchiusa la chiave di lettura di una delle opere più ambiziose di K.C..
Il musicista scozzese non è avaro d’ispirazione: nei sette anni che separano “I Des” dal precedente album ha pubblicato una ventina di album per la propria etichetta indipendente, superando ormai la soglia dei 100 album. Il ritorno in grande stile sotto l’egida della Domino è frutto dell’amore sbocciato per il rock tedesco degli anni 60 e 70 dopo la lettura del libro di David Stubbs “Future Days”.
“I Des” ha molte radici da esibire. Il titolo racchiude un omaggio al co-produttore Derek O’ Neill, ma anche l’ennesimo giochino dell’autore sul distonico rapporto tra vita e morte. Una visione che trova la perfetta quadra nella splendida “Blue Marbled Elm Trees”, perfetto frutto della sintesi tra le pulsioni folk e la contaminazione elettronica del nuovo album, il cui testo è uno dei più potenti e illuminati: “No, non mi lamenterò, mi sono divertito molto a ridere con le mie ragazze, ho avuto la vita migliore offerta da questo marmo blu, o da qualsiasi mondo alieno e no, non mi lamenterò”.
In questa nuova decina di pezzi fanno ritorno tutte le passate intuizioni di King Creosote, rimescolate, ripartite e ricombinate. Tutte al servizio di un songwriting imponente ma mai serioso e di una narrazione tumultuosa e incalzante.
L’elettronica innerva tutto, incontra archi melodrammatici che scuotono acque melodiche intensamente romantiche eppur torbide (“It’s Sin That’s God Its Hold Upon Us”), rinnova la magia del goth-folk con atmosfere struggenti avvolte dal calore della fisarmonica (“Burial Bleak”) e scopre nuove timbriche per le amate cornamuse nella già citata “Blue Marbled Elm Tree”.
Non si spaventino i fan del musicista scozzese, come sempre K. C. gioca con le suggestioni e le nuove intuizioni stilistiche, ma spetta sempre alla chitarra acustica dettare il ritmo, sposando spesso e volentieri i sintetizzatori in una danza dove confondere le regole. Ed è quello che accade nella fracassona danza kraut-bolscevica di “Susie Mullen”, ma anche nell’apparente mestizia di “Dust”, un’ipnotica e minimale preghiera laica che a un fremito di drone music associa una toccante poetica noir. Atmosfera ripresa nell’ancor più impalpabile title track, dove il piano diventa protagonista di una ballata a metà strada tra Chopin e Satie. Ed è ancora una volta il piano il protagonista di uno dei momenti più accattivanti dell’album, un brano che fa da crocevia tra i suoi temi ricorrenti: morte, memoria, angoscia (“Walter De La Nightmare”). Prima del finale di “Drone In B #”, a chiudere il set di canzoni vere e proprie troviamo infatti un lungo colpo di teatro intitolato “Please Come Back, I Will Listen, I Will Behave, I Will Toe The Line”. Il ritorno in riga di un amante impenitente che rivolge una supplica alla sua amata avvolto tra spesse nebbie sintetiche e cori fantasmagorici, che soltanto uno sfolgorante lampeggiare di chitarre hard-rock potrà diradare.
Corre voce che “I Des” possa essere l’ultimo disco di Kenneth Anderson a nome King Creosote. Non senza un pizzico di malinconia, potremmo farcene una ragione. Sicuri che qualsiasi altra direzione il bardo sceglierà per il futuro, sarà certamente valida ed entusiasmante.
10/11/2023
Daniel D`Amico for SANREMO.FM