voto
7.0
- Band:
HULDER - Durata: 00:40:26
- Disponibile dal: 09/02/2024
- Etichetta:
- 20 Buck Spin
Streaming non ancora disponibile
Nonostante i pochi anni di attività alle spalle e l’esigua discografia, il nome di questo progetto è piuttosto conosciuto nell’underground black metal, grazie al promettente debutto “Godslastering: Hymns Of A Forlorn Peasantry” e al buon mini che l’ha seguito.
Hulder, al secolo Marliese Beeuwsaert, è il cuore pulsante della band, occupandosi del concept, della scrittura dei brani oltre che di synth e chitarre, coadiuvata alla sezione ritmica dal marito Samuel Osborne (basso) e da Charles Koryn (batteria).
Ciò che ci aveva colpiti nella proposta della biondissima musicista belga-americana era la sua capacità di riprendere riff, sonorità ed atmosfere tipiche del black metal scandinavo anni ‘90, risultando credibile e riuscendo a scrivere brani convincenti, segno di un certo grado di personalità, nonché di sensibilità artistica. Nessuna idea rivoluzionaria – comunque non richiesta – ma pezzi ben scritti, che univano melodie dall’afflato medievale, riff incalzanti e un utilizzo molto old school delle tastiere, capaci di intrecciarsi algide alle trame di chitarra, con alcuni brani capaci di ergersi sopra agli altri, rendendosi memorabili (“From Whence An Ancient Evil Once Reigned”, “Purgations of Bodily Corruptions”, “Upon Frigid Winds”).
Ebbene, con quest’ultima uscita Marliese scombina – parzialmente – le carte in tavola, lasciando da parte il Medio Evo e riducendo di parecchio gli inserimenti di chitarra acustica in favore di composizioni più tirate e cupe, nel complesso più aggressive (a volte è impossibile non pensare alla durezza degli ultimi Arkona di Masha “Scream”), ma anche un filo più anonime.
Che qualcosa fosse cambiato lo si poteva già supporre dalla copertina, che per la prima volta è un semplice dettaglio di un groviglio di radici semi-coperte dal terreno: un’immagine scurissima e dal simbolismo non particolarmente difficile da indovinare, che contrasta visivamente con un passato fatto di paesaggi gotico/bucolici e scatti che ritraevano la musicista in abiti tradizionali o con la classica ‘divisa’ black metal: cappa nera, face-painting, borchie e spadone.
A scanso di equivoci, “Verses In Oath” è un bel disco, che, nonostante gli aggiustamenti stilistici accennati (comprensibili, nell’ottica di non ripetere quanto già fatto) suona indiscutibilmente Hulder; il trademark è riconoscibile nell’utilizzo del doppio registro voce eterea pulita e scream, e nelle tastiere distanti e spiritate, che tanto devono soprattutto ai primissimi Satyricon. “Hearken The End” è senza dubbio l’esempio più riuscito dell’unione di questi elementi, nonché facilmente il brano più riuscito di questa release, forse l’unico veramente capace di stagliarsi sul resto del materiale presentato, grazie ad una vena melodica pagana molto elegante ed efficace.
Il resto dell’album procede sulle coordinate stilistiche tracciate dalla buona “Boughs Ablaze”, posta in apertura dopo la breve e minimale intro dal feeling notturno e boschivo, della quale apprezziamo l’incedere cadenzato e il finale acustico, e di “Vessel Of Suffering”, il primo estratto digitale, tanto più violento quanto più anonimo.
Brani cupi, a tratti davvero tirati (“Cast Into The Well Of Remembrance”), che finiscono per assomigliarsi parecchio tra loro per struttura e soluzioni proposte, complici melodie molto simili di synth. L’esito non è mai negativo, la nostra Hulder sa scrivere e conosce la materia, ma si ha quasi l’impressione di ascoltare una serie di ‘variazioni sul tema’, più o meno riuscite (nella prima categoria mettiamo la breve “Enchanted Steel”, incipit violentissimo e tastiere stregate).
Insomma un disco che si fa ascoltare e che contiene alcuni buoni pezzi, per un’artista che, eliminando alcuni fronzoli – forse giudicati un po’ naif – ha perso qualcosa in termini di ‘magia’ intrinseca e varietà compositiva. Resta un gradino al di sopra della sterminata pletora di imitatori del black sinfonico scandinavo di metà anni ‘90, e non faticherà a trovare estimatori tra i fan irriducibili di questo filone.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM