Se conoscete i Geese, sapete anche la storia di come si sono formati: durante la pandemia un gruppo di compagni di scuola di Brooklyn registra un album per fare un’ultima cosa tutti assieme prima di partire per il college; la Partisan Records (l’etichetta di Idles e Fontaines D.C.) li mette sotto contratto e nel 2021 pubblica il loro primo LP Projector; i ragazzi vengono salutati come gli ultimi salvatori del rock newyorkese, girano il mondo, vanno in tv, generano un certo fermento nell’ambiente con una serie di concerti al SXSW nel 2022. È una bella storia di successo indie, ma è anche un successo con cui fare i conti quando si arriva al secondo album, soprattutto se a inciderlo sono dei ragazzi che hanno a malapena l’età per bere alcolici ai propri concerti.
Nel disco d’esordio, i Geese avevano dimostrato di conoscere perfettamente la storia del rock newyorkese, dai Television alla no wave fino agli Strokes, una cosa non scontata per ragazzi della loro età. Si capiva pure che avevano un orizzonte più ampio, un po’ alla Radiohead. Con 3D Country la band fa le cose in grande e dichiara le proprie ambizioni epiche già con 2122, pezzo dalla magnificenza neo-prog da stadio. Il sound ricorda tante cose diverse, dai Parquet Courts a King Krule, passando per Let It Bleed e i Deep Purple, fino agli spaghetti western. Se Projector faceva pensare a una band che aveva studiato a fondo i Gang of Four e gli altri classici art punk, qui i Geese suonano come se avessero sviscerato altrettanto bene il repertorio anni ’70 degli Steely Dan con bonghi, synth, archi e cori tenuti molto alti nel mix.
Il produttore James Ford (Arctic Monkeys, Depeche Mode, Shame) li aiuta a incanalare tutto ciò in musica che una ventina d’anni fa avremmo definito radio friendly. Non tutti gli esperimenti massimalisti dei Geese riescono alla perfezione, a volte risultano disordinati, certi cori densi indeboliscono la parte musicale e ricordano più i gruppi vocali glee club che Merry Clayton. Ma nella maggior parte dei casi le svolte brusche che i Geese imprimono alla loro musica portano a qualcosa di buono.
Cameron Winter è un cantante brillante. Che ricorra al falsetto come in I See Myself, che passi da un gridolino al parlato e al canto nasale come nel pezzone Mysterious Love, o che sfoderi una versione più energica del crooning alla Alex Turner come nella title track, riesce sempre ad adattare la performance vocale al contesto del testo o alla stile musicale del pezzo. E lo tiene lontano, fortunatamente, dal trend del recitar-cantando che imperversa nell’indie, vedi i casi di Black Country, New Road e Dry Cleaning.
In Cowboy Nudes Winter canticchia che “vorrei che la fine fosse arrivata un po’ prima, cercavamo una chance per restare soli”, mentre il gruppo trasforma un pezzo indie rock orecchiabile di meno di tre minuti in una sorta di jam compatta e molto newyorchese che ricorda i Talking Heads, i Rapture o gli ultimi Parquet Courts. Uno dei pezzi forti è Undoer, dura sette minuti e dimostra che i Geese sono una potenza anche quando si lasciano andare, fermandosi e ripartendo con imprevedibili scatti rock-blues prima di chiudere prendendoci in contropiede con una bomba hardcore che sembra una B-side dei Jeromes Dream.
Con 3D Country, i Geese hanno non solo evitato la proverbiale crisi del secondo album, ma hanno pure inciso uno dei migliori dischi di rock newyorkese degli ultimi anni, stravolgendo sonorità che conoscevamo in modi che solo tipi come loro potevano immaginare.
Da Rolling Stone US.