Uno degli aspetti più interessanti della postmodernità è la tendenza all’esteriorizzazione dell’inconscio, che porta alla luce – persino con un certo compiacimento – il cosiddetto Unheimlich, aggettivo sostantivato che rimanda al contrario semantico di tutto ciò che è “casa, familiarità”, nonché titolo del celebre saggio di Sigmund Freud.
Il cosiddetto Perturbante ci strizza l’occhio: nel disturbarci, ci attrae inesorabilmente. Ne aveva parlato anche Mark Fisher, in The Weird and the Eerie, interrogandosi sulle modalità attraverso le quali fosse cambiato l’immaginario estetico, culturale e comunicativo della società contemporanea, e i meccanismi attraverso i quali nuovi linguaggi e nuove visioni avessero abbracciato un paradigma in cui attrazione e repulsione non erano più necessariamente degli opposti: «Il fascino di weird e eerie non è sintetizzabile nell’idea che “ricaviamo piacere da ciò che ci spaventa”. Ha piuttosto a che vedere con l’attrazione per l’esterno, per ciò che sta al di là della percezione, della conoscenza e dell’esperienza comune».
Nel mondo della musica, questo fenomeno è stato particolarmente sdoganato – soprattutto a partire dagli anni ’80-’90 – attraverso la realizzazione di videoclip in cui l’obiettivo deliberato era quello di provocare ciò che potremmo definire uno “spavento seducente”: immagini e situazioni volutamente sconvolgenti, eppure eccitanti (fisiologicamente, per l’automatica accelerazione del battito cardiaco; psicologicamente, per la cosiddetta sensazione di “pericolo controllato”). Halloween stesso, al netto delle carnevalate che si porta dietro, ci ricorda quanto in realtà ci piaccia sperimentare un intenso e fugace brivido di paura, o anche di semplice inquietudine: perché siamo attratti dall’ambiguità e dall’ignoto, perché è una catarsi, perché ogni tanto ci si diverte a profanare la piattaforma valoriale comunemente accettata e accettabile, e in definitiva perché è un’evasione dalla realtà bella e buona. Per questo motivo, ci è parso doveroso provare a stilare un elenco dei video più spaventosi, inquietanti e sinistri della storia della musica.
Nota di metodo: abbiamo evitato di attingere all’immaginario Metal e Goth, oltre che al repertorio di operazioni spudoratamente Halloween/Horror-related, perché ci sembrava una ricognizione fin troppo facile; abbiamo provato a capire invece quando e come il perturbante è diventato mainstream.
Si parla di un elenco dichiaratamente non esaustivo, perché una classifica vera e propria ci pare francamente impossibile: l’inquietudine, lo sconcerto, i meccanismi di attrazione/repulsione sono concetti troppo soggettivi; vale però la pena di indagare quali siano state le band e le canzoni che hanno maggiormente giocato con le nostre fobie e/o titillato il nostro immaginario più recondito. Siete pronti a farvi sbloccare un po’ di ricordi (e di incubi)?
The Cure, Lullaby – 1989
Partiamo dalle basi: l’estetica dei Cure è notoriamente intrisa delle seducenti inquietudini di cui in premessa, e in questo video c’è tutto quello che si possa chiedere a un videoclip soft-horror. Una minacciosa banda in divisa militare scandisce il ritmo di un incubo a occhi aperti, mentre una ragnatela avvolge inesorabilmente l’inerme frontman, pronto a diventare la cena di una creatura infernale. Tim Pope, che ha diretto tantissimi altri videoclip dei Cure, sostiene di essersi liberamente ispirato a L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski. Robert Smith ha rivelato che il brano (e il video) sarebbero legati a un ricordo di infanzia: «Da bambino facevo un incubo ricorrente: andavo a letto, mi addormentavo e venivo mangiato da un ragno gigante. Per me la ninna nanna ha sempre avuto un significato sinistro, come se volesse dire: dormi bene, o non ti sveglierai mai più».
Marilyn Manson, Sweet Dreams – 1995
Il personaggio oggi è considerato risibile, ma chi c’era nel 1995 ricorda bene quella buona dose di sgomento che destò in principio l’estetica di una band destinata a portare nel mondo mainstream, per un po’ di anni a venire, messaggi di un’inaudita e autocompiaciuta violenza, talmente estremizzata dal perdere via via ogni coefficiente di asserita “immoralità” e finire col risultare quasi caricaturale. La cover del brano iconico degli Eurythmics resta una delle cose più spaventose che abbiano raggiunto il disco di platino nella storia del rock. Non è l’unico video disturbante di Brian Hugh Warner e soci (impossibile non citare, tra i tanti, anche The Beautiful People, diretto da Floria Sigismondi), ma questo ci pare il giusto volano di una carriera votata, almeno inizialmente, al terrifico.
Smashing Pumpkins, Ava Adore – 1998
Con la regia degli iconici Dom And Nic, che ritroveremo ancora in questa lista, il primo singolo estratto da Adore parte col botto: Billy Corgan diventa una specie di Nosferatu del terzo millennio, che ci guida in un tour panoramico alla scoperta di una clinica psichiatrica degli orrori, per poi passare a una serie di set gotici a cavallo tra le epoche (dove a un certo punto compare anche un’orgia pompeiana) e concludersi in un cinema, dove l’omaggio alle pellicole horror anni ’20 diventa ancora più palese. Un long-shot di sublimi alternanze tra fast e slow motion, che contribuiscono a innalzare il climax emotivo di uno dei video più glamour dei tardi anni ’90 (merito anche di trucco e costumi), non a caso vincitore dei MTV Fashion Award (in un post dedicato il nostro approfondimento)..
Soundgarden, Black Hole Sun – 1994
Siamo abbastanza certi che chi c’era quando è uscito questo video, ricorderà perfettamente dov’era e cosa stava facendo quando l’ha visto per la prima volta. È senza dubbio uno dei videoclip più memorabili degli anni ’90, un’autentica icona della sua epoca. Merito non solo della bellezza assoluta del brano, su cui non occorre dilungarsi oltre, ma anche di un’estetica surreale, grottesca, disturbante, capace di deformare l’ordinario per mostrarne le crepe, le mostruosità, l’assurdo e la disperazione.
E se nella narrazione contemporanea una Barbie con le Birkenstock è sufficiente a sfidare le regole del patriarcato, vien quasi da rimpiangere la bambina schiumante di gelato che la sua Barbie preferiva arrostirla sul barbecue in giardino. Diretto da Howard Greenhalgh, è stato premiato come Miglior video metal/hard rock agli MTV Video Music Awards del 1994.
Nirvana, Heart-Shaped Box – 1993
Un’altra opera visiva impressa in maniera indelebile nel nostro immaginario. Diretto da un Anton Corbijn quasi “pasoliniano” (difficile non ritrovare nella scena della crocifissione e in quei colori così vividi, la suggestione di certi indimenticabili frame de La Ricotta), è un video denso di simbolismo macabro, in cui risuonano costantemente messaggi di amore e morte. Un video per molti versi tristemente premonitore, e per questo ancora più angosciante e sinistro, in cui la fragilità, la desolazione e la solitudine che riecheggiano in ogni sequenza e in ogni nota, diventano uno spettacolo lugubre e poetico assieme (in un post dedicato il nostro approfondimento).
The Chemical Brothers, Hey Boy Hey Girl – 1999
Riecco i già citati Dom & Nic, che qui hanno realizzato uno dei loro capolavori assoluti. Con un’eccezionale sintesi narrativa, si dipana la storia di un abuso e di un trauma, e di come tutto questo si traduce in una nuova visione di sé stessi e del mondo. Un racconto horror minimalista, senza carne e sangue: solo ossa e dancefloor. Un perturbante quasi ludico, con una memorabile scena di sesso tra due scheletri (sorprendentemente censurata in alcune versioni) e un cameo degli stessi Chemical Brothers (in un post dedicato il nostro approfondimento)..
The Prodigy, Breathe – 1996
Chi non ha rivisto in un qualche incubo l’immagine di Keith Flint con i capelli verdi a forma di corna? Un po’ Jocker, un po’ demone elettronico, immortalato da Walter Stern assieme all’altrettanto inquietante sodale Maxim, in un tutt’altro che pacato duetto attraverso una crepa nel muro, con il consueto amabile corredo di scarichi ostruiti da liquami sospetti, blatte, serpenti, lombrichi e coccodrilli. Best Video agli MTV Europe Music Awards del 1997.
David Bowie, Little Wonder – 1997
Qui ritroviamo la già citata Floria Sigismondi, stavolta accanto al perturbatore per antonomasia, David Bowie, assieme al quale riesce a dar vita a una vera e propria opera d’arte, che non a caso è parte della collezione permanente del MOMA. Un concentrato di suggestioni lynchiane e baconiane, ma anche di auto-citazioni, con il personaggio di Ziggy Stardust che fa capolino tra un frame e l’altro, in quella che sembra la gita terrestre di un alieno, in mezzo ad esseri mostruosi che di umano hanno ben poco. L’incubo sofisticatissimo di un uomo caduto sulla Terra (in un post dedicato il nostro approfondimento).
Nine Inch Nails, Closer – 1994
Diretto da Mark Romanek, è una delle sue opere più controverse, oltre che uno dei video più iconici dei NIN. Tutto comincia con un cuore pulsante, alimentato artificialmente da tubicini e cavi, con un sinistro sibilo industriale; poi l’ambientazione si apre per rivelare uno scantinato horror, infestato da scheletri, candele consumate e blatte gigantesche. Trent Reznor canta in penombra da un microfono che richiama la silhouette di un capezzolo, mentre compaiono fotogrammi sempre più inquietanti che si susseguono in un crescendo d’orrore (tra questi anche una scimmia crocefissa e una testa di maiale, quest’ultimo un omaggio a Man Ray), fino ad alcuni frame che raffigurano Reznor sospeso e mascherato, mentre mima una pratica BDSM, o in piedi con alle spalle due costate di manzo che imitano le ali di un angelo (un tributo al pittore Francis Bacon).
Elencare tutti i dettagli che rendono questo videoclip uno dei più torbidi della storia della musica è impossibile, quello che però vale la piena di sottolineare è la capacità di dosare mostruosità e riferimenti sessuali, con il risultato di disgustarci ed eccitarci nello stesso momento. La quintessenza del perturbante è tutta qui.
Aphex Twin, Come To Daddy – 1997
A differenza di molti dei video fin qui citati, che si limitano ad attivare sensazioni di angoscia, disgusto, turbamento o ansia, questo video è un horror fatto e finito, a firma di Chris Cunningham – grandissimo esperto di effetti speciali. Un gruppo di mini-drughi, tutti con le inquietantissime sembianze di Richard D James, si diletta in scorribande varie ed eventuali in un sobborgo post-apocalittico, mentre da un televisore esce una creatura infernale che se la prende con una povera vecchietta. Tutto è straordinariamente demoniaco e realistico, grazie all’utilizzo di maschere di silicone in luogo di effetti digitali, mentre a contribuire al terrore sono i versi ricorrenti: ‘Come to Daddy’ e ‘I want your soul’, tratte dal film del 1987 Hellraiser. Da non dormirci la notte (in un post dedicato il nostro approfondimento)..
Bonus
Restando sul tema “weird” e “eerie”, impossibile non segnalare una manciata di chicche ulteriori. Anzitutto, i mostriciattoli a dir poco inquietanti di Sober (Tool, 1993 – regia di Fred Stuhr)
Per non parlare di Nick Cave mandato in trance da un mentalista in Loverman (Nick Cave and Bad Seeds, 1994 – regia di John Hillcoat)
E ancora: PJ Harvey in mutande che fa le facce da pazza in maniera sublime in Man-Size (1993, regia di Maria Mochnacz)
Chiudiamo con un gioiellino d’animazione diretto nientemeno che da David Lynch, il quale, com’è noto, è capace di far rientrare a pieno diritto nel perturbante post-moderno qualunque cosa faccia. Il brano è Shot In The Back Of The Head di Moby, l’anno il 2009. E dagli universi paralleli e un (bel) po’ creepy è tutto!
Antonio Santini for SANREMO.FM