Era il 19 aprile 1973, esattamente cinquant’anni fa, quando la Emi/Parlophone distribuiva sul mercato discografico due raccolte intitolate freddamente “1962-1966” e “1967-1970”, un metodo semplice ma significativo e, se vogliamo, anche abbastanza corretto per suddividere con precisione chirurgica, in due parti distinte, le due fasi di carriera dei Fab4.
La prima raccolta ha ben presto assunto l’identificativo che l’ha poi accompagnata fino a giorni nostri e cioè “The Red Album”, un compendio che ha documentato l’essenza scaturita dalla prima parte di carriera dei Beatles, quella della cosiddetta Beatlemania e della straordinaria sequenza di hit che avevano decretato il loro impareggiabile successo, non solo commerciale. La seconda pubblicazione è anch’essa passata presto agli annali con il titolo “The Blue Album”, utilizzando lo stesso metodo identificativo della precedente, che ne estraeva l’origine dal colore di fondo della copertina. In questo caso, il doppio disco tentava di fare un quadro sulle opere che avevano caratterizzato la fase più sperimentale e per molti appassionati considerata la più creativa della band di Liverpool.
All’epoca, le due raccolte ebbero una buona – non straordinaria – risposta da parte del pubblico, forse a causa di un certo snobismo che John, Paul, George e Ringo riversarono su di esse, loro che erano ormai impegnati al 100% nelle proprie carriere individuali, quasi incuranti dei tesori lasciati alle spalle con la conclusione del loro rapporto artistico d’insieme che, per gli almanacchi, è fissata al 10 aprile 1970.
Racchiudere in un Greatest Hits i brani di artisti ritenuti oggettivamente tra i più significativi della storia è da sempre un momento che innesca profonde e accese discussioni, spesso per i criteri adottati nella stesura della scaletta, frequentemente intrisa dei soli successi commerciali e carente di alcuni aspetti, sì, meno popolari, ma spesso fondamentali per una comprensione più verosimile ed esaustiva dell’opera. Figuriamoci, quindi, quale difficoltà possa essere intervenuta nel tentare di comprimere in quattro dischi tutte le molteplici sfaccettature scaturite in 211 brani (comprese una decina abbondante di cover) sfornati da quei quattro geniacci in soli otto anni di carriera.
La realtà è che queste due selezioni hanno assunto paradossalmente, col passare del tempo, un’importanza sempre maggiore, come poche altre volte è accaduto per compilation di successi, tanto da essere due album la cui esistenza è praticamente nota a tutti i cultori, vuoi per una buona scelta dei brani che le hanno composte e soprattutto perché spesso utilizzate da milioni di fruitori per fare il primo ingresso nel mondo Beatles, come accadde esattamente al sottoscritto intorno agli anni 90, un momento che mi colpì così tanto da indurmi all’approfondimento minuzioso di tutta la loro produzione. Questo dovrebbe essere il fine di una collezione di successi e in ciò “The Red Album” e ” The Blue Album” hanno sempre fatto centro.
La gallina dalle uova d’oro deve vivere di salute imperitura e l’azienda Beatles, anche per l’occasione e come capita spessissimo nei pressi delle festività natalizie, deve continuare a mietere successi economici e alimentare il marchio nel miglior modo possibile.
La ripubblicazione delle due raccolte avvenuta il 10 novrembre, e in seguito vedremo con quali interessanti peculiarità, ha principalmente quell’obiettivo, anche se il clamore maggiore generato da quest’uscita è stato originato dalla presenza dell’ennesima trovata di marketing; l’inserimento di un nuovo inedito – ognuno è libero di definirlo come meglio crede – “Now and Then”, un brano realizzato da John nel 1977, la cui demo aveva l’obiettivo di comporre un quartetto di pezzi che lo stesso aveva intitolato “Per Paul”, con chiaro riferimento su chi fosse l’unico destinatario del documento, in un periodo dove era fortissima la sensazione dei più che si stessero gettando le basi per una possibile reunion: un sogno definitivamente spezzato dall’omicidio perpetrato quel tragico 8 dicembre del 1980.
Il nuovo brano connesso alle “2023 Edition” delle raccolte riparte dalle elaborazioni già realizzate nel 1995 da Paul, George e Ringo, per il progetto “Anthology”, poi interrotte per sopravvenute e al tempo insormontabili difficoltà tecniche, che comunque avevano consentito di sviluppare e, in quel caso pubblicare ufficialmente, più o meno con gli stessi criteri operativi, i due brani “Free As A Bird” e “Real Love”, anch’essi provenienti dalle medesime sessioni demo di John Lennon, poi consegnate nel 1994 da Yoko Ono agli altri tre.
Sfruttando le più recenti e raffinate tecniche utilizzate da Peter Jackson per la stesura del recente e magnifico docu-film “The Beatles: Get Back”, è stato ora possibile riprendere quel lavoro lasciato incompleto, per isolare al meglio la voce di Lennon dalle note del pianoforte, ripulirla ed equalizzarla per aggiungervi alcune parti già registrate negli anni 90, quindi con Harrison ancora in vita e fasi attuali suonate e cantate da McCartney e Starr, oltre ad alcune aggiunte esterne (archi e ulteriori trovate).
Il lavoro del produttore Giles Martin, il figlio di George, insieme a una moltitudine di insigni ingegneri e tecnici del suono e soprattutto mediante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ha indotto alla decisiva conclusione del pezzo, che, volente o nolente, ha riportato i Beatles in testa alle classifiche britanniche dei singoli a distanza di cinquantaquattro anni, quando fu il singolo “The Ballad of John & Yoko/ Old Brown Shoe” a raggiungere il più alto gradino del podio.
Vale, però, la pena spendere alcune parole sui reali contenuti che caratterizzano la nuova revisione dei due Lp in oggetto, probabilmente la vera nota d’interesse emersa dal cilindro. Alle due storiche tracklist, sono stati aggiunti ulteriori brani a completamento, dodici nella rossa e otto nella blu. Nel primo caso, oltre all’inserimento di alcune cover significative del periodo (“Twist And Shout”, “Roll Over Beethoven”, “You’ve Really Got A Hold On Me”) è stata allegata la cosiddetta “quota Harrison”, inspiegabilmente assente in origine, con l’inserimento di pezzi quali “If I Needed Someone” e “Taxman”, oltre a una più massiccia e meritata presenza di episodi tratti da “Revolver”, autentico spartiacque della loro carriera e, per molti, eletto ad album più importante dell’intera discografia. A testimonianza di quanto indicato, l’aggiunta di “Tomorrow Never Knows”, autentico capolavoro di primordiale psichedelia beatlesiana, va a colmare l’iniziale buco d’informazione artistica.
Per quanto riguarda il discorso su Harrison, è corretto ammettere che la fase che ha fatto emergere indiscutibilmente il suo talento come autore è certamente quella successiva, quella confinata nel periodo 1967-1970, ma l’averlo escluso completamente dal lasso temporale iniziale è sembrata una scelta piuttosto discutibile.
Il fattore più interessante, soprattutto della compilation rossa rispetto a quella blu, è però da assegnare al lavoro di remix effettuato sulla quasi totalità dei brani, sfruttando nuovamente le tecnologie legate all’intelligenza artificiale, volte a isolare ogni linea vocale o strumentale dalle altre, per affinarne i valori e renderli più omogenei rispetto alle possibilità tecniche dell’epoca.
Se a molti puristi tale affermazione potrebbe risultare ai limiti della blasfemia, l’ascolto di queste nuove versioni di evergreen quali “Love Me Do”, “She Loves You”, “And I Love Her”, “Day Tripper”, “We Can Work It Out” e “Ticket To Ride”, tra i tanti altri in elenco, ha il pregio di regalare una scena sonora spalancata verso situazioni armoniche molto più ampie, se confrontate con gli originali, facendo risaltare molti aspetti perlopiù reconditi, senza minimamente snaturarne i livelli sonori e i rapporti proporzionati tra i vari canali.
Il lavoro effettuato in fase di rielaborazione e modernizzazione dei master originali è stato fortunatamente rispettoso del metodo con il quale i Beatles avevano registrato le loro composizioni dell’epoca, preservando persino le famigerate divisioni tra canale destro e canale sinistro, ben distinguibili con un ascolto in cuffia, evitando una pericolosa fusione dinamica che avrebbe snaturato irrimediabilmente l’intoccabile essenza primordiale.
Come accennato in precedenza, nella raccolta blu questa rivisitazione tecnica è molto meno presente, vuoi per le recenti ripubblicazioni e quindi rimasterizzazioni e remixaggi di album quali “Sgt. Pepper’s”, “White Album”, “Abbey Road” e “Let It Be”, dai quali è stata estratta la quasi totalità dei brani.
I nuovi pezzi aggiunti alla lista vanno ad attingere principalmente dal “White Album”, sicuramente il disco più eterogeneo del periodo, ma anche quello che, molto semplicemente, contiene numericamente più brani degli altri. Menzione speciale per la presenza di “Hey Bulldog”, episodio straordinario e sempre troppo sottovalutato, qui presentato con un nuovo remix che esalta soprattutto il mostruoso lavoro al basso svolto da McCartney. È pur vero che autentiche gemme quali “I Am The Walrus”, “The Fool On The Hill”, “Magical Mystery Tour” e “Revolution”, tra le altre, ricevono tutti i benefici armonici già dettagliati nell’analisi effettuata sulle tecniche utilizzate per la nuova edizione del “Red Album”.
In un’epoca in cui la pubblicazione di Greatest Hits lascia sempre più il tempo che trova, vista la facilità con la quale tramite le piattaforme digitali è possibile, in un nanosecondo, raggiungere tutti i brani di ogni artista, la speranza è quella che la ripubblicazione in versione ampliata e modernizzata dei due storici documenti sonori possa innescare, soprattutto nei più giovani, la stessa curiosità che all’epoca aveva assalito il sottoscritto, spinto poi ad approfondire con estremo impegno la storia di questa seminale band.
13/11/2023
Antonio Santini for SANREMO.FM