Manca pochissimo a Sanremo e sul palco del 74° Festival della canzone italiana vedremo anche Fiorella Mannoia. L’artista torna in gara per la sesta volta con Mariposa di cui firma il testo insieme a Cheope e Carlo Di Francesco. Il messaggio è forte e chiaro: l’orgoglio di essere donna. La partecipazione al festival dà il via simbolicamente inizio a un anno di progetti che verranno svelati via via e passano anche per un traguardo importante: ad aprile Mannoia compirà 70 anni. E ha in serbo molte sorprese.
Come stai?
Sono nel tritacarne. La centrifuga sanremese. Una volta che ci si sta dentro inizi a girare, girare.
E ti mantieni salda o traballi?
Alla mia età spero di rimanere, salda, ma è pur sempre una centrifuga. Lo so, la conosco, so di cosa sto parlando.
Perché torni a Sanremo?
Per la canzone. Sono sempre i brani a guidarci nei nostri percorsi. Comandano loro. Quando ho avuto fra le mani questo pezzo per me aveva un peso specifico importante. E abbiamo pensato di portarla al festival.
Amadeus ti ha detto subito di sì?
Come hanno fatto tutti l’ho spedita, lui l’ha sentita e quando sono usciti i nomi ho visto pure il mio.
Parliamo di Mariposa iniziando dal testo e il verso “sono la strega in cima al rogo”. Ti senti così?
Io in quel momento rappresento le donne per quello che siamo state, siamo e saremo: dalla strega alla farfalla che imbraccia il fucile. La canzone è stata ispirata dalle sorelle Mirabal, uccise il 25 novembre 1960 perché si opposero al regime di Trujillo. Per questo è nata ed esiste la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nel pezzo ci sono le donne nel bene e nel male. Non c’è vittimismo.
E cosa c’è?
Solo l’orgoglio di appartenere all’altra metà del cielo. È un manifesto. È il momento storico che chiama. Le donne sono consapevoli della loro emancipazione. Anche se a qualcuno non piace. E lo vediamo dai fatti di cronaca.
Come definiresti questo brano?
Una canzone che fa parte della mia storia, non potrei cantare pezzi diversi da questi. Sono cresciuta con composizioni che hanno sempre avuto un contenuto.
Tu, BigMama, Ghali e Dargen D’Amico portate all’Ariston composizioni con un messaggio differente. Perché si fatica ad andare oltre l’amore?
Non voglio giudicare, ma il linguaggio si è alleggerito a partire dalla politica: parla con una terminologia che non è quella dei politici di 30 o 40 anni fa. E questo si ripercuote in tutti i settori, pure nella musica. Sanremo ne è lo specchio. Questo abbiamo davanti.
Che mi dici della discografia?
È totalmente cambiata. I dischi non si vendono più. Non si leggono più giornali e libri. Una rivoluzione enorme. Facciamo i conti con lo smartphone tutto il giorno. Anche gli articoli si sono ridimensionati, la gente non approfondisce. Io ho quasi 70 anni e non mi ritrovo tanto in questo mondo moderno: per me il libro, ancora oggi, ha un valore. Capisco che il mondo cambia. Sicuramente siamo in un momento di oscurantismo, sotto tanti punti di vista. Siamo portati all’autocensura. Si ha paura di parlare controcorrente. È forse peggio della proibizione.
Motivo?
La proibizione ti porta a ribellarti.
Ti autocensuri?
Le cose che devo dire le dico, ma metto in conto le ripercussioni sul web.
Come vivi le critiche dei leoni da tastiera?
Prima ci rimanevo male, ora non mi interessa niente. Però se voglio esternare un pensiero mi piace farlo.
Nella serata delle cover sarai in coppia con Francesco Gabbani, colui che ti soffiò la vittoria a Sanremo 2017.
Ci divertiremo intonando Che sia benedetta e Occidentali’s karma. Lui è una persona meravigliosa, un uomo gentile. A partire dell’inchino che fece a Sanremo quando vinse e io arrivai seconda. Vogliamo sfatare la nostra rivalità.
Volevi vincere a Sanremo 2017?
Non immaginavo di arrivare sul podio, ma una volta arrivata è logico che uno ci spera. Ma con Francesco non siamo assolutamente rivali.
Che carattere hai?
Sono orgogliosa, faccio fatica a chiedere scusa. Inoltre sono impulsiva e passionale. Proprio la passione mi porta a essere irruenta, ma devo lavorarci su. Si cerca di migliorare sempre.
Quest’anno farai 70 anni. Celebrazioni in vista?
Il traguardo è importante. Stiamo pensando di fare una festa, per ora c’è Sanremo, ma 70 anni vanno festeggiati anche se mi fa un po’ impressione. Nella mia testa non li ho, non me li sento affatto, meno male.
Sei stata la prima grande cantante tornata in gara al festival nel 2017. Aprendo uno spiraglio quando il festival veniva snobbato dai super big.
Quello sì che è stato un atto di coraggio. I miei colleghi mi dicevano che ero matta ad andare in gara.
E come mai ci sei andata lo stesso?
Il mio percorso l’avevo fatto, la mia carriera ce l’avevo, cosa potevo perdere? Ero serena, non avevo paura. A un certo punto mi sono chiesta: perché i cantanti importanti non vanno mai in gara? E lì ho avuto un po’ d’ansia. Ma sono contenta di aver spalancato la porta che alcuni avevano paura di aprire.
Quale problema c’era prima da parte dei big? Ora fanno la fila per andare a Sanremo?
Se un giovane partecipa, la vive come un’opportunità: se va male ci riprova. Ma quando la carriera è consolidata, hai qualcosa da perdere. Però Sanremo ti dà quello che non ti dà nessun altro palco: fare promozione a una canzone in una volta sola, arrivando a tutta l’Italia. Se il brano piace hai superato tutte le tappe. Se sbagli, invece, si deve ricominciare da capo. Può agevolare la tua promozione e vita, ma può anche metterla a rischio.
La tua è mai stata messa a rischio?
No. Quando ho cominciato, nell’81, con Caffè nero bollente ero giovane poi c’è stato l’84… tutte le canzoni nella mia carriera hanno lasciato un segno. La forza di Sanremo è che il brano che porti, anche se non vince, poi rimarrà attaccata a te per tutta la vita. Come Il cielo d’Irlanda, Come si cambia e Quello che le donne non dicono, la mia bandiera.
Mariposa è un’evoluzione di Quello che le donne non dicono?
Sta in quella strada lì, si parla di donne 35 anni dopo.
Visto che i tempi sono cambiati, ti sei mai pentita di Quello che le donne non dicono? L’hai mai messa in discussione?
A 36 anni da Quello che le donne non dicono, presentata proprio al festival nel 1987, torno a parlare di donne, in maniera specifica. Lì cantavo “ti diremo ancora un altro sì”, oggi nei miei concerti sostituisco quel “sì”, con “forse”. Non rinnego e non ho mai rinnegato Quello che le donne non dicono, e anzi è una canzone che ci tengo a portare con me sempre. Quello che sentivo di dover cambiare è solo quella certezza così netta, quel “sì” finale, che alla luce delle cronache, della consapevolezza – che mi auguro sia sempre maggiore sia tra gli uomini che tra le donne – può essere anche un forse, o un no. È su quello che bisogna lavorare, sulla possibilità di scegliere e sul rispetto, non reprimere quello che siamo. Tutti.
Comunque non si possono staccare troppo le canzoni dal contesto. Necessariamente, proprio in virtù del cambiamento culturale in atto, è normale che ci sia un’evoluzione rispetto a 40 anni fa. Per fortuna aggiungerei.
Cosa è cambiato o peggiorato?
La consapevolezza della nostra emancipazione è migliorata. Ma c’è tanto ancora da fare, tante parità non sono ancora raggiunte: come quella del salario o del raggiungimento di posizioni apicali. C’è tanto da lavorare.
Su cosa bisogna agire nell’immediato?
Cercare di migliorare gli stereotipi che ci portiamo dietro come donne e uomini. Sono rivoluzioni, quelle. Sono presidente onorario della fondazione Una Nessuna Centomila, citata anche nel brano del Festival. Il 5 e 6 maggio torneremo all’Arena di Verona per raccogliere fondi e stiamo cercando di parlare con donne e uomini per aprire un varco con l’obiettivo di portarci a scardinare stereotipi millenari. Come il fatto che un uomo non accetti il rifiuto di una donna. Stanno ammazzando una donna ogni tre giorni sempre per lo stesso motivo, il copione non cambia: la donna vuole farsi una vita, rifiuta il compagno e lui non accetta.
Come pensate di operare in tal senso?
Bisogna insegnare alle ragazze a riconoscere i segnali. Non bisogna confondere la gelosia con l’amore perché c’è un limite. E si deve scappare per tempo. Pure i ragazzi devono comprendere che il rifiuto di una donna non è un insulto alla virilità. Siamo tutti vittime di questi retaggi. Cerchiamo insieme un altro percorso, ma si può fare solo insieme. Gli uomini non si devono sentire minacciati.
A te è mai capitato di stare con un uomo che ti soffocava?
Chi più chi meno ci siamo passate tutte. Non entro nel merito e nel dettaglio, ma a tutte noi è capitato un uomo che vuole prevaricare e minare la nostra autostima e sicurezza. Tutte noi siamo incappate almeno una volta in maschi di questo tipo.
Come sei scappata?
Trovando la forza di farlo. Cercando di fare valere me stessa, avendo il coraggio di dire basta.
Torniamo sulla musica: l’errore più grande a livello professionale?
Una carriera come la mia è fatta di ombre e luce, ma anche gli errori fatti e le canzoni sbagliate servono. Del resto noi siamo stati più fortunati.
Cioè?
Quando ho iniziato il mondo della musica ti permetteva di sbagliare. Io ho portato Caffè nero bollente a Sanremo a 27 anni. Oggi, a 27 anni, non ti fanno partecipare nemmeno in un talent. È questa la differenza, noi abbiamo avuto case discografiche che ci hanno fatto fare almeno un paio di dischi che non hanno funzionato.
Come mai?
Per crescere insieme, per capire quale era la mia strada. Devo ringraziare i tempi e le persone che mi hanno permesso di continuare a provarci. Oggi non è così, c’è un consumo veloce. De Andrè in Ho visto Nina volare diceva “mastica e sputa”. Ed è così: avanti a un altro. A nessuno dei giovanissimi si dà possibilità di crescere, porca miseria. Chi inizia a cantare a 18 anni, canterà quei pezzi lì, adatti alla sua età. Poi se è intelligente cercherà di acculturarsi, di crescere come essere umano. Se non cresci come essere umano non cresce nemmeno la tua musica. Solo che oggi, poverini, ai giovani non viene data questa chance.
Quindi se incontrassi la Fiorella di Caffè nero bollente che le diresti?
Fai le tue esperienza come hai fatto.
Quali?
Ho avuto la fortuna di avere come compagni di viaggio tutte le persone che ho stimato nella musica, il mio grande privilegio. Io sono qui, ma non sarei qui se non avessi cantato i brani di Ruggeri, Fossati, De Gregori e via discorrendo. Sono stati incontri che hanno segnato la mia vita personale, perché si impara sempre da chi ci sta intorno. E più quelli che ti stanno intorno sono migliori di te, più sono stimoli della tua crescita. Ha influito essere amica di Fossati e De Gregori, ha influito aver incontrato De Andrè, ha influito vedere questi artisti parlare, capendo da dove traggono spunti per le loro composizioni. Uno deve pensare a quello che non sa e sono stata fortunata. È stato un incentivo enorme, ha decretato tutte le mie scelte.
Vale a dire?
Non posso interpretare canzoni che non mi rappresentano, non posso raccontare storie nelle quali non credo. Devo assumermi le responsabilità di quello che dico anche se canto pezzi non scritti da me. Questo aspetto ha condizionato tutte le mie scelte artistiche e sono grata a chi mi ha permesso di fare questo percorso.
Faresti la direttrice artistica e la conduttrice del festival?
Ho fatto un po’ di tv con grandi soddisfazioni, non dico mai di no a niente. Mi butto nei progetti perché sono spinta a fare cose nuove. Ho fatto sempre esperienze inedite.
Questa ricerca di cose nuove nasconde una paura?
Quella di ripetermi all’infinito perché questo ho cercato sempre esperienze nuove. Ho collaborato con artisti brasiliani perché mi incuriosiva quel Paese, per il tour di Sud mi sono accompagnata a musicisti africani e ho imparato altre cose, adesso ho messo in piedi una tournée con Danilo Rea da soli, piano, voce e candele. Cerco sempre stimoli. L’artista è il rischio che corre. L’artista che non rischia non è un artista.