E’ una storia che si ripete. Ancora una volta, l’interscambio tra i due poli storici (ma non esclusivi) della musica rock continua a dare interessanti frutti. Richard Olson, Patrick Ralla, Paulie Cobra, Joe Harvey-Whyte e il nuovo bassista Paul Milne (sostituisce Samuel Ferman) volgono lo sguardo all’America della West Coast e del jangle-pop con il sempre più personale e vibrante mood tipicamente inglese.
Se “Hollow Heart” aveva consolidato la qualità della scrittura e degli arrangiamenti, “On A Golden Shore” sancisce il definitivo ingresso degli Hanging Stars nell’olimpo della moderna musica cosmic-country made in England, una scena artistica che sembra vivere una nuova giovinezza (abbiamo recentemente parlato dell’ottimo esordio dei Brown Horse, “Reservoir”).
Elegante, definita nei minimi particolari, armonicamente impeccabile, la proposta della band londinese rinnova la magia di quei gruppi, Teenage Funclub e Del Amitri in particolare, ai quali va riconosciuto il merito di aver prima trasformato e poi radicato la cultura americana nella realtà britannica.
Con una dose di ascolti massivi di Byrds e Gram Parsons sulle spalle, gli Hanging Stars si cimentano con l’album più solido e incisivo della propria carriera. Country, psichedelia e jangle-pop fungono da spugna, intercettando e assorbendo una variegata fonte di stimoli e di suggestioni, atte a suggellare un set di canzoni perfette e memorabili. Parte delle registrazioni di “On A Golden Shore” sono state effettuate nei giorni funestati dalla morte di Tom Verlaine, non stupisce dunque che il graffio chitarristico di Patrick Ralla in “Let Me Dream Of You” profumi di “Marquee Moon”. Tutto l’album, in verità, omaggia idoli ed eroi della storia del rock. Ci sono infatti malinconia e rimpianto nelle note della splendida “Sweet Light”, così come ombre e luci si sposano con un elegante piglio jangle-pop che incrocia Go Beetweens e Byrds.
E’ un continuo susseguirsi di brani potenzialmente iconici, quello che anima il nuovo disco dei londinesi, tra fluide ballate in chiave psichedelia/West Coast, ricche di richiami ai Grateful Dead e CSN&Y e che non disdegnano un breve cenno all’Inghilterra dei Beatles (“Happiness Is A Bird”), e incursioni ancor più colte nella tradizione psych e perfino progressive della musica inglese (“Washing Line”).
La sensazione prevalente è che a ognuna delle 11 tracce corrisponda un’elaborata stesura non solo in fase di composizione ma anche di arrangiamento. Le canzoni sembrano frutto di ricche jam session, pian piano spogliate del superfluo, con lo scopo ben preciso di far emergere gli elementi lirici e strumentali più rilevanti. Questo accade senza dubbio nel cosmic-country di “Disbelieving”, o nel memorabile jangle-pop con tanto di sitar di “I Need A Good Day”, che finisce per citare i Love. Ed è proprio dal richiamo alla band di Arthur Lee che prende spunto un’ulteriore riflessione su “On A Golden Shore”: l’inatteso tempo di samba che caratterizza la più solare e leggermente funky “Silver Rings” non può che rimandare ad una delle penne più interessanti della musica inglese, ovvero Michael Head, musicista di Liverpool che dopo aver dato vita a due fantastiche quanto bistrattate band (Pale Fountains, Shack) è balzato recentemente agli onori della critica grazie a una brillante carriera artistica spesa in nome della sopra citata interazione Usa–Uk (Love e Beatles in particolar modo), un riferimento che appare ancor più netto nella title track, un mix di cosmic-country, blues e bossa nova con flauto, slide guitar e piano al seguito.
Banjo, slide e mandolino sono protagonisti della più country “No Way Spell”, ennesima cascata di suoni e armonie a più voci, mentre le giocose atmosfere di organetto e chitarra acustica in stile vaudeville, nonché tipicamente British, di “Raindrop In A Hurricane” spostano il set in un malfamato pub (Kinks dove siete?). La più malinconica “Heart In A Box” esplora un luogo più e oscuro e solitario dell’anima, un viaggio nelle ultime esternazioni di ribellione e di non conformismo della cultura glam e new wave, che alfine giustifica la definizione offerta dal gruppo stesso di questo nuovo album, ovvero il fratellino più oscuro di “Hollow Heart” e anche il più ispirato e solido.
24/03/2024
Antonio Santini for SANREMO.FM