Shoegaze, noise e una cospicua dose di melodie per l’esordio del gruppo di Austin (Texas), Daiistar. Un disco frutto di ben tre anni di lavoro per la band formatasi durante la pandemia e convolata a nozze con l’etichetta Fuzz Club, con Alex Mass dei Black Angels in sala di regia e James Petralli (White Denim) come ingegnere del suono.
Per la band americana “Good Time” è l’occasione per uscire finalmente fuori dall’oscurità che l’ha imprigionata durante il lockdown. Pur esplorando il lato oscuro della psichedelia, la musica dei Daiistar è vibrante, ricca di urgenza, abbastanza contagiosa, nonostante una pur prevedibile familiarità. Ben vengano, dunque, la contaminazione elettronica della disinvolta “Parallel” e il passo più calibrato della splendida Purified”, che nell’omaggiare il dolente feedback dei Jesus & Mary Chain regala al basso il ruolo di primo attore strumentale, con riverberi che entrano nel profondo dell’anima e lasciano un senso di vuoto cullato dalle vellutate e pulsanti note di “Purified”.
I Daiistar avanzano al grido di “Fuck the world, this is our time”, incuranti degli ingombranti richiami ai My Bloody Valentine nell’impetuosa “LMN BB LMN”, ed esibiscono un talento per il giusto refrain con due brani pop-rock-noise di sicuro effetto (“Tracemaker” e “Star Starter”). Non sorprende che i ragazzi di Austin si autodefiniscano una band noise-pop: la componente melodica è sempre presente, tra slanci surf-beat (“Say It To Me”) e synth-pop (“Speed Jesus”) che rendono oltremodo godibile l’album.
Nessuna nuova buona, “Good Time” è un buon punto di partenza per i Daiistar, un disco che non si cela dietro superflue divagazioni sperimentali, dieci canzoni che piaceranno senz’altro ai fan di Brian Jonestown Massacre e affini.
10/02/2024
Daniel D`Amico for SANREMO.FM