Arriva da Torino BAAB, un nuovo progetto sì musicale, ma capace di indagare le connessioni tra arti per individuare sinergie, dialoghi e rispettivi avvicinamenti. Un duo nato qualche anno fa e che sembra aver investito ogni suo respiro in una ricerca libera, assidua e senza confini. Il risultato è il disco di debutto Musica Solidificata, uscito per Stellare nelle scorse settimane.
Ciao ragazzi. BAAB ha radici abbastanza lontane: come è nato il progetto? Architettura e musica sono entrate fin da subito nel concept del progetto o sono arrivate in seguito?
Io (Filippo) e Andrea negli anni abbiamo suonato e prodotto musica di altri, ma il lockdown è stata l’occasione per scrivere musica insieme. Volevamo scrivere musica libera, strumentale, che ci desse la possibilità di esprimerci come musicisti. Da subito abbiamo voluto confrontarci con altre forme d’arte e l’architettura e la fotografia sono state immediatamente le due discipline che abbiamo sentito più vicine. La razionalità delle tecniche compositive hanno grande affinità con l’architettura e la fotografia è il giusto punto di contatto.
Possiamo definire il progetto come una continua ricerca di significati e di contatti tra musica, architettura e fotografia, e il disco “Musica Solidificata” appena uscito come un manifesto di questo vostro percorso. Il percorso di scrittura dell’album ha generato più domande o più risposte su come queste discipline possano orbitare intorno allo stesso centro?
Nella fanzine che abbiamo prodotto per accompagnare il disco esordiamo con una citazione di Xenakis, musicista e architetto, che definisce proprio il rapporto tra le arti. Per lui sono come corsi d’acqua a volte torrenziali, a volte secchi, si basano su analogie e parallelismi, raramente su basi solide. Credo che questo sia il fascino di questa ricerca, aumentare il significato di un gesto artistico perché visto da diversi punti di vista permette di crescere di intensità e di ampliare l’immaginario.
Dal punto di vista del processo creativo, come sono nati i brani del disco? E come, se lo fanno, dialogano l’uno con l’altro?
I brani sono stati composti in due fasi diverse. Quelli veri e propri, quelli numerati, sono stati scritti di getto in un mese e condividono lo stesso metodo compositivo basato su ripetizione, costruzione e sfasamento di frasi melodiche. Hanno tutti una struttura di base comune con una parte centrale distesa. Gli intermezzi invece sono nati in un secondo momento durante le performance che abbiamo fatto prima di pubblicare il disco e sono figli di un approccio più libero ed estemporaneo.
Musica Solidificata si manifesta anche in una fanzine omonima. Ce ne parlate?
L’idea è nata per esplicitare la voglia di dialogo con fotografia e architettura. Avevamo bisogno di spazio per provare a tracciare questi parallelismi e da qui è nata l’idea di un contenuto editoriale. Dato che siamo stati influenzati dai metodi della scuola americana degli anni 60, la fanzine, strumento di circolazione culturale di quegli anni, ci è sembrata la scelta giusta.
Abbiamo scelto come campo di ricerca l’architettura degli anni 60/70 a Torino grazie alla collaborazione con lo studio di architettura Innesto che ha curato la scelta degli edifici, i testi e le reinterpretazioni grafiche e le fotografie di Ivana Noto che ha interpretato l’architettura dall’occhio di una ritrattista.
È stata impreziosita da una bellissima prefazione sognante di Taketo Gohara.
Da un punto di vista strettamente musicale, ci sono ascolti o altri artisti che in questi anni vi hanno particolarmente ispirato e supportato la vostra ricerca musicale?
Abbiamo messo dentro tutta la musica che amiamo. Indubbiamente la scuola minimalista americana degli anni sessanta, ma anche le batterie di The king of limbs dei Radiohead o di Julian Sartorius, le atmosfere di Four Tet, l’uso della ripetizione di Giuseppe Ielasi. Ma in modo inconscio, l’approccio è sempre stato quello di trovare il nostro sound, la nostra voce proprio perché volevamo fare musica libera, lontana da reference o schemi precostituiti.
Avete da poco presentato Musica Solidificata dal vivo nella vostra Torino. Avete prossime date in arrivo? Come vi immaginate il progetto per i futuri live? Potendo immaginarla “da zero”, quale sarebbe la situazione ideale per un live di BAAB?
Credo che la musica e la performance dipendano dal contenitore in cui vengono eseguite. Non credo esista una dimensione ideale per BAAB. A Torino abbiamo fatto una performance A/V in uno spazio ampio che dava il giusto spazio ai visuals di INGRID (Virginia Toffetti), a Roma e Cesena faremo invece un live set perché saranno spazi diversi dove l’aspetto performativo sarà più importante. In linea generale ci piace molto l’idea di accompagnare la performance con un’altra performance artistica.
Che sensazioni e che emozioni vorreste che Musica Solidificata lasciasse all’ascoltatore?
Stiamo ricevendo in questi giorni i primi feedback sul disco e siamo rimasti sorpresi dall’aspetto emotivo che chi l’ha ascoltato ci ha trovato. C’è chi ci ha scritto che ha accompagnato notti insonni, chi l’ha ascoltato per rilassarsi in una giornata stressante, chi l’ha usato per viaggiare o per accompagnare un viaggio. Noi non ci siamo concentrati molto su questo aspetto nella scrittura, anche per questo motivo le tracce sono semplicemente numerate, volevamo lasciare spazio all’ascoltatore di metterci dentro la propria vita e le proprie emozioni.
Daniel D`Amico for SANREMO.FM