Il suono dopo il Muro
Nel novembre del 1989, lo stesso mese della caduta del Muro di Berlino, Mark Ernestus inaugura Hard Wax, un negozio di dischi nel quartiere Kreuzberg della capitale tedesca, destinato a diventare un crocevia fondamentale per la musica elettronica. È in questo contesto che, nel 1993, mentre la città ancora viveva i fantasmi della sua scissione, il cammino di Ernestus incrocia quello di Moritz von Oswald, polistrumentista figlio d’arte (il padre pianista classico, il fratello chitarrista jazz), con una formazione che spazia dalle percussioni all’opera. Nasce Basic Channel, un nucleo mutevole di pseudonimi, ma soprattutto un’ossatura concettuale su cui edificare un ecosistema che abbraccia produzione, sound engineering e distribuzione.
Tra i due nasce un’intesa prima di tutto umana: sono personalità schive, avulse dai riflettori e riluttanti alle interviste. Sul piano artistico, intrecciano il respiro organico dell’elettronica giamaicana con il rigore sci-fi della techno di Detroit. Assimilano l’approccio effettistico del dub, con il suo massiccio impiego di mixer e nastri, traslandolo nella glaciale industria della metropoli tedesca. Depurano la techno della sua energia più fisica, trasformandola in un vortice di manipolazioni tra delay e riverberi. Il loro sodalizio trascende la creazione artistica e diventa un’indagine sulla percezione: ogni traccia è un laboratorio in cui il mastering non è rifinitura, ma strumento di metamorfosi.
Come affermato in seguito da Ernestus, non c’è un sottotesto politico diretto nella genesi della musica elettronica berlinese, ma la caduta del Muro ha spalancato l’accesso a spazi non regolamentati, zone liminali tra Est e Ovest. Questa fortuita ma azzeccata combinazione permea la struttura stessa del progetto: Ernestus è il ponte tra Berlino e Detroit, grazie ai suoi legami con Mike Banks della Underground Resistance e Jeff Mills, mentre von Oswald, in qualità di sound engineer, contribuisce ai progetti legati al Tresor, club e poi etichetta cruciale nel definire l’identità sonora berlinese. L’intesa è sostenuta da premesse lungimiranti ma anche da scelte chirurgiche e consapevoli: per ottenere il controllo totale sul suono, il duo fonda Dubplates & Mastering, un laboratorio di mastering situato proprio nei locali di Hard Wax.
I lavori targati Basic Channel si condensano in una serie di Ep pubblicati tra il 1993 e il 1994, per lo più privi di titoli, con artwork essenziali e un’aura criptica che ha favorito interpretazioni ambigue e contraddittorie. All’epoca non era chiaro chi si celasse dietro il monicker e le speculazioni tra i dj hanno contribuito a rafforzare un substrato di hype cruciale. Il 1 marzo 1993 esce il primo disco del progetto: lo pseudonimo scelto è Cyrus, omaggio alla kosmische musik di Klaus Schulze e ai “corrieri cosmici” della scuola tedesca degli anni Settanta. Enforcement vede la luce nel catalogo BC-01 con tre tracce, o meglio texture, tra cui un remix d’oltremanica di Jeff Mills.
Enforcement, un’imposizione
La title-track è un’onda d’urto cerebrale, un manifesto razionale e sensoriale in cui lampi sonori illuminano la percezione e il suo smarrimento. È la dissoluzione della memoria e dell’identità: ogni ascolto muta a seconda dell’elemento su cui ci si sofferma, che sia il kick metallico, la spirale di subwoofer o il denso tappeto di sintetizzatori micro-modulati, che si trasformano senza un punto d’ancoraggio, attraverso minime oscillazioni capaci di alterare il subconscio. Sul lato B, il caos trova una sua organizzazione nel mix tellurico di Jeff Mills, un formicaio di vita in cui filtri e frequenze tessono trame invisibili. Chiude l’Ep un loop di sette minuti, ridotto all’osso fino a diventare pura pulsazione, tra basse frequenze e arpeggi mantrici.
Enforcement, traducibile come “imposizione”, non è solo un titolo, ma un atto coercitivo che costringe l’ascoltatore a immergersi in un continuum percettivo inesplorato. La metodologia è quella di permettere alle particelle sonore di reiterarsi all’infinito senza perdere significato, una techno che da intrattenimento visionario si muta in esperienza immersiva e totalizzante. Bastano tre brani e poco più di venticinque minuti per sovvertire i canoni della club music, innalzandola a una dimensione tessiturale, priva di melodia, dove la sequenza ritmica si fa ambiente e materia fluida. È un esperimento acustico che trova affinità con l’elektronische musik di Roland Kayn, l’arte acusmatica di Iannis Xenakis e le avanguardie del XX secolo, in una veste sì microtonale ma ipnotica e brutalista. Il club non è più solo spazio di danza e aggregazione, ma la proiezione di un futuro insondabile.
Dub techno in divenire
Così come Enforcement, le successive emissioni a nome Basic Channel sono pulsazioni organiche, sculture in divenire, che si rigenerano nell’ultra-frenesia del ritmo danzabile, sospeso dalla lentezza pachidermica delle mutazioni, come un Horace Andy liquefatto nell’etere cosmico, sospeso tra più dimensioni. Il 1 ottobre viene pubblicato Phylyps Trak: qui, l’asse Berlino-Detroit è dissolto in un magma opalescente che si condensa in uno dei banger più seminali del genere. All’astrattismo geometrico di Enforcement si contrappone un’estetica ossessionata dalle drum machine Roland (in particolare l’hi-hat, insistente e disturbante), ma risemantizzata in un futurismo dub greve e distopico. Parafrasando Carl Craig, è come se E2-E4 di Manuel Göttsching fosse stato distillato in un basso pulsante.
Da qui in avanti, la frequenza delle pubblicazioni si fa incalzante quanto la loro materia sonora. A sole due settimane di distanza arriva una terza uscita, un singolo a 33 giri (BC-03) con i remix di “Phylyps” e “Lyot”, un anthem techno del 1992 di Vainqueur, alias di René Löwe, una delle voci più importanti della scena berlinese di inizio decennio. Se il brano di Vainqueur è pura energia meccanica, la rielaborazione dei BC si immerge in una nebbiosa esplorazione nei recessi dell’ambient, con oltre undici minuti di manipolazioni, filtraggi ed echi su un ritmo sfuggente, come se King Tubby e i patriarchi dell’elettronica giamaicana fossero stati proiettati in un altro millennio, in un respiro sospeso tra le sinestesie di mondi ignoti. Il lato B non è da meno: se la versione originale di “Phylyps” evocava il delirio di un rave claustrofobico, qui la contemplazione si fa più ipnotica, assumendo il valore di una comunione mistica per danzatori notturni.
L’esperienza dei Basic Channel affonda le radici in un retaggio africano, trasposto però in un universo frenetico dalle tonalità abbassate. È dub, ma in una declinazione inaspettata. Q 1.1 è la release BC-04, pubblicata il 29 ottobre 1993, meno di quindici giorni dopo la precedente: il disco decelera la pulsazione e accentua il legame con Detroit, fluttuando tra l’ossessiva reiterazione di accordi in delay e la corporeità della drum machine. “Q 1.1/III” è forse il primo tentativo di innestare un embrione melodico, disegnato in un pattern ostinato e avvolto da un pad contemplativo ma sporadico. È la pubblicazione più accessibile del catalogo; la visione futurista degli Underground Resistance si dissolve in un loop senza fine, dove la bellezza risiede nelle invisibili sottrazioni ritmiche.
Neanche due mesi dopo, il successivo BC-05 fa il suo ingresso tra gli scaffali di Hard Wax nei primi giorni di gennaio del 1994. Accreditato all’alias Cyrus: il lato A si rivela con “Inversion”, diciassette minuti di danza su dimensioni parallele, un excursus surreale di beat lisergici ma gentili, come se il lascito post-atomico di una pioggia acida si fosse trasfigurato in bassline vellutate e architetture ritmiche senza fine. “Presence”, sul lato B, supera i venti minuti e riprende la sperimentazione acquatica di “Lyot Rmx”, ma priva della kick drum a favore di un tema spettrale, più un tributo al krautrock di Can e Neu! che alle strutture techno di Jeff Mills e The Martian. Nelle sue microscopiche mutazioni, “Presence” si rivela in un soundscape minimal di proporzioni bibliche, un’eterna dicotomia tra due uniche, monumentali, note, in un amalgama estetico fangoso e irreale.
Il sesto capitolo del catalogo è assegnato a Quadrant Dub, due remix di quello che, pochi mesi dopo, sarebbe stato pubblicato come “I’m Your Brother” sotto il nuovo pseudonimo Round One. La sovversione del rave qui si dissolve in un’elucubrazione fumosa di meditazioni dub, un sound che, anche a distanza di trent’anni, mantiene una freschezza inalterata, anticipando l’approccio più iconico della dub techno. Il paesaggio sonoro è notturno, intriso di memorie sfocate, e la sua scala di grigi non è mai stata così completa. Le due tracce, rispettivamente di quindici e venti minuti, sono nostalgie di un futuro non ancora manifestato ma già percepibile, una continua germinazione di sintetizzatori che, pur reiterando lo stesso motivo, lo rielaborano incessantemente, come un ecosistema in perenne mutazione, una foresta elettronica di suoni in costante metamorfosi.
La ferocia delle prime releases sembra del tutto svanita, e anche il successivo BC-07 con “Octagon” e “Octaedre” sembra rafforzare questa corazza, minimalista e dub, lontana dagli echi warehouse a favore di una dimensione sinteticamente spirituale. Freddo nell’estetica, “Octagon” figura un debole accordo dopo un lungo intro e lascia intravedere una dimensione emozionale, forse una delle prime che il duo rivela, come un’indole introversa che necessita di tempo prima di mostrare il suo reale stato d’animo. “Octaedre” è una rivistazione della techno statunitense, un surrogato con timide reminiscenze acid su un beat iper-veloce, tarato per un piano tessiturale minimalista. Ogni micro-suono è misurato con precisione, alterandosi attraverso variazioni impercettibili che possono sfuggire alla consapevolezza, la quale si stratifica in sfumature inafferrabili che mutano la ripetizione in trance, l’attesa in contemplazione.
L’andatura dub-ambient, precedentemente espressa in “Lyot Rmx” e “Presence”, trova piena realizzazione in Radiance (1994), sospesa tra la contemplazione ipnotica (“Radiance I”) e l’esplorazione timbrica, come se i pionieri della tradizione elettroacustica, da Michel Chion a François Bayle, intrecciassero un’alleanza sintetica con La Monte Young (“Radiance III”). È un linguaggio fatto di progressioni vacue, suoni rarefatti e impalpabili, in un viaggio privo di un epicentro. Se “Enforcement” era un flusso di lampi ritmici, “Radiance” è il santuario chill-out su cui meditare sull’universo. Siamo sempre nel 1994, e il 1 settembre Phylyps Trak II, sotto il numero BC-09, chiude il capitolo Basic Channel con un ritorno alle radici. Sul lato A, emerge una trasposizione densa e crepuscolare dell’originaria “Phylyps Trak”, una versione rallentata della medesima linea di sintetizzatore, reiterata ossessivamente tra flussi di echi e riverberi, mentre sul lato B, “Phylyps Trak II/II” è la limpida ipnosi dei canoni precedentemente espressi con “Q 1.1”.
BCD: il riepilogo del tragitto
BC-09 rappresenta la sintesi della prima fase del viaggio di Ernestus e von Oswald, ma non è l’epilogo: il duo si dedica a nuove estetiche sotto alias diversi, come Maurizio, Rhythm & Sound, Quadrant e i cinque capitoli da Round One a Round Five, per indagare territori sonori inesplorati rispetto alle coordinate Basic Channel. Questa parabola trova la sua sintesi nell’album-compilation BCD, pubblicato nel 1995 e contenente versioni editate, più concise, dei loro brani, oltre ad alcuni inediti come “Mutism”, una visionarietà timbrica al confine tra lowercase e harsh-noise, e “Q-Loop” (successivamente ristampata in extended edition), un dub techno granulare e morbido, al contempo asciutto e impalpabile, con un andamento ritmico quasi sacrale. BCD è il compendio di due anni straordinari, il manifesto della club music intesa come ricerca tecnologica piuttosto che discorso sul beat; il loro è un minimalismo che non ha mai celato la sua vocazione avanguardistica, il desiderio di trasformarsi in un laboratorio sonoro. È il surrogato di due menti raffinate, consapevoli degli strumenti utilizzati, ma ancora avvolte nell’anonimato. La pseudo-compilation BCD cercava di chiarire almeno in parte l’identità del duo, ma solo sul piano estetico; fu solo nel 1996, infatti, che un’intervista per The Wire svelò finalmente chi si celava dietro il monicker.
M-Series: equilibrio e minimalismo
All’impero Basic Channel si affiancano principalmente tre side-projects, divenuti nel tempo altrettanto leggendari quanto l’entità madre. Il primo di questi è Maurizio, incarnazione più minimale, cupa e visceralmente bass-oriented, con il duo che scruta le profondità di una dub techno essenziale e le geometrie di una tech house solo in apparenza lineare. Maurizio è anche il nome della label che custodisce le produzioni legate a questa visione e non è necessariamente frutto del lavoro congiunto dei due produttori: se il sodalizio BC prende vita nel 1993, la prima pubblicazione targata Maurizio è “Ploy”, uscita nel 1992 sotto l’alias Måuriziö, forse opera del solo Moritz von Oswald, sebbene non vi siano conferme ufficiali. È relativamente certo, invece, che le uscite successive con questo nome vedano il contributo di entrambi i membri del duo, anche se i credits restano assenti.
Il 14 maggio 1993, nel pieno fermento delle release Basic Channel, esce Domina, uno dei singoli più rappresentativi della minimal techno. Sul lato A campeggia il “Maurizio Mix” (13 minuti); siamo nel futuro e l’essere umano ha trovato l’equilibrio interiore nella tecnologia. Soffici echi dub rimbombano sulle pareti pulite e ben tenute, avvolgendo un ambiente ovattato e tenue. Ancora prima che seminale, questa musica spicca per opacità ed eleganza. Il lato B (10 minuti) è affidato a un remix di Carl Craig, alfiere della Detroit techno: un campionamento vocale dalla risonanza robotica introduce un pad che spalanca i cancelli di un Eden sintetico. Dopo il buio, con il B-side la perdizione è negli accordi e nelle armonie di una galassia lontana. Se Enforcement declinava la minimal nella sua forma più mentale, Domina la proietta nell’ombra magnetica del club, in due uscite che hanno ridefinito la geografia emotiva dei dancefloor. È uno spasmo mistico così essenziale e moderno da sembrare svincolato dal tempo.
Le successive pubblicazioni targate Maurizio consolidano il canone minimalista rallentando il battito rispetto alle uscite BC; sfiorando i 125-130 bpm, disegnano il blueprint per generazioni future, da Plastikman a Prince of Denmark. In questo contesto, il duo si concede uno dei suoi rari remix ufficiali: “Starlight” di Model 500, creatura di Juan Atkins, uno dei profeti della Detroit techno. Il singolo esce nel 1995 e sancisce la perfetta simbiosi tra Berlino e Detroit, intrecciando armonie evanescenti e pulsazioni crepuscolari, un inno astrale di dub-chords riverberati all’infinito. Il soundscape è un traghetto sonoro che scivola verso un mondo ultraterreno, dove riverberi spettrali si dissolvono in pulsazioni eteree, una sinestesia sonora che trasforma il club in una danza angelica.
Definire i canoni: MCD
La pseudo-compilation MCD (1997) raccoglie, in versione leggermente ridotta nel minutaggio, gran parte delle tracce pubblicate tra il 1993 e il 1997. Il suono è letargico e metropolitano, sobrio e visionario. È puro sound design; la rivoluzione elettronica, le cui radici affondano in Karlheinz Stockhausen e Luigi Nono, dove la melodia diventa un oggetto fra tanti e la ricerca sonora assume un ruolo sacrale, viene sublimata nel battito ipnotico del 4/4. MCD è un compendio austero, costruito con rigore architettonico e scolpito nelle basse frequenze, in cui due sole note di basso riescono a disegnare voragini interiori di vertiginosa profondità. L’album si presenta come un’opera apparentemente semplice, ma cela una delle massime espressioni di eleganza della club music: un’estasi a occhi chiusi, un flusso allucinatorio in cui sottili scintille dub si rincorrono in microvariazioni infinite, dissolvendo l’identità del clubber in un continuum estetico plumbeo. La psichedelia dei decenni precedenti, qui, si reincarna nelle coordinate del nuovo millennio. È innegabile che senza MCD la minimal techno e la dub techno non sarebbero mai esistite in questa forma.
La serie Round, Rhythm & Sound e Quadrant
Sia Basic Channel che Maurizio condividono un approccio in cui la melodia è quasi del tutto assente, a favore di una ricerca sonora ascetica e meticolosa. Tuttavia, i due non disdegnano l’inserimento di elementi melodici, come dimostra un ulteriore progetto articolato in una serie di release sotto gli alias Round One, Round Two, Round Three, Round Four e Round Five; questi Ep verranno poi raccolti nella compilation 1993-99 (1999). Qui le tracce si librano tra deep house e digressioni dub techno solcate da voci ectoplasmiche: imprescindibile il contributo vocale di Paul St. Hilaire, artista dominicano di scuola reggae/dub (“Acting Crazy”), ma anche di appassionati stratagemmi Chicago house (“I’m Your Brother”), in una raccolta che si discosta dalle altre uscite del duo, pur mantenendone il rigore timbrico. In 1993-99 la notte diviene protagonista, esplorata nelle sue sfaccettature urbane, tra memorie spettrali di giorni passati (“Na Fe Throw It”), fino al calore sensuale di ritmiche più vicine a Frankie Knuckles che a “Domina” (“New Day”).
L’epilogo dell’imponente progetto di Ernestus e von Oswald trova la sua incarnazione in Rhythm & Sound, una quadrilogia di album e un’epopea di singoli incisi nel formato dieci pollici, tipico delle uscite dub e reggae degli anni ’70. Rhythm & Sound è un’immersione totale nei labirinti nebbiosi di Jah, una trasposizione minimal techno del rituale giamaicano, scandita da accordi rarefatti, vocalizzi ultraterreni e, soprattutto, imponenti montagne di basse frequenze. Se i singoli adottano la struttura archetipica dei mistici giamaicani (lato A: brano reggae; lato B: versione dub), nei primi due album le tracce si dispongono secondo la loro essenza: The Versions (2003) raccoglie le declinazioni dub, mentre W/ The Artists (2003) custodisce le versioni vocali, come se si trattasse di due dimensioni parallele della stessa liturgia sonora.
The Versions è una scalata ipnotica attraverso riverberi di percussioni sudamericane, illuminato solo dai bagliori di lampioni immersi nella nebbia, un’eco contemporanea ai ritualismi di Scientist, Wayne Jarrett e Junior Delahaye. Qui la texture si fa materia liquida, fluttua tra gli spazi vuoti e si insinua nel subconscio con la forza di un mantra senza tempo. A questa astrazione evanescente risponde W/ The Artists, un’opera in cui lo spirito della voce umana si intreccia con le pulsazioni del dub. Spicca “King In My Empire”, impreziosita dall’interpretazione di Cornel Campbell. Il suo canto sommesso e penetrante è il sigillo su uno dei momenti più memorabili dell’intera saga BC: un battito sospeso nel cosmo, immerso nei vapori di una space-dub ultraterrena. W/ The Artists è un intimo fascio di luce che squarcia le tenebre, il crocevia mistico tra l’approccio minimalista di Moritz von Oswald e Mark Ernestus e la sacralità della black music.
Giunge nel 2005 See Mi Yah, un rituale continuo, una spirale che si srotola attraverso tessuti vocali differenti, affidati a interpreti diversi, ciascuno con il proprio timbro esoterico. Il beat è lo stesso per ogni traccia e resta quasi invariato, mutando solo in microscopiche deviazioni. Il remix-album del 2007 See Mi Yah Remixes segna la prima (e ultima) incursione di produttori esterni nel mondo Basic Channel: Ricardo Villalobos, Vladislav Delay, Sleeparchive, Carl Craig e altri si cimentano nel reinterpretare una musica che, per loro e molti altri, rappresenta una stella polare. Ultimo ma non per importanza, il progetto Quadrant, uno dei pochi a non essere rilasciato per label auto-gestite; le due release, Quadrant (1993) per la epocale R&S e Infinition (1993) per Planet E (la stessa etichetta che ha visto le maggiori opere di Moodymann, Terrence Parker e Carl Craig) segnano una direzione quasi melodica, con la scuola Detroitiana che trova un armonioso equilibrio tra retro-futurismi nostalgici di magnetico fascino (“Hyperprism”) e tessiture dub taglienti (“Infinition”).
L’eredità dei Basic Channel
Il progetto BC torna a manifestarsi nel 2008 con BCD-2, una compilation che, questa volta senza edit, raccoglie alcune delle gemme più luminose del corpus originale. La sua uscita si incastra in un momento perfetto: nel pieno del revival techno, l’album si erge come un monumento sonoro, rafforzando il culto di Basic Channel come entità trascendente all’interno dell’ecosistema clubbing. Il lascito dei Basic Channel non si esaurisce nella loro già monumentale discografia e nei progetti paralleli, ma si propaga attraverso label esterne come Burial Mix, Main Street Records o Chain Reaction, fondata dai due nel 1995 e divenuta il principale crocevia della dub techno, ospitando uscite fondamentali di Monolake, Vladislav Delay, Hallucinator, Fluxion, Porter Ricks, Substance e molti altri, tutti eredi del verbo di Ernestus e von Oswald. Basic Channel è il punto di origine della dub techno, anche se questa definizione fatica a racchiuderne l’orizzonte mistico e la portata estetica. La loro impronta è stata determinante nello sviluppo della minimal techno, tanto che numerosi artisti di primo piano non esitano a dichiararsi loro diretti discendenti. Senza il loro contributo, la club music e buona parte dell’elettronica contemporanea avrebbero oggi un volto radicalmente diverso.
Antonio Santini for SANREMO.FM