Facile perdere il filo degli episodi nel mondo dei podcast, ce ne sono troppi da seguire. Ma quella volta che André 3000 si fermò da Rick Rubin per confessare il proprio rimuginare interiore, la Rete non poté fare a meno di trattenere il respiro. Non era solo un blocco creativo a tenerlo fermo, quanto una piena crisi esistenziale, che ha cancellato la figura della popstar e fatto vacillare l’uomo e padre famiglia che vi stava dietro. Impossibile non provare empatia di fronte a tali disarmanti confessioni da parte di quello stesso rapper che, un tempo, calcava i palchi di tutto il mondo con estro magnifico. D’altro canto, assieme al fido Big Boi sotto l’egidia Outkast, André ha raggiunto una posizione pressoché unica, essendo tra i pochissimi a poter vantare vendite multi-milionarie e unanimo plauso critico presso un gigantesco pubblico eterogeneo, ma mantenendo intatta la totale devozione della propria comunità di provenienza, nella quale viene tutt’oggi considerato (a ragione) tra i massimi autori della storia dell’hip-hop. Ma non solo, perché con l’arrivo della crisi, André si è fermato giusto prima del baratro, perdendo certo una grossa parte di sé, ma evitando di ripetersi inutilmente nel tentativo d’inseguire un gioco al quale non aveva più senso partecipare. Tolta qualche ospitata qua e là (lo ricordiamo con affetto su “Channel ORANGE”), André ha fatto l’impensabile: casacca di alpaca sulle spalle, flauto nello zaino, e via a piede libero lungo le strade del pianeta, alla ricerca di non si sa bene cosa, purché vi sia ancora un briciolo d’umanità e onestà intellettuale.
In tale contesto, quindi, gli ottantasette minuti interamente strumentali del suo debutto solista “New Blue Sun”, concottati assieme al percussionista e produttore Carlos Niño, non dovrebbero apparire poi troppo spiazzanti. Ma André non ha perso totalmente il senso dell’umorismo, i titoli di questi nuovi brani offrono quel tanto di contesto che basta per fare del lavoro più di un semplice divertissement. Ci pensa lo stesso autore, o per meglio dire bardo meditante, adesso, a mettere le mani avanti: “I swear, I really wanted to make a ‘rap’ album but this is literally the way the wind blew me this time”, introduce l’ascolto senza alcun artificio. Forse c’era un iniziale filo di titubanza nel ripresentarsi a questo modo, nel sovvertire in un sol colpo tutte le regole dell’hip-hop, del far denaro e della mascolinità ad esso associata, eppure, a quarantotto anni d’età, diciassette dall’ultimo lavoro a nome Outkast, è proprio questo senso di totale accettazione di sé a rendere l’ascolto così particolare. Una lunga introduzione di sottili filtri d’organo e il timido apporto delle percussioni, poi l’entrata del flauto, con un semplice ostinato quasi mozartiano che suona bizzarro, finanche comico, eppure sereno: André è un Papageno post-moderno che lascia snodare il brano lungo dodici minuti abbondanti, mancando forse di ricalcare una composizione propriamente detta in favore dell’improvvisazione, ma mantenendo in piedi un buon equilibrio timbrico, ispirato dall’ascolto di Terry Riley, Harold Budd e Laraaji. “New Blue Sun” è questo: ambient pervasa da meditativi sentori new age e pulviscoli di progressive electronics, un ascolto lento e celeste che scivola in sottofondo, ma non è mai kitsch né noioso perché pervaso da una naturale curiosità anche nei momenti più quieti.
A prestare la dovuta attenzione, infatti, le sottigliezze si fanno interessanti, come nelle imperscrutabili partiture minimaliste di “The slang word p(*)ssy rolls off the tongue with far better ease than the proper word vagina. Do you agree?”, che si estende sopra un morbido e avvolgente salmodiare, stavolta impiegando strumenti a fiato digitali. Immancabile il viaggio lisergico a base di ayahuasca della traccia numero tre, “That night in Hawaii when I turned into a panther and started making these low register purring tones I couldn’t control… sh¥t was wild”: tra percussioni e vibranti hi-hat, legni, bamboo e sibili pluviali, si ha l’impressione di toccare con mano certe suggestioni di Jon Hassell, ma André dimostra una propria padronanza nell’uso degli strumenti, oltre all’arte del respiro imparata durante la meditazione. “BuyPoloDisorder’s daugther wears a 3000® shirt embroidered”, invece, monta sinuosi mantelli di tastiere alla Vangelis e nervosi blip elettronici attorno a intrusioni di fiati dall’ancia sbertucciata, creando una tensione sottomarina che si risolve in bianca spuma contro gli scogli – è l’improvvisazione più arguta e movimentata del lotto.
I due brani più brevi, la calma piatta di “Ninety three ‘til infinity and Beyoncé” e gli argentati smottamenti elettronici di “Ants to you, Gods to who?”, impacchettano i dieci minuti di un altro movimento il cui delirante titolo – “Ghandi, Dalai Lama, your Lord Saviour & J.C. / Bundy, Jeffrey Dahmer and John Wayne Gacy” – pare sondare i pertugi più scomodi dell’animo umano, in cerca del divino dentro al diabolico – o viceversa.
Menzione di riguardo per l’odissea del gran finale – “Dreams once buried beneath the dungeon floor slowly sprout into undying gardens” – che lascia naufragare l’ascolto in un eterno giardino verdeggiante per quasi diciotto minuti di pulviscolo digitale, arpe, metalli e risciacquii di clarinetto. Il risultato è placido e rarefatto, anche quando, verso il quattordicesimo minuto, la traccia si apre verso gassosi squarci progressivi prima di planare, lentamente, verso il silenzio.
Chissà dove mai ritroveremo André dopo un’uscita così in antitesi al proprio passato, anche al netto dell’esser sempre stato vistosamente diverso dagli altri rapper suoi coevi. Adesso, viene da pensare semmai al collega David Sylvian, ai tempi anche lui un sofisticato personaggio vestito di tutto punto, che ha poi lentamente abbandonato i caroselli dell’industria per avvicinarsi alla propria arte con sguardo onnivoro e scevro di regole – una delle sue raccolte di musica ambient si chiamava non a caso “Approaching Silence”: l’arte dell’acquietare il rumore e le distrazioni di tutti i giorni per trovare pace nella sola essenza di sé.
Uomo maturo che accetta il proprio posto nel mondo, André 3000 è ormai talmente libero dal poter sovvertire ogni aspettativa, inclusa quella invero alquanto radicale di far fuori la propria voce in favore di curiosi strumenti a fiato. “New Blue Sun” lascerà sicuramente interdetti, molti non lo considereranno nemmeno un vero album, eppure, anche senza richiamare necessariamente le gesta dei grandi maestri del minimalismo del Novecento, i suoi solchi sono pervasi da un’ispirazione ondivaga ma sempre vitale e personale.
20/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM