De-evolution. L’idea nasce come teoria pseudo-scientifica di un presunto studioso folle. Nel suo libro “The Beginning Was The End”, sosteneva che l’essere umano si fosse evoluto da scimmie mutanti che si cibano di cervelli dei loro simili. Questa dieta avrebbe incrementato la taglia dei loro cervelli, trasformandoli via via in homo sapiens, ma proporzionalmente avrebbe soppresso le loro abilità psichiche innate, portandole alla demenza. Noi, apparentemente dotati di ragione, altro non saremmo che la degenerazione delle nostre progenitrici.
Nella sfrenata e irriverente immaginazione di Gerald Casale e Mark Mothersbaugh, fondatori dei Devo – contrazione di De-evolution theory – il delirio in questione diventa spunto per un concetto che oggi ci sembra scontato, ma a fine anni 70 era tutto da costruire artisticamente, almeno nella cultura pop. Un concetto che inquieta in modo disturbante, tanto è anticipatorio: nella moderna società dei consumi, l’umanità non sta camminando a testa alta verso il progresso. Sta regredendo.
Si può basare mezzo secolo di carriera su questo canovaccio? Sì, per i Devo. Il 20 ottobre esce un cofanetto che copre l’intero percorso artistico dell’influente band americana: comprende tutte le hit storiche e una selezione di rarità e contributi a colonne sonore. La celebrazione dell’anniversario coincide con un tour mondiale in autunno.
Il set arriva in varie configurazioni. Una versione con 2 cd che collezionano 50 canzoni; una versione ridotta da 25 canzoni su 2 Lp in vinile nero, oppure in edizione speciale con vinili blu e rosso; la versione deluxe, che si compone di 4 Lp su vinile, limitata a 3000 copie. Quest’edizione comprende anche un libretto di 28 pagine, una litografia dell’artwork di copertina e due gadget in osservanza della visione fantascientifica portata avanti sempre senza ripensamenti: un deodorante per ambienti e un cappello di carta pieghevole che richiama le iconiche “energy domes” rosse indossate per la prima volta nel video di “Whip It”, singolo di successo del 1980.
Il video divenne un fiore all’occhiello del nascente Mtv network, ed è uno schiaffo in faccia da parte della loro estetica dell’assurdo. In bilico sul confine sottile tra il non-sense e il grottesco, i Devo suonano in un recinto da bestiame, tra cowboy e cowgirl, in un’ambientazione western volutamente low-budget; giocano con le parole del titolo della canzone, dispensando colpi di frusta (whip) e panna montata (whipped cream); il tutto indossando uniformi futuriste, vagamente Star Trek. Sono tutte uguali e li fanno assomigliare a degli omuncoli giocattolo prodotti in serie.
Così si presentavano anche sul palco, e anche peggio: tute gialle anti-radiazioni o spaziali, si muovevano a scatti come robot che svolgono mansioni tecniche in automatismo. Non dissimili da quelle del “Man-Machine” dei Kraftwerk, sono movenze riprese più e più volte, da David Byrne – loro grande estimatore – ai Daft Punk. Ma gli costano sputi in faccia ai primi show nella loro città, Akron (Ohio, Usa), non esattamente un polo avanguardista. Non era immediato cogliere, dietro la facciata ridicola dei loro teatrini, la sottile provocazione culturale. Il bersaglio: standardizzazione e conformismo, che nella società americana diventavano uno strumento di repressione raffinato, ma non per questo meno rigido. I cittadini dovevano marciare con precisione meccanica comportandosi come cloni, nessuna tolleranza per la difformità: i Devo avevano visto morire loro compagni di corso quando il 4 maggio 1970 la Guardia Nazionale aprì il fuoco sugli studenti della Kent State University in protesta contro l’invasione della Cambogia.
La critica era ben riassunta nella copertina del loro debutto “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!” (1978). Il ritratto fumettistico e deformato di un campione di golf dell’epoca, trovato su una confezione da sei di palline da golf, nel reparto sport di un centro commerciale. Casale e Mothersbaugh ci vedevano un modello, un riflesso kitsch dell’americano medio, serenamente idiota, dedito solo al consumo nonché alla più borghese delle aspirazioni in quegli anni: la partita di golf domenicale, appunto. Inetto, inadatto alla sopravvivenza. Non più un essere umano. Un Devo.
La loro satira si prestava a essere fraintesa. I Rolling Stones li accusarono persino di fascismo, senza vedere l’ironia nella loro apparenza da soldatini omologati. Una quasi-risposta è la loro cover di “(I Can’t Get No) Satisfaction” che trasforma un brano-icona in qualcosa d’altro. La ritmica contratta e piena di sincopi va a braccetto con i tic nervosi del video; le chitarre sclerotizzate e l’elettronica aspra sono la riuscita di un piano di destrutturazione del rock alla radice, che inaugura e influenza una generazione di new wave, industrial e synth-pop. Che il loro fosse il gioco più dirompente all’epoca lo confermano l’interesse nel loro progetto da parte di una pletora di geni musicali, tra cui Brian Eno, che curò la produzione dell’esordio, con visite da parte di un David Bowie incuriosito tra una sessione di registrazione e l’altra. I Devo si sforzano di ridefinire non solo la musica rock, ma tutto l’immaginario a esso legato. Così, se nella “Satisfaction” degli Stones si sente la brama godereccia dell’eccesso tipicamente rock’n’roll, che non basta mai, perché ne vuoi ancora e ancora, la versione dei Devo suona sinistra e alienata, e l’insoddisfazione di cui parla è diversa: dissociata ed epilettica, è il prodotto peculiare della devolution.
Il brano è presente nella retrospettiva insieme ai più memorabili della loro discografia, pescando da “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!”, “Duty Now For The Future” (1979), “Freedom Of Choice” (1980), “New Traditionalists” (1981), “Oh, No! It’s Devo!” (1982), “Shout” (1984), “Total Devo” (1988) e il ritorno “Something For Everybody” (2010). In 9 dischi hanno catturato “the important sound of things falling apart”, come recitava una locandina pubblicitaria del loro primo disco.
Il mondo è cambiato dal 1973. Sono passati cinquant’anni. I Devo non volevano certo guardare nel futuro, predire che piega avrebbe preso il mondo; solo fare una perversa caricatura dei loro tempi. Ma forse possiamo confermarlo. Sono passati cinquant’anni. Fifty years of devolution.
14/01/2024
Daniel D`Amico for SANREMO.FM