Se il talento musicale sia conseguenza di predisposizione genetica o frutto di un ambiente familiare e sociale particolarmente favorevole, è ancora tutto da stabilire. Di certo, in un caso o nell’altro, a Fabiana Palladino non ha per nulla guastato essere portatrice del DNA di una cantante – nel suo caso quello di Marilyn Roberts, negli anni ’80 backing vocalists per Jools Holland e Paul Young. E poi c’è, da parte di padre, l’ombra lunga di un famoso bassista dall’inconfondibile stile (e dall’inequivocabile origine italiana) chiamato Pino. A buon intenditore, poche parole. E con queste premesse che ci si accinge ad fare la conoscenza di questa giovane londinese al suo debutto sulla lunga distanza con un album di canzoni pop soul di fattura ben superiore alla media corrente.
Prodotto da Jai Paul – anche fondatore assieme al fratello A.K. dell’etichetta Paul Institute per la quale l’album arriva sul mercato – in tandem con la stessa Fabiana, questo debutto arriva dopo la pubblicazione di una manciata di singoli che nel corso degli ultimi anni sono riusciti a catturare l’attenzione degli addetti ai lavoro ma anche del pubblico più curioso e che hanno anche permesso alla cantante e polistrumentista di intraprendere una formativa attività di musicista di studio per connazionali quali Jessie Ware, Sampha,The Maccabees e SBTRKT. A dimostrazione di quanto pazienza, costanza e dedizione alla fine regalino solo buoni frutti. In questa nostra intervista abbiamo parlato con lei di questo ed altro ancora.
Innanzitutto vorrei menzionare subito quello che definirei “l’elefante nella stanza” di questa conversazione. Che tipo di ruolo ha giocato la figura di tuo padre nella tua formazione musicale e più specificamente nella tua decisione di diventare musicista professionista?
Ha avuto un importanza enorme. Sono stata circondata dalla musica fin dalla più tenera età, crescendo in una casa in cui la musica costituiva un elemento essenziale. Ascoltando musica in continuazione e venendo a conoscenza degli artisti e le band con cui lavorava. Io, mio fratello e mia sorella siamo stati molto fortunati, abbiamo avuto accesso a molti strumenti musicali e siamo stati incoraggiati ad imparare a suonarli. Ma sempre in maniera divertente. Non è mai stato presentato come un percorso professionale ma piuttosto come una attività creativa. Per cui posso dire che lui sia stato molto importante, è la ragione per cui amo la musica. In termini di carriera, mi ha incoraggiato, ma è stato principalmente qualcosa che ho voluto io. Ho deciso tardivamente che era qualcosa che volevo fare e anche se è stato sempre di incoraggiamento, ha anche chiarito che sarebbe stato un percorso molto difficile da intraprendere.
Vorrei chiederti qualcosa a proposito dei molteplici talenti di cui sei dotata. Sei cantante, autrice, polistrumentista e produttrice. Quale di questi è quello che si è sviluppato prima nel tuo viaggio musicale?
Suonare uno strumento è stato il mio primo approccio alla musica. Ho imparato a suonare il pianoforte in tenera età, poi la batteria. Mio papà mi ha insegnato un po’ a suonare il basso. Eravamo circondati da strumenti musicali. Sarebbe stato uno spreco non provare ad imparare a suonarli tutti. E amo veramente molto suonare. Ma quello che preferisco ancora di più e lo scrivere canzoni. Ad un certo punto ho deciso che quello sarebbe sto l’aspetto sul quale mi sarei concentrata di più.
E a quel punto quale era il songwriter da cui hai preso più ispirazione?
La musica che ho amato durante la mia prima giovinezza era la musica soul. Quella di Stevie Wonder e Aretha Franklin e artisti di quel genere. Più tardi i miei punti di riferimento sono diventati Kate Bush e David Bowie e altri di area britannica e di una certa era. In particolare Kate Bush mi ha entusiasmato a tal punto da motivarmi a provare a cimentarmi in quel campo.
In seguito sei diventata una vera e propria musicista da studio collaborando con molteplici artisti. Come sei arrivata ad inziare questa attività?
Si e cosi che ho iniziato professionalmente, e in un certo senso ci sono cascata dentro. A tempi dei miei studi a Londra oltre ad incontrare gente avevo cominciato a presentare la mia musica su MySpace e Soundcloud ed è da qui che è cominciato tutto. Non è mai stato uno sforzo consapevole quello di diventare session musician. È semplicemente successo ed è stato fantastico. Avrei potuto continuare a farlo, ma come ho detto, il songwriting era quello che mi interessava veramente. Ad un certo punto ho capito che volevo essere io “l’artista”. Sono arrivata a quella decisione, anche se a volte sento che mi manca. È bello poter sostenere altri artisti, tirare fuori il meglio dalla loro musica.
In un certo senso ti consente anche di liberarti da una certa pressione, vero?
Si, decisamente. Non ero io al centro dell’attenzione. Io ero dietro le quinte, in un ruolo di supporto. E mi sono divertita molto.
Vorrei sapere qualcosa a proposito del tuo incontro con i fratelli Jai e A.K. Paul e come hai cominciato a collaborare con loro.
Jai mi ha raggiunto senza che me lo aspettassi per posta elettronica, attraverso una conoscenza comune. Conoscevo già la loro musica e lui aveva ascoltato le mie canzoni online. Era alla ricerca di una cantante nel periodo in cui lui e suo fratello erano in procinto di fondare quella che è diventata l’etichetta Paul Institute. La tempistica si è rivelata perfetta perche quello era anche il periodo in cui stavo cercando aiuto per riuscire a sviluppare e pubblicare la mia musica, e quello era proprio quello che anche loro stavano cercando di fare, aiutare nuovi artisti a venire fuori.
Che è anche una cosa piuttosto rara di questi tempi, non è vero?
Si, assolutamente. Perche è una collaborazione in cui l’attenzione è incentrata sull’artista. Su quello che sto di realizzare e di esprimere io, e non loro in quanto label.
Nel corso degli ultimi sei anni circa hai pubblicato alcuni singoli che definirei “di basso profilo”, ora però arriva finalmente il tuo album di debutto. Ci racconteresti qualcosa a proposito della sua realizzazione?
È stato realizzato attraverso un lungo lasso di tempo. Ho iniziato intorno al 2019. Proprio quando le cose stavano cominciando a concretizzarsi, nel 2020 la pandemia ha impedito di proseguire rendendo la lavorazione praticamente una attività che ho svolto in maniera solitaria. Per questo ci sono voluti alcuni anni, e questo senso di isolamento in un certo senso è diventato anche il tema del disco. Il mondo moderno rende possibile la costante connesione tra le persone attraverso internet ed i social media ed allo stesso tempo ci fa sentire scollegati uno con l’altro. E l’amore può essere anche incluso in questo contesto. Musicalmente contiene tutte le mie influenze, la musica che ho amato crescendo e quello che amo ancora. I miei punti di riferimento del passato rappresentati da elementi retrò che però mi piace mischiare con la modernità della produzione. Jai ha prodotto con me il tutto, che nelle sue fasi finali è diventato di nuovo un lavoro collaborativo.
In una delle cartelle stampa che mi è capitato di leggere a tuo riguardo, tu menzionavi l’influenza del sound dell’era dei grandi studi di registrazione. È qualcosa che credo di aver notato ascoltando i tuoi singoli; Stay With Me Through The Night in particolare. Ci racconti qualcosa a proposito di questa tua ispirazione?
Sono contenta che l’abbia notato, perche è proprio quello che ho cercato di ricreare. Inizialmente le canzoni erano state registrate in maniera casalinga, molto “fai-da-te”. Mi piaceva ugualmente, volevo fare musica di quel tipo ma quando si è trattato di produrle per l’album ho cominciato a guardare ai dischi che apprezzo. Dischi realizzati in studi di registrazione incredibili da musicisti e tecnici eccezionali con mestiere e cura quasi artigianale. Il che succede ancora oggi in un certo senso, ma sta diventando sempre piú una rarità. Con questo non voglio sminuire il modo in cui la musica viene prodotta oggigiorno, perche ha reso le cose più accessibili. Cosi non avendo il budget ed il tempo a disposizione in studio di registrazione di quelle grandi produzioni, ho voluto provare ad emulare il più possibile almeno quel tipo di sound, rendendogli omaggio, e che credo si adatti bene a quel tipo di canzoni, che ho scritto in maniera tradizionale. Allo stesso tempo abbiamo cercato comunque di mantenere una certa modernità.
A proposito di “songwriting”, hai mai pensato di scrivere canzoni per altri, sull’esempio di, chessò, Carol King?
Ci ho già pensato in effetti. È qualcosa che ho già cominciato a fare l’anno scorso per un certo progetto, ed è sicuramente qualcosa che voglio fare. Amo scrivere canzoni. La mia è musica abbastanza personale ed autobiografica ma mi piacerebbe accettare la sfida di comporre per altri, usando un approccio completamente diverso. Al momento il vero problema è trovare il tempo per farlo. Inoltre, le collaborazioni possono essere una cosa complicata, bisogna fare i conti con la visione della persona per la quale scrivi. Uno spazio mentale completamente differente dunque, ma una cosa che voglio assolutamente fare un giorno. E l’esempio di Carol King è perfettamente calzante perche è un artista che amo molto.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM