A due anni da “Time To Die”, Christine Ott torna a pubblicare – sempre per la Gizeh di Richard Knox – un nuovo album solista, dopo essersi dedicata al duo Snowdrops e aver tenuto a battesimo i progetti Theodore Wild Ride e The Cry. Come già accaduto per l’ottimo “Chimères (pour ondes Martenot)” del 2020, la compositrice francese si affida a un unico strumento per redigere il suo quinto lavoro, scegliendo questa volta la voce dell’amato pianoforte, attraverso cui da giovanissima evadeva dalla realtà per perdersi in un immaginario privo di confini.
Non la magia cosmica sprigionata dalle risonanze dell’apparecchio elettrofono di cui è virtuosa interprete, ma un paesaggio interamente acustico permeato da una imprescindibile impronta classica è il territorio entro il quale nascono e si sviluppano le dodici composizioni qui raccolte, molte risalenti agli anni passati e alcune anticipatrici di lavori futuri. I temi sono quelli ricorrenti nella produzione della brillante polistrumentista, dall’emergenza climatica, che permea l’elegante danza di note dell’iniziale “Pluie d’arbres”, all’amore per il cinema, nuovamente dichiarato nella citazione hitchcockiana contenuta nel titolo e nelle misurate dissonanze di “Vertigo”.
Il fil rouge che unisce la vena romantica di “Lunes orientales” alle sequenze torrenziali di “Golden Valley” – a tratti accostabili alla continuous music di Lubomyr Melnyk – è la grazia di una scrittura il cui portato emozionale viene restituito intatto da un talento esecutivo raro. Certamente il risultato è meno impattante rispetto alle navigazioni siderali guidate dalle onde Martenot e alla ricchezza cromatica delle opere corali, ma nel suo insieme ribadisce l’alta qualità di una produzione musicale mai banale, neanche quando si formalizza seguendo orizzonti meno inclini alla sperimentazione.
01/12/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM