Eugenio Sournia cantautore livornese che ha esordito nel mondo della musica con la band Siberia pubblicando con loro tre album, ci presenta il suo primo progetto solista, un EP dal titolo “EUGENIO SOURNIA” uscito per Carosello Records e prodotto da Emma Nolde. Tale scelta è figlia del desiderio di Eugenio di ritrovare, in lei, una sorta di innocenza perduta.
Il tuo passaggio da frontman di una band a un progetto solista è un cambiamento significativo. Come ha influenzato questo cambiamento il tuo approccio alla creazione musicale?
Devo essere sincero, avendo comunque scritto gran parte dei brani dei Siberia sia nella parte musicale che in quella testuale, a primo acchito sembra non essere cambiato molto. Scavando più profondamente, però, mi sono reso conto che il fatto di dover rispondere solo per me stesso ha influenzato in maniera netta i testi, che ora sono più liberi di spingersi verso convinzioni e intuizioni prettamente personali. Il fatto che ciò che canto non debba essere necessariamente condiviso da altri che da me, ha segnato una sorta di switch nel modo di scrivere di cui ho avuto coscienza solo dopo alcuni mesi. Anche la fase dell’arrangiamento ne è stata profondamente influenzata: ora non sono più vincolato al format basso-chitarra-batteria, quindi posso permettermi maggiore libertà.
Il tuo EP solista è stato influenzato dai problemi di salute mentale e dall’esperienza religiosa. Come questi temi si riflettono nella tua musica e quali emozioni hai cercato di trasmettere agli ascoltatori?
Credo che fossero temi che portavo dentro da molti anni ma che ho sentito di poter affrontare in maniera più compiuta solo adesso, in quanto solista; anche così, credo che sia giusto lasciarli sullo sfondo delle canzoni, o meglio fare sì che essi creino un contesto più che farli essere direttamente l’oggetto della conversazione. Sarebbe estremamente difficile mettersi a parlare di Dio o di suicidio in una canzone, mentre è più facile e credo anche più digeribile per l’ascoltatore lasciare che questi elefanti nella stanza siano visibili e sviluppare il discorso attorno ad essi, senza ignorarli. Del resto, penso che nella nostra vita ci comportiamo così: raramente ci mettiamo a pensare a tematiche filosofiche o esiziali, più spesso esse occupano quella parte della nostra mente che ci influenza profondamente ma implicitamente. Ho cercato di dire all’ascoltatore: questi temi li vedo, li ho presenti, anche se sto parlando apparentemente d’altro non li sto ignorando.
La collaborazione con Emma Nolde è stata descritta come un ritrovare di “innocenza perduta”. In che modo questo legame ha influito sulla direzione artistica del tuo nuovo lavoro?
Avevo prodotto in un primo tempo questo EP affidandomi alle mie risorse; era emerso un lavoro coerente e centrato sulle canzoni. Con il tempo però ho capito, insieme alla mia etichetta, che sarebbe stato ancora più ambizioso aggiungere un elemento di discontinuità, che potesse portare freschezza in un humus molto “classico” quale quello della mia scrittura. Emma è stata la candidata ideale per questo: con lei siamo come due bambini nella sabbia, abbiamo visioni molto diverse della musica ma la grande continuità che c’è a livello umano ci ha permesso di fidarci l’uno dell’altra senza momenti di tensione. Emma è molto concentrata sul suono, sulla stratificazione degli arrangiamenti; io sono un autore nel senso più classico del termine, per me è importante che un pezzo suoni bene piano e voce. È chiaro che se entrambi abbiamo fatto bene il nostro lavoro il risultato finale è un brano forte a cui è costruito attorno il vestito più giusto e interessante.
Il primo singolo dell’EP si intitola “DIGNITÀ”: cosa ti ha ispirato a creare questo brano e qual è il messaggio che desideri trasmettere attraverso questa canzone?
Credo che quando ho scritto questo brano fossi rimasto grandemente impressionato dal senso di sgretolamento della società che si era avuto con la pandemia e con gli accadimenti ad essa successivi, non ultimi i sommovimenti della società statunitense – il movimento Black Lives Matter e i disordini ad esso legati, lo scontro Trump-Biden, la contrapposizione tra oppositori e sostenitori delle politiche Covid. Quello che sentivo venir meno era un terreno comune nel quale potersi confrontare con l’altro senza delegittimarlo e senza arrivare allo scontro, persino fisico. Durante le varie chiusure la mia salute mentale è stata in un certo senso salvata dal bar sotto casa, dalle passeggiate con un amico, dalle conversazioni casuali con un negoziante; mi sono reso conto di quanto quella dimensione sociale di prossimità, che a causa della tecnologia abbiamo disimparato a conoscere, era probabilmente la chiave per una rinascita. Mi dispiace vedere come, passato il momento peggiore dell’emergenza, questa lezione non sia stata colta a livello complessivo.
Guardando al futuro, quali sono le tue ambizioni e le tue speranze per il futuro della tua carriera musicale come artista solista? C’è qualche direzione specifica in cui vorresti portare la tua musica?
Se devo essere sincero, mi piacerebbe riuscire ad essere sempre più divisivo. Sono consapevole di avere un background strano, la mia famiglia materna è molto cattolica, quella paterna è all’opposto assai progressista oltre che di nazionalità francese. Ho studiato giurisprudenza e frequento la Messa in latino, però ho fatto tre dischi come frontman di una rock band, vengo dalla città più “rossa” d’Italia e la amo da morire. Credo insomma di essere un controsenso vivente e questa cosa in qualche modo penso sia la mia fortuna, perché da essa deriva probabilmente tutto ciò che scrivo e la mia particolarità. Spero di avere il coraggio di scavare sempre più a fondo e di non accontentarmi di scrivere cose troppo rassicuranti: questo per me sarebbe davvero una vittoria.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM