voto
8.0
- Band:
JOB FOR A COWBOY - Durata: 00:39:08
- Disponibile dal: 23/02/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
Streaming non ancora disponibile
Nell’autunno del 2014, all’indomani della pubblicazione del variopinto “Sun Eater”, si era fatta largo la percezione che la corsa sfrenata dei Job For A Cowboy necessitasse di una pausa, dopo quattro album segnati da un’evoluzione costante assieme a letteralmente centinaia di concerti in tutto il mondo, il tutto in poco meno di un decennio. Un po’ di tregua per ricaricare le batterie e per tornare a raccogliere impressioni fresche, volte ad aggiornare ancora una volta il songwriting, per evitare di correre prima o poi il rischio di cacciarsi in qualche vicolo cieco di piattezza e prevedibilità. Un “rompete le righe” arrivato dopo un disco, il suddetto “Sun Eater”, subito rivelatosi quanto mai ambiziosa prova di maturità, dalla quale trapelava la necessità di arricchire, con inesplorati elementi narrativi e musicali, un’esperienza death metal che già negli anni appena precedenti aveva cercato di diventare più tecnica ed estrosa, partendo da basi euforiche e volenterose, ma certo talvolta ancora un po’ acerbe. Senza arrivare per forza ad ammorbidirsi sotto ogni aspetto, la band statunitense aveva cercato di dare al proprio sound un taglio più raffinato, andando a dare spazio a orditi di natura progressive, per una tracklist in cui le istantanee a base di un death metal affilato, profondamente contemporaneo nella resa sonora e nell’esecuzione, lasciavano il passo a uno sviluppo più vasto e imprevedibile, con episodi più ariosi in cui il basso di Nick Schendzielos compariva estremamente in primo piano.
Dopo essere quindi andati ognuno per la propria strada, tanto da far perdere le proprie tracce per anni, nel 2019 tre quinti della line-up – il frontman Jonny Davy e i chitarristi Alan Glassman e Tony Sannicandro – si sono ritrovati per confezionare un album per i Serpent of Gnosis, progetto votato a una forma di death-grind più snella e urgente, messo in piedi assieme ad altri due veterani come il bassista Max Lavelle (The Black Dahlia Murder, ex Despised Icon e Goratory) e il batterista Darren Cesca (Goratory, ex Arsis e Deeds of Flesh). Questa esperienza ha quindi in qualche modo rimesso in moto anche i Job For A Cowboy, i quali di lì a poco hanno terminato di comporre la musica per questo “Moon Healer”, quinto full-length di una carriera che probabilmente non conoscerà mai più quell’intensità – e magari anche quel successo – accostabili agli esordi della formazione originaria dell’Arizona, ma che d’altro canto pare ancora più che in grado di regalare spunti di interesse a fan e ascoltatori.
Piuttosto eloquentemente connesso al suo diretto predecessore (dal sole si è passati alla luna), l’ultimo capitolo a firma Job For A Cowboy si rivela un nuovo visionario itinerario errante durante il quale il gruppo dispensa l’ormai abituale maestria tecnica nel dimenarsi tra frenesia di ascendenza death metal e floridi scenari prog, con strutture giocate quasi sempre sull’alternanza fra dilatate porzioni strumentali e aggressive sovrapposizioni ritmiche, per una combinazione che, proprio come dieci anni fa, sottolinea più che mai l’ampio background artistico dei musicisti.
I cinque (oggi alla batteria troviamo Navene Koperweis degli Entheos), risultano convincenti nella performance, sebbene questa volta evitino di avventurarsi in lande realmente sconosciute: rispetto alla fatica precedente, c’è meno imprevedibilità stilistica, ma il filone esplorato su “Sun Eater” trova qui modo di imporsi con rinnovata efficacia, grazie a un songwriting forse anche più a fuoco, nel quale si percepiscono maggiore ordine ed equilibrio.
In un fluire di sonorità prosperose e arzigogolate, impreziosite puntualmente dall’estro del basso, la mente si dispone ad accogliere una carrellata di suggestioni e di sensazioni auditive, con sferzate techno-death e tocchi di fusion che rendono quanto mai variegata una linea compositiva in cui i vari spunti hanno sempre spazio per respirare e dove si percepisce sempre una certa armonia di fondo, nonostante i frequenti avvitamenti ritmici. In brani come “Beyond the Chemical Doorway”, “A Sorrow-Filled Moon”, “The Agony Seeping Storm” o “The Forever Rot”, possono venire alla mente i Cynic, gli stessi Cephalic Carnage di Schendzielos, così come certa scuola canadese (Beyond Creation, Quo Vadis, Augury, Archspire, Neuraxis…), ma, a conti fatti, “Moon Healer” risulta anche e soprattutto una versione più rifinita, breve e rotonda di “Sun Eater”, con pezzi ariosi e melodici, nei quali i riff e i vari passaggi si distinguono meglio e dove appunto convivono amabilmente l’asprezza pungente e impetuosa di certe partiture ritmiche e la liquidità iridescente del gusto melodico oggi in dote alla band.
Un ritorno dunque intrigante e competitivo, che dimostra come i Job For A Cowboy siano riusciti a custodire integra la loro voglia di mettersi in gioco, assieme all’abilità nell’imbastire composizioni di tangibile creatività, mai prevedibili e banali nonostante certi inevitabili richiami. Per chi li ha sempre apprezzati, un ascolto obbligato.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM