C’è un aspetto dell’espressione artistica di Adrianne Lenker (e in parte anche nella sua creatura principale, i Big Thief) di cui si è sempre parlato molto poco. Magari viene sottaciuto, lasciato emergere da discorsi collaterali, ma per una sensibilità istintiva come quella della prolifica cantautrice statunitense assume invece un ruolo chiave. Più che scelte di produzione e cambi stilistici a comando è il contesto, la specifica dimensione in cui Lenker si trova, a decretare eventuali scostamenti di tono, variazioni nella disposizione e tematica tali da conferire un umore distinto a ciascun progetto. Se il piovoso raccoglimento del dittico “Songs/Instrumentals” attestava la perfetta solitudine di un’anima alle prese con la pandemia e il cuore spezzato e “Dragon New Warm Mountain I Believe In You” raccontava le sfrenate scorribande di una scombinata combriccola in lungo e in largo per gli States, “Bright Future” ritorna a restringere il campo, adottando però una prospettiva conviviale, rivolta a pochi amici fidati. Sorge così, con la stessa necessità e immediatezza dei suoi precedenti lavori, questo nuovo capitolo solista, materia da raccontarsi sommessamente, tra pause e scatti, con un approccio a metà tra la confessione e il divertissement. Attorno al fuoco, la memoria si tramuta nuovamente in poesia.
Nessuna rotta maestra, nessun cardine attorno a cui imperniare l’album: col sostegno di un fiuto che finora non l’ha mai tradita, e l’essenzialità di un comparto strumentale che i quattro diretti collaboratori (l’ingegnere del suono Philip Weinrobe, Mat Davidson dei Low Anthem, la polistrumentista Josefin Runsteen, il soul-writer Nick Hakim) hanno gestito volta per volta, Lenker concepisce un nuovo ciclo di canzoni marchiate dal ricordo e dall’attesa, in cui l’ispirazione del momento viene assecondata senza mezzi termini. Registrato nuovamente su nastro, con un microfono al centro del consesso a captare ogni singolo movimento, il disco tiene fede alla natura folk propria della sua autrice, diversifica però il taglio con accorte variazioni di scrittura, che esaltano il personale senso poetico dei testi.
Così lo spartano pianoforte che accompagna l’iniziale “Real House” è il giusto supporto per il criptico narrare di Lenker, che solo verso la fine rivela essere una dedica alla madre e al primo contatto della figlia col suo dolore. La memoria rivive a passo lento, senza particolari strategie emotive, anche quando la tristezza emerge protagonista, nel vorticoso volgere delle stagioni (le spirali country di “Sadness As A Gift”, incorniciate da un violino in fascia Hiss Golden Messenger), ma anche nell’evocare un passato recente, fatto di piccole bizzarrie quotidiane, di volti amici assorbiti dalla neve, prima che il dubbio si insinui vorace (le chitarre western di “Fool”).
Anche ad aumentare il ritmo, lo spoglio incanto orchestrato dall’autrice si mantiene intatto: già amata negli scorsi anni, quando è diventata un punto focale dei concerti dei Big Thief, “Vampire Empire” qui rinuncia alla sua veste elettro-acustica iniziale ma ne guadagna in forza comunicativa, il raccoglimento del gruppo a esaltare la vorticosa interpretazione di Lenker, la forza di un’anima pronta a scrollarsi di dosso gli strascichi di una dipendenza e a riacquisire il pieno controllo di sé stessa. Si mantiene anche nello sciorinare di giochi di parole, tesi a trovare l’inverso, il negativo fotografico delle parole (“Evol”, col suo titolo in odore di Sonic Youth), si mantiene nel pungente candore corale di “Already Lost”, la pura e disarmante descrizione di un amore da sogno.
È con l’atto finale, con i delicati rivoli d’ambiente di “Ruined”, che il pathos lirico della musicista si concretizza nella sua versione più pura. Disarmata, di fronte alla sua vulnerabilità, Lenker cade a terra, incapace di cancellare i ricordi di un’ossessione, di ripristinare il tempo che è stato. Poco più di un pianoforte, a sostenere una voce che si fa lamento: con pochi scostamenti stilistici rispetto all’apertura, Adrianne Lenker compie un cerchio perfetto, parte e torna nella memoria, nella sua dolorosa inevitabilità. Eppure il futuro è così brillante: che in fondo serbare questo dolore possa servire a costruirlo?
03/04/2024
Daniel D`Amico for SANREMO.FM