voto
7.5
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I Departure Chandelier non pubblicano nuovo materiale molto spesso, ma, quando lo fanno, si può ormai essere certi che i loro sforzi non passeranno inosservati. Dopo il buon successo del debut album “Antichrist Rise to Power”, è il caso di affermare che il gruppo nordamericano (i membri si dividono fra Canada e USA), possieda ormai uno stile piuttosto riconoscibile e, soprattutto, un certo talento a livello compositivo, senz’altro maturato anche grazie alle esperienze in varie altre formazioni (Akitsa e Ash Pool su tutte) particolarmente seguite e rispettate nel circuito black metal underground.
Questo “Satan Soldier Of Fortune” porta avanti il peculiare concept napoleonico da sempre caro alla band, il quale affronta l’argomento prendendo le mosse anche dagli scritti di Nostradamus, il quale profetizzò l’ascesa di Bonaparte, definendolo un anticristo.
Anche sul fronte musicale, è chiaro il legame con il primo full-length, in particolare per l’approccio lo-fi alla produzione, per l’esecuzione impulsiva e per certi richiami stilistici alla vecchia scuola transalpina, compresa la cosiddetta Les Légions Noires, a cui si aggiungono spunti lievemente più ‘moderni’, vedi certi temi trionfali, accostabili al sempre più celebre filone canadese. “Satan…”, in questo senso, non tradisce dunque le aspettative, presentandosi come un album esattamente a metà strada tra velleità epiche e uno spiccato feeling ‘raw’ che a tratti fa da miccia per violente derive punkeggianti.
Se “Antichrist Rise to Power” aveva sfruttato al meglio l’effetto sorpresa, riuscendo tuttavia a confermarsi dotato di una solidità e di una maturità espressiva di tutto rispetto, questa seconda prova ha per forza di cose qualcosa in meno a livello di novità, ma l’ascolto comunque non ne risente. Gli arrangiamenti sono scarni ed essenziali, l’apporto delle tastiere è spesso a dir poco elementare, ciononostante l’impressione è che non vi sia una nota che manchi, né una di troppo: tutto è esattamente al proprio posto in un album che ha anche il pregio di non durare troppo (poco meno di quaranta minuti).
L’opera è un continuum di atmosfere solenni e funeste, proprio come un kolossal ambientato nel periodo su cui si basa il concept. Abili nel trascendere certe correnti stilistiche, i Departure Chandelier alternano la ritmica ripetitiva e claustrofobica del black metal più truce e primitivo a momenti più ariosi o dal mood maestoso, il tutto inframezzato da parentesi in cui la ruvidezza prende il sopravvento e il riffing di chitarra si fa anche gustosamente arcigno e galoppante (vedi le orecchiabilissime “Hard As A Coffin Nail” o “Accipitridae”). In effetti, la prima parte della tracklist pare contenere gli episodi più incisivi e ispirati, tuttavia il calo nella seconda metà non risulta troppo drastico: la title-track, ad esempio, fa del suo meglio nel confermare questo carattere torbido da cui gli autori traggono linfa per somministrare armonie e soluzioni che danzano sulla linea di un’inquietudine costante.
Il secondo full-length del gruppo punta insomma a costruire iterazioni black metal dagli esiti differenti: a volte sospese in un vortice di pura malizia, altre rinchiuse in un’epica malinconia. Su tutto si staglia comunque la suddetta attitudine schietta e senza troppi fronzoli: indipendentemente dalla struttura e dallo spirito del singolo brano, il recupero e la rielaborazione messi in atto dai Departure Chandelier possiedono un’istintività che rende la musica sempre alquanto accattivante.
I riff sono pochi ma azzeccati e la trama appare abilmente percorsa da un filo melodico che lega tutto, sintonizzandosi sulle esigenze di ogni canzone per un risultato complessivo senza dubbio efficace.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM