Che la musica di Deena Abdelwahed sia imbevuta di politica, di desiderio di lotta e denuncia, non è mai stato un mistero. Per la producer tunisina di stanza in Francia si potrebbe piuttosto dire che sono le due facce di un’unica medaglia, i volti di un impegno civico che nel suono e nella sua ricontestualizzazione trovano nuovi significanti. Seguito di un “Khonnar” che già aveva segnato un importante risultato nel riadattamento delle tendenze club ai suoni e alla strumentazione del Nord Africa, “Jbal Rrsas” (trad. “Le montagne di piombo”) ribalta la prospettiva, non si interessa al folklore, ma lo utilizza come ottimo trampolino di lancio per guardare al mondo intero, per assorbire con tutta la voracità del caso i più disparati suoni e tendenze. Era un percorso che già l’Ep “Dhakar”, con il suo pesante carico percussivo, aveva lasciato intuire; qui però si sfodera una raffinata conoscenza dei linguaggi ritmici mondiali, che non esita a tirare in ballo richiami footwork o guardare al fuoco eterno delle danze khaliji, monitorate con grande attenzione emotiva. Il finish? Più seducente e slanciato che mai.
Non che il disco si privi dei torbidi chiaroscuri che hanno caratterizzato la produzione di Abdelwahed, grazie però a organici, strumentale e personale (Khyam Allami; la formidabile Heba Kadry al mastering) opportunamente rinfrescati, la sensazione è quella di un’opera che funge quasi da primo punto di arrivo, epos e atmosfera a costituire un tutt’uno indissolubile. Sono dolore e frustrazione vestite a festa, capaci di tingersi dei colori più scintillanti per un mahraganat d’eccezione: l’apertura “The Key To The Exit” trascina nei festival del Cairo con un gioco di sgranature che dirotta verso una più fluida dimensione post-club. Allo stesso tempo non manca il tono di denuncia. I bassi rombanti di “Each Day”, sottesi allo stentoreo declamare della voce, ben si prestano a sottolineare la mancanza di prospettive, la disillusione che porta all’abbandono delle terre natie, viste con profondo senso di mestizia.
Se l’elemento vocale aiuta a meglio inquadrare i concetti dell’album (l’interiorizzazione del proprio rammarico a offuscare l’ambience desolata di “Complain”; la misoginia e la sorellanza nel footwork globalizzato di “Violence For Free”), anche quando i brani se ne privano, la sostanza ribelle di cui “Jbal Rssas” è composto traspare più vivida che mai. “Six As Oil” sotto questo aspetto è il vero capolavoro della raccolta: l’attacco dabke con il suo carico dolceamaro è solo un pretesto, la maschera che trascina con sé un’idea di melodia prima che cada a metà strada, si dissolva nel vuoto, lasciando soltanto il ricordo di sé, il pulsare di bassi che gorgogliano sottoterra. Traspare ancora meglio l’idea di una musica dalle radici aeree, capace di attecchire nei crocevia culturali più affollati, di trasportare il proprio messaggio di protesta oltre le limitazioni imposte da lingua e contesto. La rivoluzione può passare anche dal ballo.
08/01/2024
Antonio Santini for SANREMO.FM