voto
7.0
- Band:
HASTURIAN VIGIL - Durata: 00:31:57
- Disponibile dal: 02/02/2024
- Etichetta:
- Invictus Productions
Streaming non ancora disponibile
Opera prima per questo oscuro – in tutti i sensi – duo irlandese, che vede tale Cxaathesz occuparsi di testi e musica, ad eccezione delle parti di batteria, lasciate a Shygthoth.
La band, della quale non sappiamo praticamente nulla, sceglie una via che mira ad unire complessità di songwriting ed immediata irruenza sonora, un’operazione difficile – quasi ossimorica – che riesce piuttosto bene, soprattutto ricordando che ci troviamo davanti ad un esordio.
I ragazzi di Cork cercano di trasporre in musica gli orrori ancestrali che il mastermind Cxaathesz ha ideato (o avuto in visione) e messo nero su bianco, un pantheon di creature abissali e di misteri che chiaramente deve tutto ai maestri della letteratura angloamericana dell’horror e del fantastico più oscuro e visionario.
La traduzione su microsolco vede una miscela di metal estremo, rallentamenti doom e colate di heavy metal, con un’attenzione particolare riservata ai riff, e al basso, che viene posto occasionalmente in evidenza. Dal punto di vista stilistico, gli Hasturian Vigil guardano quindi al passato, senza però abbracciare in tutto e per tutto suoni e stilemi di fine anni ‘80/inizio anni ‘90. Le influenze citate dagli stessi componenti abbracciano Mortuary Drape, Absu, Mercyful Fate, Negative Plane e Zemial, ai quali aggiungiamo tranquillamente Vampire e i primi Tribulation, prima della svolta più gotica e ‘patinata’.
Il cocktail prevede dunque ingredienti interessanti, anche se certamente non nuovi: l’esecuzione degli irlandesi è molto buona e i pezzi si rivelano sufficientemente vari e ricchi, al loro interno, di momenti accattivanti. Quello che inficia leggermente il risultato è la lunghezza dei brani, in alcuni casi eccessiva; è il caso dell’opener “Ikaath The Seven Horned”, sicuramente un buon brano, che però perde mordente nel corso dei dieci minuti di lunghezza, tra cambi di tempo e rallentamenti che finiscono per smorzare la tensione, più che crearla.
Migliori sono, in questo senso, i successivi tre brani, nei quali le dosi di black, death ed heavy metal da mescolare nel calderone risultano più bilanciate, ma soprattutto la scrittura è più centrata, tra sfuriate, brevi assoli e ritmiche quasi anthemiche (soprattutto in “Nine Bellowing Hounds”, forse il pezzo più riuscito dell’album).
Nonostante la struttura complessa e i molti elementi in gioco – oltre che tutta una tradizione consolidata di band che compone solo con minutaggi ben oltre i sei minuti – un lavoro più importante di sfrondatura avrebbe potuto giovare non poco a questo dischetto, e questa ridondanza resta la pecca del disco. Al contrario, la cura messa nelle partiture di chitarra, alla quale abbiamo accennato in precedenza, è ciò che fa la differenza e controbilancia le criticità, regalando un’infinità di spunti alle composizioni; in generale, comunque, l’intero lavoro è suonato (e cantato) con perizia tecnica, senza dimenticare una buona dose di spontanea ferocia e un’attitudine che appare sincera e convincente. Probabilmente la produzione avrebbe potuto esaltare maggiormente proprio il lato più abrasivo delle trame sonore, ma comunque il risultato finale è – per quella che appare essere una formazione molto giovane – sicuramente positivo.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM