Certamente la chitarra elettrica è stato lo strumento musicale che più ha caratterizzato tutta la seconda metà del Novecento. Il rock nasce come sottocultura malvista dall’establishment per poi diventare nel giro di pochi decenni sinonimo di pop. Sarà questo, per certi versi, lo stigma che si porterà dietro la chitarra elettrica negli anni: uno strumento troppo ribelle e troppo popolare. Le sue infiltrazioni con la musica classica colta sono piuttosto rare, e col tempo la cosa non è andando progredendo chissà quanto, in termini numerici. Non c’è mai stato un vero e proprio sdoganamento. Mondi tanto distanti, culturalmente, quanto tecnicamente. Ci sono stati i maestri che hanno reso questa distanza impercettibile, Harry Patch, Earle Brown, Christian Wolff, riuscendo addirittura a riscuotere anche un certo successo, come per il caso di Electric Counterpoint di Steve Reich, che firmò il capolavoro irrinunciabile di questo incontro tra chitarra elettrica e musica classica, che segnerà un punto di svolta nell’intero genere. Composto su commissione della Brooklyn Academy of Music e della Brooklyn Philharmonic, ed eseguito da Pat Metheny nel 1987, pare che quest’ultimo abbia dovuto in alcuni punti spiegare a sua maestà Reich “il range dello strumento, poiché aveva poca dimestichezza con la chitarra elettrica” – tanto per tornare al discorso sulla distanza.
Un rapporto quindi, non affatto scontato, ma che, anche proprio per questo motivo, ha dato nel tempo molte soddisfazioni. Dalla fine degli anni Settanta è emersa tutta una scena che stava più fuori che dentro l’accademia, ma che è riuscita a creare un genere a sé stante popolato da nomi come Fred Frith, Rhys Chatham, Elliott Sharp. La storia di Tim Brady rientra in ognuna di queste, ma è anche distante da tutte. Decide di diventare un musicista grazie ai Beatles, e inizia a suonare la chitarra. Da lì una carriera fatta di centinaia di composizioni, che variano dai singoli brani a opere corpose scritte per l’esecuzione di altri musicisti. Girando il mondo in qualità di chitarrista, Brady verrà anche ricordato per aver formato un chathamiano ensemble di 100 chitarristi dal nome Instruments of Happiness. La sua ultima raccolta di composizioni, Imagine Many Guitars è l’ennesima conferma di uno dei più importanti chitarristi della nuova musica per chitarra elettrica.
Nella tua carriera mi sembra possibile mettere in evidenza tre grandi macrogeneri diversi. Vorrei che mi parlassi di ognuno di essi.
• La musica classica, in particolare il minimalismo americano. In un’intervista hai detto che alla base della tua musica c’è la struttura. Tutto parte da lì. Quali sono state le tue influenze?
Ho iniziato cercando di scrivere canzoni pop/rock da adolescente (tra i 14 e i 17 anni). Ma non credo di essere mai stato molto bravo, perché il formato standard della canzone rock è piuttosto rigido: strofa, ritornello, ponte… un ambito limitato per costruire un viaggio musicale di più ampio respiro – inoltre, scrivevo testi terribili! Il formato della canzone rock è fantastico per certi tipi di idee musicali (melodie e armonie brevi, belle e orecchiabili), ma di solito non consente di esplorare una lunga durata. Intorno ai 17 anni ho scoperto la musica di lunga durata – un po’ di rock progressivo e le monumentali jam da 20-30 minuti degli Allman Brothers. Ho capito subito che era quello il modo in cui sentivo la musica. Da lì sono stato portato verso la musica classica europea e il jazz moderno. Ho iniziato con i soliti compositori – Debussy, Stravinsky, Bartók – e da lì sono andato avanti. Miles Davis, John McLaughlin, Chick Corea – erano gli anni Settanta – anche il jazz stava esplorando alcune interessanti idee formali. Il minimalismo americano era attraente non tanto per le idee formali iniziali (come nei primi Reich e Glass), ma perché permetteva ai compositori “classici” di reintrodurre il ritmo come parte del vocabolario musicale. Ho suonato abbastanza jazz e rock da apprezzare un buon groove. Ricordo anche di aver visto l’originale Philip Glass Ensemble nel 1978 o 1979 a Boston, a Harvard (all’epoca erano un oscuro gruppo da camera alternativo – c’erano forse 60 persone al concerto) – e quella band era SUPER affiatata. Mi ha davvero fatto capire l’importanza delle grandi, convincenti esecuzioni come parte del processo compositivo.
Musica jazz. L’aspetto legato all’improvvisazione
L’improvvisazione è uno strumento fantastico per trovare e sviluppare idee musicali. È anche un ottimo modo per conoscere meglio il proprio strumento (nel mio caso, la chitarra elettrica). Ancora oggi improvviso parecchio ogni giorno, anche se non spesso in concerto. Mi tiene connesso alla performance e alla gioia di mettere semplicemente una nota dopo l’altra. È divertente.
Col passare degli anni, ho iniziato a rendermi conto che amo l’improvvisazione come strumento compositivo, ma stare in piedi e fare un “grande assolo” su una sezione ritmica (il classico approccio all’improvvisazione jazz) mi interessa meno. Continuo comunque a fare alcuni concerti di improvvisazione libera, di solito con i musicisti Helmut Lipsky (violino) e Shawn Mativetsky (tabla e percussioni). Questo gruppo è più orientato a creare grandi strutture/viaggi musicali spontanei, piuttosto che a “suonare un grande assolo”. Anche se, a volte, suoniamo comunque molte note di seguito, una dopo l’altra! Come molti compositori/musicisti, Miles Davis è la mia principale influenza nel jazz – più come compositore/organizzatore del suono che come strumentista (anche se ovviamente è anche un grande musicista). Il senso della struttura di Miles (“cosa succede, quando e perché” – questa è la mia definizione di struttura) è impeccabile, in quasi tutto ciò che ha fatto nella sua carriera di 40 anni, indipendentemente dallo stile o dall’epoca.
Musica rock. Si potrebbe parlare della dimensione dionisiaca, ma anche del fatto che è un genere che permette più sperimentazione con gli effetti.
La chitarra jazz è fantastica per la sofisticazione armonica e l’invenzione ritmica, ma inizialmente sono stati i musicisti rock a esplorare le possibilità timbriche (idee sul colore del suono) offerte dalla chitarra elettrica. Hendrix (anche se stranamente non è stato una grande influenza per me) e i Beatles (che invece hanno avuto un’influenza enorme su di me) hanno davvero aperto la porta e mostrato quanti colori e texture fosse possibile ottenere con una chitarra elettrica, un amplificatore, qualche effetto e un po’ di immaginazione. Amo tutti i suoni della chitarra: un suono pulito può essere bellissimo, ma anche i suoni distorti e imponenti con molto delay hanno un grande potere espressivo. Con gli effetti e il lavoro in studio, la chitarra elettrica può davvero essere “orchestrata”, quasi come un’orchestra.
In realtà ho avuto il mio primo studio casalingo multitraccia (un registratore a nastro analogico a 4 canali, un Teac 3340) nel 1974 – davvero presto per i tempi, e ho iniziato a sovraincidere chitarre elettriche per vedere quanti diversi armonici e atmosfere potessi ottenere da una sola chitarra. E lo sto ancora facendo – proprio questo pomeriggio (12 novembre 2024) stavo registrando della nuova musica per chitarra (con qualche effetto – sì – ma non troppi!). Sono quindi 50 anni che esploro quali armonie e colori timbrici posso ottenere dallo strumento. La musica rock ha portato quest’idea della potenza della chitarra unita al potere dello studio di registrazione – è stata una parte importante del mio vocabolario musicale, sebbene con idee strutturali ed espressive differenti.
In un’intervista hai detto che alla base della tua musica c’è la struttura. Tutto parte da lì. Credo che questo derivi dalla tua formazione accademica. Vorrei sapere come coniughi queste tre dimensioni partendo da un’idea strutturale.
La formazione accademica gioca certamente un ruolo in come creo musica, ma la cosa principale che un buon insegnante di musica insegna non sono regole o formule; ti insegna ad ASCOLTARE, così da poter sentire la musica che hai bisogno di ascoltare. Ho avuto diversi ottimi insegnanti di musica – Alan Crossman (il mio primo insegnante di composizione), Mick Goodrick (un guru monumentale della chitarra a Boston), il teorico Robert Cogan (Boston) e altri. La cosa principale è sempre l’ASCOLTO attivo – cercare di ascoltare tutto: la struttura, i dettagli, le frasi, l’espressione. Cercare di essere completamente immersi nella musica.
Una volta che inizi a sentire la musica in questo modo, inizi a superare “generi o stili”. Se i Beatles suonano un Fa minore, o Brahms suona un Fa minore, o Oscar Peterson suona un Fa minore, o Taylor Swift suona un Fa minore, senti il “Fa minore” tanto quanto lo stile. La musica è semplicemente suono che si muove nel tempo – ed è questo che unisce tutto. Quindi, una volta accettato ciò, esplorare una gamma di idee diventa facile, molto naturale. A questo punto, ho un senso dello stile “Tim Brady” – che è, devo ammetterlo, piuttosto ampio e con molti possibili riferimenti. Ma quando sento la mia musica, mi sembra di sentire me stesso, ed è tutto ciò che un compositore può desiderare.
Qual è stato l’impatto più significativo dell’improvvisazione jazz sulle tue composizioni strutturate? Essendo un compositore con un forte controllo della forma, come riesci a mantenere l’equilibrio tra struttura e libertà d’improvvisazione?
“EQUILIBRIO” – è questa la parola chiave! Ho in programma un nuovo concerto per solista improvvisatore e orchestra che verrà eseguito a gennaio 2025 all’Open Waters Festival a Halifax, in Canada – e si intitola proprio “EQUILIBRIO” – adoro questa parola. Ogni decisione musicale influisce su tutte le altre decisioni del pezzo – come compositore, devi solo decidere il bilanciamento dei fattori. Vuoi musica molto veloce? – perfetto. Ma poi devi bilanciarla con l’effetto psicologico sugli ascoltatori (entusiasmante, ma poco tempo per cogliere i dettagli) e gli effetti fisici sui musicisti (musica veloce può essere molto stancante se prolungata). Vuoi musica forte? – perfetto. Ma poi devi affrontare il bilanciamento tra la potenza della musica ad alto volume e il disagio fisico dello stesso volume alto. Non esiste un gesto musicale semplice che non sia un equilibrio di fattori multipli, spesso in apparenza contraddittori.
L’improvvisazione è solo un altro elemento da bilanciare nella creazione della struttura. In generale, uso l’improvvisazione per i dettagli locali, per la superficie – aggiungo espressione spontanea, idee armoniche o melodiche imprevedibili. Cerco di mantenere una sorta di controllo strutturale su larga scala – questo è il compositore in me. Ma anche in questo campo, ho creato spartiti piuttosto inusuali. Il mio Quartetto d’archi n. 3 uscirà su CD ad aprile 2025 con Leaf Music, interpretato dal Warhol Dervish String Quartet di Montreal. Non c’è una partitura – solo una serie di istruzioni su come i 4 musicisti devono costruire la propria esecuzione basandosi su alcune semplici idee gestuali. Attraverso una sequenza di idee aperte ma precise, il quartetto costruisce sia il materiale che la struttura del pezzo. Ogni performance è piuttosto diversa. Ma richiede comunque equilibrio.
So che hai “abbandonato” il rock perché volevi superare le barriere rigide della sua composizione per qualcosa di più libero. Inoltre, poiché non fai uso di droghe e non bevi, quel genere non ti si addiceva in un certo senso. Cosa ti è rimasto di quel genere?
Dalla musica rock, la cosa più ovvia che ho conservato è – la chitarra elettrica, compreso il distorsore, tutti gli effetti e l’uso dello studio di registrazione. Questi sono ancora elementi importanti nelle mie composizioni. Non ho paura di usare il “pulse” – un ritmo battente. Ma questo può venire dal rock, dal jazz, o praticamente da qualsiasi altro genere!
Sei stato associato, per ovvi motivi, alla chitarra. Eppure hai fatto diversi dischi in cui questo strumento è assente. Forse non è essenziale per il tuo modo di comporre…
Quando compongo per la chitarra elettrica, ho la chitarra in mano. Ma se sto componendo per un’orchestra, un quartetto d’archi o un’opera, scrivo direttamente al computer (software di notazione). Utilizzo i campioni di riproduzione del software (che suonano piuttosto bene) per controllare armonie, melodie, struttura. Comporre per chitarra è sempre un po’ diverso rispetto a comporre per altri strumenti: suono la chitarra, e probabilmente suonerò ogni pezzo di musica che scrivo per essa. Quindi è un processo un po’ più fisico e tattile. Ma cerco anche di immaginare la natura fisica della musica che scrivo per altri strumenti. Penso sia al performer che all’ascoltatore: quale sarà l’esperienza per tutti coloro che sono coinvolti in questa musica (eseguendo o ascoltando).
Come credi stia evolvendo il chitarrismo? La chitarra elettrica è uno strumento che si è imposto per lo più con il blues, per poi modellare sui suoi suoni il rock e infine essere assorbito anche dalla musica classica e accademica.
Il ruolo della chitarra elettrica nel mondo della musica sta cambiando. Quando sono cresciuto – negli anni Sessanta e Settanta – era il RE della musica pop. Questo non è più vero. La chitarra elettrica è davvero uno strumento minore nei brani di musica pop che ascolto, ed è molto, molto spesso del tutto assente. Dove è finita?
Ora la cultura della chitarra elettrica vive soprattutto su YouTube, non più alla radio. Un grande cambiamento, ma interessante. Ci sono alcuni giovani chitarristi straordinari – Julian Lage (jazz), Matteo Mancuso (fusion), ad esempio – che hanno fantastici canali su YouTube.
Inoltre, la chitarra elettrica sta entrando nel mondo accademico. Sono stato coinvolto in diverse tesi di dottorato – la mia musica è stata utilizzata come esempio e sono stato intervistato per progetti di ricerca musicologica. Negli anni Sessanta e Settanta questo non sarebbe mai accaduto. Un cambiamento interessante.
Anche la musica classica contemporanea ha iniziato a usare parecchio la chitarra elettrica. Il che è fantastico, perché ci sono tantissimi suoni straordinari disponibili da questo strumento, rappresentando una grande risorsa per ogni compositore. Penso che la chitarra elettrica continuerà a evolversi, ma non scomparirà presto!
Come ti relazioni col fatto che i giovani stiano vivendo questa fase strana, per quanto riguarda la musica? Prima il rock avvicinava i giovani a molti generi musicali diversi tra loro. Io stesso, attraverso il rock, mi sono appassionato alla musica classica, all’elettronica, al jazz. Ora, con la trap, sembra molto difficile che ciò possa continuare ad accadere…
Sinceramente, non sono sicuro di come i giovani musicisti scoprano generi diversi. Con Internet e YouTube è COSÌ FACILE accedere a qualsiasi cosa, ma c’è COSÌ tanto materiale che deve essere difficile sapere dove o come iniziare. E gli algoritmi possono indirizzarti in una direzione o in un’altra, il che può essere sia positivo che negativo. La radio commerciale sembra più standardizzata e omogeneizzata, quindi è meno probabile che ti porti verso un altro tipo di musica. Tuttavia, la radio commerciale è molto meno influente di un tempo, quindi c’è ancora spazio per la scoperta. Dovremmo forse riporre la nostra speranza nella curiosità di base e nell’immaginazione dei musicisti? L’impulso di fare musica e di provare nuove cose sembra essere piuttosto forte negli esseri umani (se guardiamo alla storia), con un po’ di fortuna sopravviverà ed evolverà. Hai mai avuto la tentazione di fare musica con i software? Scrivi musica che spesso viene eseguita da altri per le tue composizioni. Con i software di oggi, armato di pazienza, potresti fare tutto in maniera autonoma.
Come ti dicevo, utilizzo software per comporre (software di notazione) e software per la registrazione e l’editing audio. Sono strumenti fantastici e, se sei un compositore attivo nel 2024 (e già da prima…), hai davvero bisogno di questi strumenti: è semplicemente il modo in cui funziona questa professione oggi. Ma la musica puramente “elettronica/musica elettroacustica” non è qualcosa che ho mai desiderato realmente fare. Spesso suona benissimo, sicuramente. Ma a me piace davvero la parte fisica del fare musica – suonare uno strumento, provare con altri musicisti, vedere quanto bene possiamo suonare un determinato pezzo, l’interazione sul palco durante un concerto, il suono della musica nello spazio fisico della sala. Non si ottiene questo con la musica puramente elettronica, e mi mancherebbe.
Quali sono, secondo te, le sfide principali per i giovani compositori nel panorama musicale attuale? Pensi che abbiano ancora bisogno di una solida formazione accademica o credi che le opportunità offerte dalla tecnologia e dalla sperimentazione siano sufficienti per creare una carriera interessante e, in qualche modo, autentica?
Ogni generazione di giovani compositori affronta sfide diverse. Quando ho iniziato 44 anni fa, era sicuramente un mondo molto diverso. Ma in qualche modo ho trovato un modo per fare musica e guadagnare qualcosa facendolo. Una formazione accademica è utile solo se ti aiuta a crescere come musicista. Il pezzo di carta (il diploma di musica) non fa di te un compositore. Scrivere musica ti rende un compositore. Gli studi accademici possono essere un modo efficace per imparare molto sulla musica, ma non sono l’unico modo: ogni artista ha il proprio percorso. Conosco alcuni compositori che hanno una formazione accademica minima e sono ottimi compositori (ma, a essere onesti, è raro).
La questione della carriera è ancora più complessa. Dipende da tantissimi fattori: talento, determinazione, immaginazione, abilità interpersonali, capacità organizzative, duro lavoro, capacità di rispettare le scadenze, capacità di promuoversi e, la più grande, la fortuna (non dimenticarla!). Dopo 44 anni posso solo dire: mi piace la maggior parte della musica che ho scritto, riflette chi sono, e alcuni pezzi sono davvero, davvero buoni. Ho prodotto molti progetti diversi (concerti, CD, festival, video) che penso siano davvero ben fatti. Ho sempre trattato i miei colleghi artisti con rispetto e amicizia e ho avuto un impatto misurabile nella comunità musicale. Ho lavorato con una vasta gamma di artisti locali e internazionali – orchestre, musicisti jazz, musicisti da camera, studenti e musicisti amatoriali. Sono riuscito a guadagnarmi da vivere con un tenore di vita da classe media occidentale. Forse anche questa può essere considerata una carriera.
Il mio consiglio molto, molto semplice per avere una sorta di carriera: fai il tuo lavoro, non essere in ritardo e cerca di non essere una seccatura!
Daniel D`Amico for SANREMO.FM