Anche per Danny Brown è arrivato il momento di misurarsi con più maturità sul passare del tempo, proprio lui che con terribile angoscia ha descritto i suoi trent’anni in “XXX” (2011). Questo seguito, intitolato “Quaranta” per la sopraggiunta quarta decade ma anche la quarantena pandemica, ne rappresenta un seguito ma non un’estensione, non un secondo capitolo piuttosto uno nuovo e differente.
Il clown al vetriolo di un tempo, riascoltato di recente anche in coppia con JPEGMAFIA, si spoglia del suo urticante delivery acuto e febbricitante per aprirsi agli ascoltatori con commovente intensità già nell’opener che dà il titolo: una confessione notturna, decorata da una chitarra elettrica spettrale.
This rap shit done saved my life
And fucked it up at the same time
That pain in my heart, I can’t hide
A lot of trauma inside
A questo raccontarsi più intimo e pacato si affianca comunque il solito modo storto di intendere il rap come un esercizio disorientante e aggressivo, come nell’ossessiva “Tantor”, con The Alchemist che ci martella con un sample prog-rock, o nella bislacca “Jenn’s Terrific Vacation”, parabola amara della gentrificazione tra batteria jazz, sussurri e voci deformate.
Cameras on the corner, now they feel safe
Wrong move, hook, have a field day
Damn, they made that a dog park
Hoes sold pussy right here like Walmart
I used to watch for them parked cars
Now it’s just white girls drinking on White Claw
Può arretrare verso un sofisticato hip-hop con echi ottantiani, come in “Ain’t My Concern”, o immergersi in allucinazioni androidi, come in “Dark Sword Angel” con la sua affollata produzione di Quelle Chris e Chris Key, persino ammiccare a un hip-hop ballabile e leggero quando arriva Bruiser Wolf per “Y.B.P.”, seguendo traiettorie imprevedibili, ma il Danny Brown quarantenne ha bisogno di fermarsi a riflettere in “Down Wit It” e “Celibate”, tra mal d’amore e street life.
Più che l’esplosione violenta di “XXX”, l’ultima parte della scaletta sembra scivolare verso un tramonto che porta ombre e malinconia, riflessioni sulle scelte fatte e su quanto si è perso negli anni. “Hanami” racconta i problemi finanziari, la depressione, le droghe e una paura strisciante della morte, incorniciata nel ritornello vagamente jazzy:
Time wait for no man, so you can’t waste time
Can’t get time back, time after time
Tutta la tensione si scioglie, tra nostalgia e un barlume di dolce felicità, nella conclusiva “Bass Jam”, un ricordo d’infanzia raccontato in un’atmosfera musicale ipnagogica, tra spazzole e cori angelici. È il finale toccante di “Quaranta” e la conclusione di un percorso musicale e forse anche umano iniziato numerosi anni prima, la chiusura di una lunga crisi che ha portato Danny Brown a un passo dal perdere tutto, compreso se stesso, e che ora rimane viva nelle cicatrici emotive. La foto di copertina è, così, uno specchio delle contraddizioni e della complessità di quest’album e di uno dei più grandi rapper viventi.
26/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM