Articolo di Marzia Picciano
Iniziamo con un paragone semplice e un po’ assurdo: prendete i Sonic Youth e Battiato e metteli insieme sullo stesso palco; è abbastanza evidente, non ci azzeccherebbero niente. Vero, ma come al solito, dipende tutto dal contesto in cui questo accostamento avviene. Ora, prendete l’Arci Bellezza di Milano, prendete il contenitore di proposte culturali Caramello, il freddo umido sporco di un venerdi 12 gennaio che vedeva, in un’altra parte della città, l’evento sold-out perfetto, un dj set di James Blake che lancia la FW 2024 milanese. Prendete anche un ragazzo che, chiuso al piano di sopra della casa della nonna di Rivoli ha costruito due EP di intime disillusioni sull’essere un artista indie oggi, e un avvocato un po’ dandy, estremamente raffinato che sulla questione esistenziale ha proprio soprasseduto, preferendo perdersi nei meandri di un universo artistico fatto di bellezza (e macchine perennemente in riserva). In breve, prendete Marco Fracasia e Andrea Poggio e relative band e mettele insieme a spartirsi stage e pubblico.
Unico trait d’union: sono entrambi piemontesi, tuttavia questo non sembra essere base di alcun legame. Direi che il punto di contatto lo si vede alla fine, quando te ne vai soddisfatta (la sottoscritta) dalla serata. Allora andiamo à rebours, e scomodiamo Huysmans solo per il titolo, partendo dal finding di chiusura di scena (per me, non per chi andava in serata vera e proprio dopo).
E’ stato bello vedere due artisti così puri intenti a fare e mostrare qualcosa di diverso, insieme (attenzione, nel senso, ognuno con la sua performance). Sia Fracasia che Poggio, per i quali c’è stata una certa attenzione dalla nascita dei loro fenomeni fino alla proposizione delle ultime fatiche (l’EP Adelaide del primo, e il nuovo disco Il Futuro del secondo), puntano e perseguono due percorsi particolari e peculiari, alla ricerca di una identità non scontata.
Questo non vuol dire che non ci sia studio, emulazione, o evocazioni proprio nella loro produzione o immagine: prendendo Andrea Poggio ad esempio, alto nel suo elegantissimo completo salmone che morirei dalla voglia di vedere in azione in via Manara, pervade la sensazione di vedersi arrivare Jannacci (chiamato proprio in causa per una cover di Le Nove Di Sera), Califano (quello romantico) forse anche il Maestro ma con l’aplomb di Erlend Oye (che non a caso ha aperto in diverse occasioni) sotto il cappello di The Whitest Boy Alive e anche un po’ della mia amatissima St Vincent. Pensandoci più attentamente peró, è chiaro si tratti solo della tentazione costante di voler mettere un’etichetta su tutto e tutti, come se non fosse più possibile ispirarsi, giocare e provare senza sentirsi tacciati di essere già la copia di qualcuno o di qualcosa (e meritarsi solo un ruolo di serie B).
Ne parlavamo con Marco Fracasia qualche giorno fa dell’essere “geniali” e perchè è così difficile oggi (per l’intervista, vedere qui). Insomma, la prolifica industria della musica alternativa ci rende impossibile totalmente essere davvero alternativi o anche solo provarci? Ora non sentiamocela di incolpare il sistema. Anche perchè ieri il pubblico c’era, e si è anche divertito.
Due performance genuine, diverse. Tante suggestioni, ma belle. Per Fracasia, dal vivo, meno LCD Soundsystem, più grunge e rock (anche se all’inizio ho quasi pensato a Calcutta, ma finito su suoni pi), per un certo verso distante da quello che è il suo mondo perfetto da compositore maniacale della scala del suono (in ogni caso, stateci voi su un palco a cantare, schitarrare e settare il sintetizzatore, mica facile eh). Attenzione: non è valso meno solo perche Ipersoap mi è sembrata più incazzata che su Spotify. Pensiamo innanzitutto che con lo streaming viviamo nell’era della musica registrata e percepiamo i live sono un di più dove si sbaglia. La prova del vivo di Marco, anche se permeata di spalle al pubblico tutte shoegaze, direi che è stata superata anche nella quest milanese. E a me ha messo voglia di andare a riaprire Our Band Can Change Your Life.
Si passa a Poggio, accompagnato dalle splendide (devo dirlo) Arianna Pasini e Adele Any Other Altro. Per i tre si tratta dell’ultima data insieme per un po’ di tempo. Insomma l’avvocato mette su una coreografia di pochi passi e molti gesti coordinati da queste lunghissime dita che non riesco a smettere di seguire e neanche il pubblico “molto attento“. Tutto estremamente fine, ma anche surreale. Poggio è un principe dannunziano che agguanta e presenta i suoi pezzi come Andrea Sperelli indicava compiaciuto e barocco la bellezza dei suoi averi. Ne viene fuori un mondo, come dicevamo, un po’ assurdo, molto divertente, molto assolato, in colori pastello e se questo è il Futuro per me va benissimo. Sempre che ci sia l’ironia. Dicevamo che Poggio ha saltato a piè pari il tema della genialità e della fama e ha preferito andare avanti per la sua Barbieland: quelle che sono le sue hit in un universo parallelo (Parole a Mezz’Aria, Autunni Intermittenti Mediteranneo e Chilometri D’Asfalto) comunque funzionerebbero (se non funzionano già) nel mio.
Insieme, cosi diversi ma anche cosi vicini, ce la possono fare. A farci cambiare idea sull’incapacità di vedere oltre un’etichetta.
Andrea Poggio – La Scaletta del Concerto di Milano
Controluce
Amori Perduti
Il nuovo mondo
Miraggi Metropolitani
Nove Di Sera (Enzo Jannacci Cover)
Vento D’Africa
Chilometri D’Asfalto
Parole A Mezz’aria
Mediterraneo
Ombre e Luci
Frasi A Meta’
Autunni Intermittenti
Daniel D`Amico for SANREMO.FM