“Due amplificatori, una lampadina e un paio di microfoni in un furgone”: si inizia sempre così. Palchi improvvisati, sale mezze vuote e chilometri da macinare sperando di non forare. Per chi ce la fa, sono situazioni che sanno di romanticismo, i famosi primi passi da ricordare con affetto. Tanto, quando ti ricapita? Ai Kills è successo proprio questo: ripassare dal via. Lo racconta Alison Mosshart, che ha cominciato con Jamie Hince nel 2001. Il loro ultimo album è del 2016 e, proprio quando si sono ritrovati ad avere per le mani le prime bozze di nuovi brani, ecco una pandemia.
“Mi sono messa in macchina e ho cominciato a girare per il paese. È stata una situazione assurda: nessuno negli hotel, ristoranti vuoti, pompe di benzina deserte. Non c’era anima viva attorno a me. Me ne stavo lì con questa sensazione strana di pace e, allo stesso tempo, di un pericolo serpeggiante”, racconta Mosshart. Conveniamo sul fatto che sembra passato un secolo e che, pur avendo vissuti tutti la stessa condizione, ogni persona ha introiettato gli eventi reagendo a suo modo. Ricorda Alison: “In America c’erano proteste, roghi e rivolte. Molti degli amici a cui facevo visita mi parlavano di relazioni che andavano a pezzi, c’era chi si gettava nell’alcol. Era come se tutti stessero impazzendo”. Una pazzia che si è tramutata in impeto e ha portato a galla questioni che per troppo tempo rimanevano nella boscaglia del quotidiano.
Tutto questo si è incastonato in 103, un brano distorto da vibrazioni apocalittiche. Un “poema”, scritto alla fine di uno di questi viaggi che sembra la perfetta colonna sonora dell’immagine in copertina: un torero e un toro che lottano per la vita. Il titolo del sesto album dei Kills nasce da Hince, che un giorno ha portato a Mosshart il brano con quel titolo. Spiega Allison: “È arrivata questa frase e stavo lì a pensare perché mi facesse così paura, perché mi costringesse a riflettere così tanto. God Games non è un concetto legato alla religione, ma alla ricerca di un qualcosa che, forse, nemmeno esiste. Per ironia della sorte, i Kills non sono credenti ma hanno finito per registrare in una chiesa.
La colpa è di Paul Epworth, che nel 2002 è stato il loro primo fonico, prima di lavorare con Bloc Party, Adele, Florence + the Machine, Stone Roses, Rihanna e molti altri, oltre a fondare la sua Wolf Tone, con cui ha pubblicato alcuni album di Rosie Lowe, Horrors e Glass Animals. Nel 2013 Epworth ha acquistato i Church studio, ricavati da una vera e propria chiesa a Crouch End, nel nord di Londra. È anche grazie a quel posto che il sound di God Games ha preso corpo, come nella splendida e sontuosa New York, che apre il disco.
Gran parte della libertà che i Kills hanno avuto in fase di scrittura è derivata dalla mancanza di una deadline, una sospensione che, da un lato li ha riportati ai loro esordi, quando nessuno sapeva chi fossero. D’altro canto, ciò ha permesso di giocare con il loro sound, aprirlo a nuove sfumature. Merito di un approccio quasi infantile, incoraggiato da Hince, che ha persino convinto Mosshart a comprare una tastiera da cento dollari per comporre, strumento che dice ancora di non saper suonare. Da questa spontaneità arrivano i suoni tribali di Love and Tenderness, il vortice ipnotico di Kingdome Come, le ballate acide God Games e Blank, il noise di Wasterpiece e le taglienti chitarre di Bullet Sound.
Poi, c’è la mescola di hip hop e sound settantino di Going to Heaven, un brano che testimonia l’alchimia del duo. Racconta Mosshart: “Jamie mi ha mandato questi quarantacinque secondi di demo, un taglia e cuci che mi ha colpito subito. Quindi ho presso il microfono e ci ho cantato su i primi versi. Gliel’ho mandata indietro tre quarti d’ora dopo. È stato come un film, una scena dopo l’altra”. Questo riferimento cinematografico ci porta dritti a LA Hex, nata alle due di notte in un angolo di Los Angeles, con le auto che sfrecciavano per la strada, ognuna portatrice di suoni diversi, quasi antagonisti: dalla trap ai mariachi. Durante la realizzazione di God Games sono stati molti i momenti passati “con gli occhi chiusi a visualizzare le canzoni, viaggiare tra i suoni”. Per Mosshart, LA Hex incapsula il carattere di Los Angels, i suoi strati culturali. Lo fa proprio come se fosse un film, una sequenza di scene che si alternano sul Sunset Boulevard.
Hince l’ha definito un “incidente felice”, Mosshart è convinta che quelli di God Games siano i migliori testi di sempre: sicuramente il sesto album dei Kills è qualcosa di nuovo rispetto a quanto ascoltato fin qui. Per esempio, la profondità dei suoni, già di per sé una novità per un duo che si è contraddistinto per il suo approccio lo-fi, rende la spiritualità apocrifa del disco ancora più umana.
Ma, allora, Alison Mosshart ci gioca con Dio? La risposta è, come sempre, tutt’altro che semplice: “Non m’importa la religione. Anche se mi è capitato di pensare che le nostre espressioni legate all’educazione religiosa sono presenti in ogni momento della giornata. Cose come ‘Jesus’, ‘Goddamn’! Allo stesso tempo, credo che quando sono davanti al microfono e apro la bocca succede qualcosa che non riesco a spiegarmi. Non so da dove arriva, come prende corpo. È ultraterreno. Non voglio perdere tempo a codificare cosa sia, ma so che c’è”.
Parlando con la cantante dei Kills, l’impressione è che sia sopravvissuta a una tempesta e, adesso, si trovi al posto giusto, al momento giusto, insomma: in pace con sé stessa. Non posso nemmeno finire la frase che arriva un “mai”, seguito da un lungo flusso di coscienza. Riassumendolo, Mosshart non può fermarsi, perché significherebbe perdere tempo. Al contrario, occorre continuare a spingersi al limite per raccogliere il massimo. È una sorta di bulimia emotiva che non lascia spazio alla staticità. Forse giocare con Dio è proprio questo; sicuramente, al di là del significato, non è mai stato così seducente.
Antonio Santini for SANREMO.FM