C’era una volta la scuola del Folkstudio, spaccato di vita e d’arte trasteverina in cui, come canta De Gregori nella sua “Arlecchino”, “non era importante neanche mangiare, bastava sorridersi, bastava comunicare”. Al pari delle altre scuole cantautorali italiane la posta in gioco era quella di aprire la nostra musicalità, così intrisa delle ragioni vecchie e nuove del belcantismo, a un racconto più essenziale e introspettivo. Nella cantina di Via Garibaldi 58 il lirismo del nostro repertorio popolare incontrava l’autobiografismo del blues: radici che si intrecciavano a radici, spinte verso il fondo da un bisogno inedito di dire “io penso, io ricordo, io sogno, dunque canto”. A leggerle con occhi moderni, le stagioni del Folkstudio appaiono straordinarie non solo per la verità e la personalità delle voci singole, ma per l’afflato corale che le fece riverberare una nell’altra. La confessione individuale si è fatta nei decenni sentimento collettivo.
Non è un caso che il cantautore Giuseppe Moscato, che ha frequentato in prima persona l’epos del Folkstudio e se ne è lasciato accendere fino a farne la passione di una vita, abbia intitolato questo suo nuovo digital album “Generazioni”. Dice lo stesso autore: “E’ un concept di 12 brani dal tono popolare che recupera la mia ‘antica’ esperienza musicale, all’origine della scuola romana dei cantautori che da giovanissimo ho frequentato. Vi racconto una storia come l’ho vissuta, ma anche come l’ho vista vivere: non ero solo a Centocelle, non ero solo a piangere per un amore finito sui ponti della Senna, non ero solo a Trastevere. Abbiamo camminato e navigato dall’Africa alla Sicilia fino in Argentina, tra generazioni che passano dal cielo alla montagna”. Le 12 canzoni dell’album sono bozzetti intensi e toccanti in cui davvero vita vissuta e narrazione corale si fondono in uno spirito solo.
E così mentre “Borgate Romane” ricorda gli accenti severi del Flavio Giurato di “Per futili motivi”, “Damme un nome” e “Stamo Vicini” si riallacciano al Franco Califano più intimista. Altrove non è il romanesco a dare il tono emotivo, ma un uso della memoria appena più esperienziale, a suo agio nelle fila di tanti nomi minori e comunque cari agli appassionati del cantautorato più classico.
Brani come “La nave”, “Il fiore di montagna”, “Avrei viaggiato” fanno rivivere, pur se in un contesto produttivo più artigianale e, nel bene come nel male, figlio di questi tempi, lo spirito di Mimmo Locasciulli, Giorgio Lo Cascio e dei primi album di Edoardo de Angelis, Luigi Grechi, Ernesto Bassignano. Sincerità e urgenza espressiva qui sanno prendere per mano l’ascoltatore e invitarlo al centro del racconto.
12/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM