voto
7.0
- Band:
CHAPEL OF DISEASE - Durata: 00:40:00
- Disponibile dal: 09/02/2024
- Etichetta:
- Ván Records
Streaming non ancora disponibile
Tanta curiosità e istintività in “Echoes Of Light”, quarto album dei Chapel Of Disease. La line-up della band tedesca si è completamente sfaldata al termine del confezionamento di questo lavoro, lasciando il solo chitarrista/cantante Laurent Teubl a reggere il timone d’ora in avanti, ma quanto offerto in questa sede dalla formazione dovrebbe comunque riuscire a destare l’interesse di coloro che avevano apprezzato il fortunato “…and As We Have Seen the Storm, We Have Embraced the Eye”.
Non è ormai più un mistero che, con il passare del tempo, la furia ferina di marca death metal dei primi lavori del gruppo teutonico si sia via via stemperata nella creazione di trame più dilatate e ricercate, una scelta che quasi ci porta a definire i Chapel Of Disease di oggi come una strana creatura dedita ad un heavy metal oscuro nel senso più ampio del termine. Dopo avere aperto a soluzioni di indubbia matrice rock sul disco precedente, con certe progressioni armoniche che hanno persino fatto pensare a un’influenza dei Dire Straits, Teubl amplia ulteriormente la sua esplorazione verso registri più ariosi con “Echoes…”, introducendo più voce pulita e una certa sensualità barocca che talvolta reca in sé anche il sapore e la luce di ambientazioni bucoliche.
Una cifra stilistica che quindi conferma l’allontanamento dal death metal degli esordi, ma che, al tempo stesso, non si riduce a mera ricerca di una più spiccata orecchiabilità o alla composizione di musica facilona. Certo, un pezzo come “Selenophile” sa quasi di death’n’roll sulla scia dei Gorefest di “Chapter 13”, ma nella tracklist troviamo anche un brano dalla formula vicina a una sorta di semi-ballad come “Shallow Nights”, il quale opta per una consistenza eterea che poco ha a che vedere con il concetto di hit, con i suoi arpeggi attorno a cui si stratifica lentamente tutto un mondo in miniatura di sfumature e sospensioni di note, prima di una lunga deriva strumentale dove nell’assolo torna a farsi sentire la nuova anima rock del gruppo.
“Echoes…” procede per strappi e contrasti, alternando registri anche assai diversi fra loro, quasi a voler sottolineare più che mai quella libertà di cui ora gode il frontman. Se una traccia come la succitata “Selenophile” non introduce niente di particolarmente clamoroso, bisogna riconoscere che con canzoni come la title-track e “A Death Though No Loss” il songwriting risulta decisamente più a fuoco, con trame che riprendono il fortunato discorso heavy/melodic death arrembante di “…and As We Have Seen the Storm…” e che da semplici bozzetti diventano via via sempre più strutturate, aggiungendo echi di Tiamat e Tribulation ed assumendo sostanza poetica, spesso anche toccante per la limpidezza della modalità espressiva.
Si avverte come ogni brano sia stato concepito inizialmente in solitaria e poi interpretato e registrato da una band al completo. Una produzione organica e attenta a sottolineare la spontaneità della musica avvolge e rende uniforme la tracklist, ma, da un punto di vista prettamente compositivo, la raccolta appare un filo sbilanciata, con i primi due brani sullo stesso livello del repertorio del disco precedente – fragili e forti allo stesso tempo, opera di un musicista che continua su una strada fatta di sincerità e rigore – e il resto più altalenante nei risultati, con una quadra che viene raggiunta solo a tratti.
L’idea è insomma quella di trovarsi al cospetto di un classico album di transizione, sul quale sembrano avere influito le suggestioni derivanti da una gestazione un po’ macchinosa. In ogni caso, resta la certezza di avere a che fare con un realtà poco convenzionale, capace di stupire, almeno un po’, a ogni appuntamento. Vedremo dove Teubl saprà condurla da qui in poi.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM