È possibile che non saranno particolarmente entusiasti dell’associazione, è vero però che la musica proposta dai cero è quanto di più vicino a una favola della buonanotte. Una favola di quelle lunghe, piene di svolte e dettagli, di quelle che sanno conciliare il sonno ma sanno anche tenerti sveglio, se dormire non rientra tra le priorità. Con il suo mood affabile, giocato al contempo su un felpatissimo senso della tensione, il terzetto di Tokyo continua a scrivere affascinanti capitoli di una parabola sospesa tra incanto e concretezza, a rendere semplice il complesso attraverso una facilità esecutiva che unisce jazz, elettronica e rock sotto un unico ombrello. Forti di una forma canzone tanto dolce quanto capace di costanti sorprese, con la quinta installazione, cripticamente intitolata “e o”, i tre dotano la loro ricca palette di soffuse cromie psichedeliche, intensificano il dato notturno della loro arte attraverso una sapiente gestione delle sfumature. Perfettamente bilanciati nel dosare sospensione e pressione, Shohei Takagi e soci danno un’altra lezione di stile.
Come se fossero i protagonisti di un film di Masaaki Yuasa, i tre sanno perfettamente come combinare una forte coerenza estetica con un vibrante gusto per l’inatteso, per il dettaglio sorprendente. Già il loro capolavoro personale “Poly Life Multi Soul” aveva esaltato questo aspetto incanalandolo in armonie pop di lusso, qui il gesto viene ribadito con nuova cura. Col suo ingresso trés Seventies, quasi alla maniera di un Shintaro Sakamoto dal gusto insospettabilmente barocco, “Epigraph” preannuncia l’ottovolante a cui si andrà incontro: in soli tre minuti nasce ballata folk, cresce intermezzo per archi pizzicati e muore scarica rock, un’odissea in miniatura che fila liscia come l’olio, capace di cambiare anche assetto melodico senza mai perdere il suo baricentro. “Nemesis” d’altro canto non gioca tanto con la scrittura, ma è capace di inquadrarla all’interno di cornici concentriche che volta volta ne alterano l’umore, scardinandone l’impostazione nu jazz di base in un astuto espandersi e contrarsi dei contributi elettronici di Yu Arauchi.
“Fuha” attacca come una sorta di bossa nova glitchata, guardando agli esperimenti arty di UA a metà degli anni Zero, complica però la faccenda lasciando esprimere a ruota libera gli “ottoni” in una chiosa che ha molto del Cornelius più puntinista. Con “Cupola” ad avanzare ipotesi bristoliane prima di tramutarsi in culla synthpop per sognatori stralunati, il terzetto mette mano a un immaginifico bouquet compositivo, adattato su misura di menti irrequiete perse a vagare nel cuore della notte.
Si potrebbe andare avanti a volontà. Si potrebbe raccontare il modo in cui il drumming di “Sleepra” riesce allo stesso tempo a muoversi su canoni drum’n’bass ed evocare le sospensioni proprie del dub, oppure si potrebbe sottolineare l’inattesa grinta espressiva che contraddistingue la fusion funky di “Fdf”, quanto di più vicino a un effettivo singolo di lancio l’album abbia da offrire. A ogni angolo i cero aggiustano la visione, propagano una sensazione di meraviglia che non viene mai smorzata dal tocco generalmente attutito delle esecuzioni. Se l’album precedente presentava una vitalità melodica e una baldanza nei colori che ne amplificavano a dismisura il potenziale, nondimeno con “e o” i tre si mostrano maestri del loro linguaggio anche in scala più ridotta, giocando di tinte intermedie come i migliori disegnatori. La notte, sentitamente, ringrazia.
14/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM